Donald Trump ha intenzione, a quanto si dice, di creare quanti più problemi è possibile a Joe Biden nel momento in cui, in gennaio, sarà alla fine costretto ad abbandonare la Casa Bianca. E così, dopo aver licenziato per l’ennesima volta i vertici del Pentagono, annuncia la sua intenzione di accelerare il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan e dall’Iraq. Lasciando, entro il 15 gennaio, soltanto 2500 soldati americani a Kabul e dintorni e concludendo di fatto con una comica finale la colossale farsa del cosiddetto «processo di pace» con i Taliban.
Il «processo di pace», scaturito dagli accordi firmati a Doha lo scorso febbraio tra gli Stati Uniti e rappresentanti dei Taliban, è sempre stato difatti, secondo la maggior parte degli osservatori, una foglia di fico che permetteva agli americani di abbandonare l’Afghanistan senza dover pronunciare la parola «ritiro». L’accordo è stato firmato praticamente senza condizioni, senza alcun cessate il fuoco soprattutto, e senza la partecipazione diretta di rappresentanti del governo legittimo insediato a Kabul, per inciso, con la benedizione degli stessi americani. L’unica condizione posta ai Taliban per il ritiro delle truppe americane è stata la promessa che il gruppo avrebbe cessato ogni rapporto con Al Qaida e non avrebbe più permesso che l’Afghanistan fosse adoperato come base logistica per attentati contro l’occidente.
Inutile sottolineare che fin da subito i Taliban e la rete Haqqani hanno annunciato di aver vinto la ultra-ventennale guerra, e che hanno dimostrato di non avere alcuna intenzione di tener fede ad eventuali promesse. Negli ultimi mesi gli attacchi dei Taliban contro i civili e contro l’esercito regolare afghano si sono succeduti con ritmo sempre più incalzante, e il «processo di pace» è diventato poco più di una parola priva di senso. Costretti a sedersi al tavolo delle trattative con il governo ufficiale di Kabul, i Taliban e i rappresentanti del presidente Ghani non sono riusciti nemmeno a trovare un accordo su un possibile calendario dei colloqui. Il rappresentante speciale degli Usa Khalilzad, non si sa quanto per convinzione o costretto a mentire dalle circostanze, è praticamente diventato uno specialista delle condoglianze ai parenti delle vittime e della negazione. Ha continuato difatti ad attribuire all’Isis ogni possibile attentato, operando dei sottili distinguo tra la suddetta Isis e i Taliban. Senza curarsi del fatto che, da rapporti dell’intelligence afghana e di rispettati analisti internazionali come Bill Roggio o Antonio Giustozzi, emerge chiaramente il legame tra le due organizzazioni.
Sia i Taliban che l’Isis-K sono gestiti e finanziati dal Pakistan, e all’Isis vengono affidati i «lavori sporchi» che i Taliban non vogliono o non possono fare. D’altra parte, i Taliban non hanno mai nascosto il loro punto di vista e non hanno alcuna intenzione di smettere di combattere o di integrarsi nel cosiddetto processo democratico: «Sono un branco di criminali e mercenari» ha dichiarato di recente il portavoce dei Taliban Zaibullah Mujahid parlando delle forze di polizia e dell’esercito afghano regolare. Aggiungendo che saranno massacrati fino all’ultimo uomo «Se non si pentono e accettano il sistema islamico».
La verità è che il «processo di pace» non esiste e non è mai esistito, tranne che nella mente di Khalilzad e di tutti coloro che, più o meno in malafede, hanno convinto Washington a questo accordo sciagurato e che i Taliban, a questo punto grandi sostenitori di Trump, non aspettano altro che il ritiro completo delle truppe. Visto che non hanno alcuna intenzione di «divorziare» da Al Qaida, come ha dichiarato Edmund Fitton-Brown, coordinatore del gruppo di monitoraggio su Al Qaida, Taliban e Stato Islamico delle Nazioni Unite: «I Taliban parlano regolarmente e ad alto livello con Al Qaida e hanno assicurato all’organizzazione che gli storici legami saranno onorati». Tutto il resto è soltanto aria fritta.
E se già gli analisti si preoccupavano di analizzare le conseguenze del cambio della guardia alla Casa Bianca, dopo l’annuncio di Trump rimarrà molto poco da analizzare. Se il folle Donald stabilisce il ritiro delle truppe con decreto presidenziale ci sarà difatti molto poco che Biden potrà fare nel prossimo futuro.
Di certo non cambieranno, ma non sarebbero cambiati probabilmente nemmeno in circostanze ordinarie, i vergognosi termini dell’accordo. A farne le spese sono, come sempre, gli afghani. Che sono stati del tutto esclusi dalle negoziazioni perché, nonostante le ripetute e strombazzate dichiarazioni sul fatto che gli Usa volevano un processo di pace «Afghan-led and Afghan-owned» diretto e negoziato cioè dagli afghani, gli unici afghani che sono stati presi in considerazione sono chiaramente i membri di organizzazioni terroristiche di vario genere mentre al governo legittimo non è stata data alcuna possibilità di intervenire.
Intanto, i Taliban hanno inaugurato sempre più «campi di addestramento alla pace»: in cui gli stessi Taliban, Al Qaida e la Rete Haqqani addestrano nuove reclute appartenenti a gruppi terroristici di matrice pakistana come la Jaish-i-Mohammed e la Lashkar-i-Toiba. In Pakistan, al confine, sono tornati i vecchi gruppi Taliban e Islamabad ne sta formando addirittura di nuovi. Non a caso difatti, all’indomani dell’annuncio di Trump, Imran Khan si è precipitato a Kabul per incontrare il presidente Ghani.
La verità è che Trump, con quest’ultima mossa in perfetto stile Sansone con i Filistei, tramuterà definitivamente l’Afghanistan in un paradiso per terroristi, governato da terroristi e diretto da remoto da uno Stato produttore di terroristi: il Pakistan. E, alle spalle del Pakistan, la Cina che già da tempo parla con i Taliban e che non ha nessuna remora etica o morale di sostanza o di forma. Ciò che importa, è il progetto imperialista della Belt and Road Initiative per il quale l’accesso all’Afghanistan è fondamentale.
La pace rischia di costare cara, più cara della guerra. L’occidente sta voltando le spalle a una polveriera, una polveriera che rischia di esplodere con pesanti ripercussioni per tutti.