Quando improvvisamente, all’indomani dell’indipendenza del Congo nel 1960, la provincia del Katanga si proclamò indipendente scatenando il caos e un principio di guerra civile, il primo ministro Patrice Lumumba, disperato, non trovò di meglio che supplicare un intervento armato sotto la bandiera dell’ONU. Nacque così, nel 1960, la Missione delle Nazioni Unite in Congo, o MONUC. Durò quattro anni, conobbe molti rovesci – il più terribile dei quali fu l’assassinio di Lumumba – ma alla fine trionfò e della secessione del Katanga non si senti più parlare.
La MONUC non era la prima missione di pace dell’ONU. Il mondo aveva già assistito all’invenzione dei «caschi blu», quei soldati dei più diversi eserciti messi al servizio di un vessillo che non apparteneva a nessuno Stato, bensì voleva porsi al di sopra di tutte le bandiere. L’operazione congolese, però, fu la più imponente e anche la più controversa. I «caschi blu» si cacciarono nel mezzo di un conflitto, diventandone uno dei contendenti. Cercarono in qualche modo di realizzare l’ideale di colui che era all’epoca il segretario generale delle Nazioni Unite, lo svedese Dag Hammarskjöld. Se l’ONU era un’organizzazione sovranazionale, allora coloro che per essa combattevano non dovevano più rispondere ai singoli Governi che li avevano messi a disposizione, ma alle stesse Nazioni Unite. Un ideale non certo gradito alle grandi potenze dell’epoca. Hammarskjöld pagò con la vita il suo tentativo; la visione di un esercito sovranazionale finì infranta e accantonata per sempre.
Non finirono però le missioni dei «caschi blu»: l’Africa rimase anzi il loro principale teatro. Ancora oggi, delle dodici operazioni di mantenimento della pace che l’ONU ha in corso nel mondo, metà sono africane e hanno al loro servizio oltre due terzi del personale militare e civile dispiegato sotto le bandiere azzurre: 72mila su un totale di 86mila. Eppure le cose sono totalmente cambiate. Non solo nessun capo di Stato o di Governo del Continente si sogna di lanciare un appello come quello di Lumumba 63 anni fa; al contrario, da più parti giunge la richiesta di ammainare le bandiere e andarsene. Piuttosto che a un contingente multinazionale delle Nazioni Unite, diversi Paesi hanno preferito rivolgersi a un potente esercito privato, il famigerato Gruppo Wagner russo. Si paga, si fanno affari insieme, e si combatte al di fuori di qualsiasi controllo internazionale, che sia militare, politico o peggio ancora di rispetto dei diritti umani.
Il caso più eclatante, in queste settimane, è il Mali. Da anni alle prese con un’insurrezione jihadista che nessuno finora è riuscito a domare, la giunta militare maliana ha dapprima cacciato la forze d’intervento francese, poi il 16 giugno ha chiesto al Consiglio di sicurezza dell’ONU di ritirare «senza indugio» la forza di pace presente nel Paese, la MINUSMA. Il primo luglio, il ritiro, che durerà sei mesi, è cominciato. Al Palazzo di Vetro di New York, dove hanno sede tutti i massimi organismi delle Nazioni Unite, questa svolta è stata accolta senza scandalo: anzi, sembrerebbe, con un certo fatalismo. Pochi giorni dopo, parlando in una rinomata università parigina, il segretario generale Antonio Guterres ha ammesso che «le operazioni di mantenimento della pace non hanno davvero molto senso laddove non c’è una pace da mantenere».
La decisione del Mali è la più drastica, ma anche per le altre missioni africane le cose non vanno affatto bene. Delle operazioni militari ONU in Africa, le quattro maggiori sono chiamate in gergo le «big four», con un totale di circa 60mila uomini in uniforme tra militari e forze di polizia. Le prime tre, in ordine di importanza, sono quella in Repubblica democratica del Congo, in Repubblica Centrafricana e in Sud Sudan. La MINUSMA è la più piccola delle quattro, con appena 13mila uomini. Ma anche la più grande, quella in Congo, chiamata MONUSCO, comincerà a essere smantellata negli ultimi mesi dell’anno, dopo le elezioni presidenziali, pur trattandosi di una decisione concordata, presa già da tempo. E quella in Repubblica Centrafricana appare sempre più accantonata, relegata a compiti marginali: la vera forza d’intervento internazionale nel Paese è il Gruppo Wagner, i cui uomini fanno anche da guardia presidenziale al capo dello Stato. Quanto alla presenza in Sud Sudan, essa è oggetto di disprezzo da parte della popolazione per la sua incapacità di alleviare le sofferenze causate dalla guerra civile, da tempo ridotta a razzie di bande armate di cui i non combattenti sono le prime vittime.
Negli oltre 60 anni trascorsi dalla prima operazione dei «caschi blu» in Congo, molte missioni militari ONU si sono succedute in Africa. Alcune sono finite in catastrofe, come quella in Rwanda, che non fece nulla per impedire il genocidio dei Tutsi nel 1994; o quella in Somalia, più o meno negli stessi anni, incapace di contenere il dilagare della guerra civile. Altre posso essere definite un successo, perché hanno contribuito a riportare pace e istituzioni democratiche nei Paesi a loro affidati, come in Liberia, in Sierra Leone o in Costa d’Avorio. Ma negli ultimi tempi, forse perché il loro mandato era troppo ambizioso, o mal definito, o privo dei mezzi sufficienti, le cose sono andate generalmente male.
Nei suoi dieci anni di vita, la MINUSMA ha subito numerosi attacchi da parte delle formazioni armate jihadiste e ha contato oltre 300 caduti nei ranghi dei suoi «caschi blu», conquistando il poco ambito primato di più letale tra le missioni di pace ONU. Per questo, ben prima che venisse l’invito a fare le valigie e andarsene dal Mali, una riflessione era già avviata ai piani alti del Palazzo di Vetro. Un cambiamento è nell’aria e dobbiamo aspettarci che non vedremo più tanto facilmente dispiegarsi in qualche parte del mondo i battaglioni con la bandiera azzurra. Le tensioni fra i grandi della Terra crescono, il Consiglio di Sicurezza è nuovamente diviso e la volontà di pace, in questo terzo decennio del secolo, è tornata a farsi più flebile.
L’Africa dice addio ai «caschi blu»
Piuttosto che a un contingente multinazionale delle Nazioni Unite, diversi Paesi del Continente preferiscono rivolgersia un potente esercito privato, il famigerato Gruppo Wagner russo
/ 17.07.2023
di Pietro Veronese
di Pietro Veronese