Un «merito» paradossale della crisi economico-finanziaria globale iniziata nel 2007 (con la sua propagazione ad indebitamento sovrano dell’Area Euro) è stato l’approfondimento di alcuni vizi strutturali dell’odierno sistema economico internazionale. Già tempo addietro ho avuto modo di riflettere – certamente, non da unico nel panorama economico – che, se ampio spazio è stato riservato al concetto di «debito pubblico» (alla ribalta della cronaca degli eventi nell’Eurozona), poco inchiostro è stato speso sul tema dell’indebitamento privato (vedi allegat0). Eppure, fra le distinzioni all’interno della voce «passività» (fra pubbliche o private ed interne o esterne) in certi Paesi oltremodo evoluti spicca proprio quella del debito privato. Se il rapporto debito (pubblico)/PIL con i suoi «verdetti» percentuali (spesso preoccupanti in quanto in certe nazioni oltre il 100%) già fa notizia, i riflettori non si sono (ancora) accesi su valori simili nei confronti del debito privato. Perché l’opinione pubblica non viene resa attenta ad un «100%» d’indebitamento privato rispetto al PIL, mentre lo è per valori similari riferentisi allo Stato? La risposta a tale legittimo quesito rinvia alla natura stessa dei debiti menzionati.
Da un lato, l’indebitamento pubblico non soltanto costituisce una modalità di finanziamento del fabbisogno statale in eccesso rispetto a quello già coperto con imposte, tasse e tributi vari, ma (almeno per il risparmiatore) è una forma alternativa di detenzione del reddito. Dall’altro lato, il debito del settore privato – in special modo, dei nuclei familiari – non rappresenta un’obbligazione commerciabile, bensì è una mera passività da finanziare con risorse proprie o ulteriori prestiti (con il rischio di divenire «preda» di spirali debitorie), su cui corrispondere interessi passivi talvolta non indifferenti. Interessante è che il Consiglio federale abbia «ritoccato» il limite delle soglie di usura dei crediti di cassa al 10% (cf. 1. luglio 2016). Si potrebbe aggiungere che il debito degli attori finanziari sia nondimeno preoccupante: tuttavia, per quanto la salute delle banche tenda ad inquietarci, per queste ultime – che si sa finanziarsi anche tramite titoli – può essere valido un discorso simile a quello per gli Stati. Dovrebbe, quindi, essere l’indebitamento dei soggetti non finanziari ad essere inteso come minaccia, ma esso è pericolosamente trascurato e non sufficientemente nel focus degli analisti.
Se gli economisti sono sì consapevoli che risparmi individuali eccessivi nel breve periodo possano comportare un freno per la congiuntura economica (in quanto non destinati ai consumi), nel lungo periodo risparmi positivi sono di imprescindibile importanza per ampliamento degli standard di benessere. Ecco, che diviene cruciale interrogarsi sui motivi dell’indebitamento delle famiglie, per cui dovrebbe valere la regola d’oro vigente già ora per ogni tipologia di passività: a dipendenza del fatto se quest’ultima sia incorsa per spese di consumo, difficilmente potrà essere considerata «benigna». Al contrario, se il debito (privato o pubblico) derivasse dal finanziamento di investimenti durevoli, allora il discorso tenderebbe a cambiare. Il problema dell’indebitamento privato familiare è troppo spesso una conseguenza di mala gestione dei risparmi, che sono (con le eccezioni del caso) utilizzati per spese difficilmente categorizzabili come «necessarie». La problematica è talmente pressante da abbisognare di «istruzioni per l’uso», che la società stessa dovrebbe insegnare alle giovani generazioni: in altri termini, il debito privato è in molti casi evitabile.
Come può tale affermazione, però, conciliarsi con altre pregresse, per cui il consumatore odierno sembrerebbe essere sempre più «informato»? La risposta più probabile è che – come è più attento alle caratteristiche dei singoli prodotti – ne risulta inevitabilmente troppo attratto, incorrendo nel rischio di fare il «passo più lungo della gamba». La soluzione è, quindi, l’assenza totale di debiti? Non necessariamente, dipendendo (come detto sopra) da tipologia e scopo delle necessità di finanziamento. Certo è che i bisogni del Ventunesimo Secolo sono tanti (ed altrettante le spese). Malgrado ciò, si potrebbe iniziare a trasmettere ai «futuri adulti» che l’impulsività tipica del processo decisionale d’acquisto – articolato e contestuale risultato dell’interazione fra variabili – non debba necessariamente essere a «senso unico», cioè soltanto nella direzione di comprare: può anche essere nei termini di valutazione di un «sano» risparmio. Perché – questo è ormai chiaro – «c’è debito e debito».