Gli Stati Uniti sono convinti che la partita di Taiwan sarà risolta in un modo o nell’altro entro questo decennio. La guerra in Ucraina funge, sotto questo profilo, da acceleratore. Sia perché il regime di Xi Jinping si sente più immediatamente minacciato da Washington, sia perché la lezione delle sanzioni contro la Russia induce Pechino a credere che lo stesso sistema, moltiplicato, sarà utilizzato contro la Cina in caso di invasione di Taiwan. Questa sensazione di urgenza induce i decisori americani ad accelerare e approfondire il meccanismo di contenimento della Repubblica Popolare. Il punto di partenza in questo ragionamento è che l’America da sola non potrà mai sconfiggere la Cina in una guerra per Taiwan o comunque per il controllo dei mari cinesi.Il recente vertice della Nato a Madrid è stato un segnale importante di questa intenzione americana. Per la prima volta in maniera esplicita e codificata gli Stati Uniti propongono agli alleati atlantici di estendere la loro sfera di azione all’Estremo Oriente. Di fatto la strategia atlantica e quella indopacifica diventano una sola grande strategia globale dell’Occidente. E ciò senza minimamente toccare il Trattato di Washington (1949), ovvero il Patto atlantico, che resta formalmente valido ma è ormai oggetto di una interpretazione estremamente estensiva. Ciò perché la Casa Bianca è convinta che senza l’apporto di tutti gli alleati o i partner disponibili rischierebbe di perdere lo scontro per Taiwan. Si tratta quindi di unificare l’approccio dei soci europei a quelli asiatici.
Il Quad, marchio del quadrilatero di sicurezza e di cooperazione formato da Washington con Tōkyō, Canberra e Delhi, diventa così oggettivamente e operativamente il lato asiatico di un unico sistema anticinese di cui la Nato è il lato europeo. Ma come storia insegna, nelle alleanze non sono sempre i leader a decidere. Le loro intenzioni sono molto spesso deviate dagli interessi dei paesi associati. Nel caso del contenimento della Russia questo è particolarmente evidente. La divaricazione di interessi fra europei e americani, soprattutto per quanto riguarda le politiche energetiche, è fin troppo palese. E porta quindi a contraddizioni, contrasti, veri e propri scontri – appena mascherati – fra il leader americano e alcuni paesi europei, Germania in testa. Nel caso del Quad questi contrasti sono ancora allo stato virtuale. Ma più la crisi globale fra le grandi potenze si inasprisce, più queste differenze appaiono stridenti e difficilmente controllabili.
Prendiamo il caso dell’India. Nella guerra di Ucraina Delhi ha cercato di mantenere un rapporto con la Russia, che risale alla stessa indipendenza dal Regno Unito. Lo ha fatto non solo con gesticolazioni diplomatiche, ma con scelte di notevole peso. Fra tutte spicca la decisione di importare enormi quantitativi di petrolio russo a prezzo scontato (–30%) così offrendo a Putin un’alternativa ai mercati occidentali. Allo stesso tempo è notevole come l’opinione pubblica indiana – almeno per quello che emerge dai social media e in parte anche dai media ufficiali – dimostri un grado di insofferenza verso l’egemonia americana di dimensioni insospettate. Questo nulla toglie all’ostilità di fondo con la Cina. Ma contribuisce a complicare il quadro di una tensione tra tutte le maggior potenze, emergenti o declinanti, che sentono la necessità di affermarsi o di salvarsi in quello che appare un saliente decisivo della storia.
Un altro caso interessante all’interno del Quad è quello australiano. Il cambio di governo a Canberra, con il ritorno dei laburisti al potere, sembra indicare anche una maggiore indipendenza australiana rispetto alle indicazioni di Washington. Il nuovo premier Anthony Albanese sta cercando di trovare un giusto mezzo fra l’appartenenza all’Anglosfera a guida americana e la prossimità alla sfera di influenza cinese in Asia e in Oceania.
Infine il caso giapponese, dove il neopremier Fumio Kishida punta al riarmo, inclusa la possibilità di dotarsi della bomba atomica (è probabile che ne disponga già) e sembra attrezzarsi alla necessità di intervenire a difesa dei propri interessi nell’area Pacifica anche senza la cooperazione Usa. Insomma il quadrante indo-pacifico del sistema di contenimento della strana coppia russo-cinese pare soffrire di alcuni dei difetti strutturali di quello atlantico, proprio mentre la guerra in Ucraina costringe russi e cinesi a serrare le fila. Tutto ciò riflette la particolare debolezza di Washington in questa fase. Le elezioni di mezzo termine, questo autunno, potranno misurare di nuovo la temperatura al «numero uno» e aiutarci a capire la profondità della sua malattia. Di certo nel giro di pochi anni quel sistema che pareva incardinato sulla leadership americana dovrà affrontare sfide impreviste e forse esistenziali.