L’abbraccio degli ex nemici

Conte 2 - Supera lo scoglio della fiducia in Parlamento il nuovo governo italiano di coalizione con Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, guidato dal primo ministro uscente
/ 16.09.2019
di Alfredo Venturi

Prima di tutto Giuseppe Conte ci tiene a correggere lo stile, prendendo le distanze dagli eccessi verbali di Matteo Salvini: il nostro linguaggio sarà mite, assicura, perché «l’azione non si misura con l’arroganza delle parole». Scrollandosi di dosso la livrea giallo-verde nella Camera dei deputati assordata dai clamori leghisti, il presidente del Consiglio offre della sua reincarnazione giallo-rossa un’immagine pacatamente riformista. La sua metamorfosi passa attraverso le puntualizzazioni sulla politica estera del governo nascente, non più filorusso ma euro-atlantico, sui temi nevralgici della sicurezza e dei migranti, con l’impegno a correggere il famigerato decreto bis, sul delicato rapporto fra sovranità e sovranismo: «difendere l’interesse nazionale non significa abbandonarsi a sterili ripiegamenti isolazionistici».

Il giorno dopo, rispondendo in Senato a un duro attacco di Salvini in un’atmosfera sovreccitata, usa un linguaggio un po’ meno mite di quello promesso. Ci si accusa di tradimento e attaccamento alle poltrone? Traditori siete voi, che avete fato saltare il tavolo per andare a votare, e a che scopo, se non per ottenere più poltrone? Traditore è chi chiede pieni poteri e pretende di dettare l’agenda della politica!Durante la seduta alla Camera un’affollata manifestazione riempie la piazza antistante, con Giorgia Meloni leader dei Fratelli d’Italia che accusa il «governo dei perdenti» (il Partito democratico sconfitto alle elezioni e il Movimento cinque stelle crollato nei sondaggi), e Matteo Salvini con l’immancabile rosario fra le dita che proclama: siamo noi la vera Italia, non voi che avete ribaltato il governo perché avevate paura del giudizio degli elettori... La folla rumoreggia e applaude, qualcuno leva il braccio nel saluto fascista.

Salvini è visibilmente furioso per l’involontario harakiri nato dalla sopravvalutazione di se stesso e dal delirio di onnipotenza ispirato dai bagni di folla sulle spiagge d’Italia. Aveva aperto la crisi convinto che si sarebbero anticipate le elezioni e la Lega avrebbe fatto incetta di voti, ma non è andata così. Sa di avere commesso alcuni errori imperdonabili per un politico, dimenticando che nel parlamento in carica il rapporto di forze fra Lega e Cinquestelle avvantaggia questi ultimi, e che un Pd in astinenza da potere poteva facilmente cedere all’inopinata alleanza con i grillini. Infine che molti aspettavano un’occasione per liberarsi di lui.

E così, con il sapiente pilotaggio del presidente della repubblica Sergio Mattarella, che non se la sentiva di sciogliere anticipatamente le Camere, ha preso il via il governo che rilancerà i legami con la Nato e l’Unione europea. A Bruxelles, dove l’uscita di scena di Salvini è stata salutata con sollievo, spira un’aria nuova, forse è finita la stagione dell’austerità fine a se stessa, le istituzioni comunitarie sembrano disposte a concedere alle felpate sollecitazioni di Conte quella flessibilità che avevano negato alle minacce del capo leghista. Il presidente parla di un europeismo convinto ma critico, volto a fare evolvere l’Unione, per esempio migliorando il patto di stabilità.

Questa nuova fase dei rapporti fra Roma e Bruxelles è concretizzata dalla nomina di Paolo Gentiloni, l’ex capo del governo scelto a rappresentare l’Italia nella Commissione europea, responsabile per gli affari economici. La nuova presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha superato le perplessità dei paesi del nord, scettici di fronte alla prospettiva di un italiano al timone della politica finanziaria, dunque Gentiloni succede al commissario francese Pierre Moscovici nel ruolo più delicato in seno all’esecutivo europeo. Ma dovrà vedersela con il «rigorista» lettone Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo con delega all’economia.

Tutto questo secondo i critici del Conte due, soprattutto i leghisti inferociti per il «voltafaccia» del presidente e dei Cinquestelle, non è che vassallaggio nei confronti dell’Europa e dei poteri forti. Intanto i mercati salutano la novità: in borsa la domanda supera l’offerta e lo spread, il differenziale fra il rendimento dei titoli di Stato italiani e i tedeschi, scende a livelli accettabili, rendendo un po’ meglio governabile l’immenso debito pubblico che grava sui destini del paese. Ci sono anche altri indici in movimento, sono quelli che misurano per via demoscopica l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dei partiti. La Lega rimane in testa, ma paga l’infortunio di Salvini invertendo la tendenza progressiva e perdendo in un mese tre punti percentuali. I Cinquestelle recuperano qualche punto rispetto al calo costante che si registrava da tempo, preceduti di poco dal Pd. Altro elemento di spicco, il gradimento personale di Conte ha superato quello di Salvini, ed è secondo soltanto alla straripante popolarità del capo dello Stato Mattarella.

È naturale chiedersi, come sempre quando un nuovo governo nasce sui colli di Roma, quanto durerà. È fuori discussione che i due soci della nuova maggioranza (anzi tre, c’è anche la formazione di sinistra Liberi e uguali) hanno fatto un matrimonio d’interesse, non certo d’amore. Infatti sono tante e profonde le differenze di visione e di approccio ai problemi, anche se il veterano Silvio Berlusconi li accomuna sotto l’etichetta di «comunisti». Non si può dimenticare che Nicola Zingaretti, segretario del Pd, fino a pochi giorni prima della laboriosa trattativa con i Cinquestelle si dichiarava contrario a questa possibilità, optando per il voto anticipato. Né che Matteo Renzi, l’ex presidente che ha voluto il Conte due per evitare le elezioni e il conseguente inevitabile ridimensionamento della pattuglia di parlamentari a lui fedeli, proclamava a suo tempo che mai e poi mai avrebbe accettato di governare in compagnia dei grillini. Molti prevedono che Renzi cercherà di consolidare il suo gruppo, magari fondando un partito con una sorta di separazione consensuale dal Pd resa praticabile da una correzione in senso proporzionale della normativa sul voto, e una volta pronto ad affrontare le elezioni staccherà la spina al governo. Contro la prospettiva di una legge elettorale fondata sul sistema proporzionale si scaglia Salvini, le cui fortune si fondano sul maggioritario: la progettata riforma secondo lui è un ulteriore complotto anti-Lega dei «traditori».

Mentre in Senato volano parole pesanti fra il capo leghista e il riciclato presidente del consiglio, accanto a Conte siede Luigi Di Maio, altra fonte di grattacapi per il presidente. Nel proposito di risalire la china dopo avere registrato una crescente impopolarità nella base grillina, il nuovo titolare degli esteri ha convocato i ministri Cinquestelle alla Farnesina. L’iniziativa è apparsa come l’avvio di una prassi di coordinamento in palese contrasto con le prerogative del presidente. A proposito di Di Maio, che ha dovuto rinunciare a succedere a se stesso come vicepresidente e a Salvini come ministro dell’interno, la sua nomina agli esteri ha suscitato qualche commento ironico. Non è forse l’uomo che provocò l’incidente diplomatico con la Francia incontrando, lui vicepresidente del Consiglio di un paese alleato e amico, il più esagitato fra i capi dei gilets jaunes e suscitando l’ira del presidente Emmanuel Macron? Per tacere di alcune memorabili gaffes in materia di conoscenze geopolitiche, o dell’avventuroso sostegno all’iniziativa cinese, implicitamente anti-occidentale e anti-europea, denominata nuova via della seta.