Vladimir Putin minaccia l’uso di armi nucleari tattiche sul fronte ucraino oppure un test atomico nelle vicinanze. Dall’altra parte della massa terrestre eurasiatica, Kim Jong Un sembra a sua volta vicino ad un test nucleare. Nel frattempo la sua Corea del Nord ha costretto il Giappone a mettere sotto massima allerta gli abitanti delle provincie settentrionali e delle isole meridionali, sorvolate da un missile a gittata intermedia di Pyongyang. Le tensioni nucleari in Europa e in Estremo Oriente sono collegate in uno scenario globale di crescente contrapposizione tra i due blocchi: Occidente contro autocrazie.
La Corea del Nord ha due protettori, Cina e Russia. In passato Pechino e Mosca hanno esercitato un’influenza moderatrice su Kim Jong Un, anche se più apparente che sostanziale. In tempi di maggiore distensione nei loro rapporti con Washington, cinesi e russi hanno fatto qualche pressione sulla dittatura comunista di Pyongyang quando le esercitazioni missilistiche o nucleari erano troppo bellicose e le provocazioni suscitavano allarme in America, Corea del Sud, Giappone. Non c’è mai stato un serio tentativo, né da parte della Cina né della Russia, di indurre Kim al disarmo o alla denuclearizzazione, ma almeno Pechino e Mosca ostentavano di non condividere i comportamenti più pericolosi del monarca rosso. Ora non è più così. Le provocazioni di Kim sembrano gradite, se non assecondate. La Corea del Nord è uno dei pochi Paesi al mondo che approvano apertamente l’invasione dell’Ucraina. Putin è arrivato al punto da chiedere a questo regime – poverissimo – degli aiuti militari. In quanto alla Cina, mantiene la versione per cui la guerra in Ucraina è stata provocata dalla Nato. Xi Jinping descrive un mondo ancora sotto il tallone colonialista dell’Occidente.
Xi e Putin sembrano disposti a pagare il prezzo inevitabile delle gesta bellicose di Kim. La minaccia dei missili nordcoreani – che un giorno potrebbero trasportare testate nucleari – costringe il Giappone ad accelerare il suo riarmo. Il premier Shinzo Abe, ucciso di recente, ha lasciato in eredità al suo successore Fumio Kishida il compito di alzare le spese nipponiche per la difesa dall’1% al 2% del Pil. La prospettiva di un Giappone che mette la sua tecnologia al servizio dell’apparato militare non è un grande successo per Xi. Eppure il leader cinese in questo assomiglia a Putin: non sembra dare un peso eccessivo alla reazione degli avversari, cioè noi. Putin ha pagato il prezzo dell’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, ma prosegue imperterrito. Il mondo scivola verso una tensione anche nucleare su almeno due fronti. Il terzo potrebbe diventare, un giorno, l’Iran. Non è uno scenario del tutto inedito. Due bombe atomiche furono il suggello finale della seconda guerra mondiale, lanciate dagli americani. Poi una guerra mondiale con bombardamenti atomici fu sfiorata, o minacciata, altre volte: nella crisi di Suez (1956) e in quella dei missili sovietici a Cuba (1962). In quei casi la minaccia non si realizzò. Ma l’uso di armi nucleari entrò a far parte delle dottrine strategiche degli uni e degli altri.
Fu il Pentagono il primo a «credere» all’utilità delle armi nucleari tattiche in un conflitto: piccole, con una frazione di potenza rispetto alla bomba atomica di Hiroshima, quindi davvero minuscole rispetto agli ordigni nucleari di nuova generazione che possono distruggere intere città. Però pur sempre capaci di emanare radiazioni, con impatto micidiale sulla salute, a breve e a lungo termine. Tattiche, perché utilizzabili sul campo di battaglia contro le truppe nemiche. Gli americani le concepirono prevalentemente nell’ottica di un conflitto europeo, in cui la superiorità dell’Unione sovietica negli armamenti convenzionali avrebbe consentito all’Armata rossa di dilagare in Europa, e gli Usa avrebbero dovuto battere in ritirata. In quel contesto l’uso di armi nucleari tattiche mirate contro le truppe attaccanti avrebbe potuto rallentare o bloccare l’invasione sovietica. Si può osservare qui qualche analogia con l’attuale situazione sul terreno in Ucraina, dove sono le truppe di Kiev a riconquistare territori, mentre quelle russe sono in ritirata. L’irruzione del nucleare potrebbe rovesciare la situazione, forse. Almeno nelle speranze di Putin.
La dottrina americana fu elaborata negli anni Cinquanta, all’inizio della guerra fredda. Uno dei primi ad analizzarne le ripercussioni fu Henry Kissinger nel 1957. Il Pentagono però finì per bocciare l’utilità delle armi nucleari tattiche. La ragione prevalente era l’impossibilità di farne un uso «chirurgico», preciso e controllato. Le radiazioni sono alla mercé dei venti. E i venti soffiano come pare a loro, per cui possono sospingere le radiazioni lontano dalla zona dei combattimenti, verso centri abitanti. Oppure – ipotesi ancora peggiore dal punto di vista militare – i venti possono ricacciare le radiazioni contro le stesse forze armate che hanno usato il nucleare tattico. La stessa logica dovrebbe indurci a pensare che Putin sta bluffando. La Russia, a differenza dagli Stati Uniti, ha un ampio confine terrestre con l’Ucraina. Le radiazioni sprigionate dall’uso di armi nucleari tattiche potrebbero ritorcersi contro soldati russi e perfino città russe. La memoria corre all’incidente nella centrale atomica di Chernobyl nel 1986: i venti trasportarono radiazioni dall’Ucraina verso la Russia più che in qualsiasi altro Paese.
Proprio pensando a Chernobyl bisogna introdurre un elemento di cautela. Invadendo l’Ucraina, i vertici militari russi hanno inviato truppe anche in quell’area, tuttora contaminata. Quei soldati russi mandati a Chernobyl erano sprovvisti di adeguate protezioni contro i danni delle radiazioni. Questo precedente può indicare che Putin potrebbe sacrificare i suoi come martiri alla mercé delle radiazioni, pur di perseguire i propri obiettivi. Si può aggiungere un’altra considerazione. Per Putin perdere la guerra contro l’Ucraina, un Paese molto più piccolo della Russia, sarebbe un’umiliazione fatale. Può sentire il bisogno di trascinare a tutti i costi la Nato nel conflitto, in modo da perdere «dignitosamente» contro un avversario molto più grosso. Fonti americane però finora hanno escluso che la Nato reagirebbe alle armi nucleari tattiche di Putin usando i propri arsenali atomici. La dottrina prevalente punta a piegare la Russia restando sul terreno delle armi classiche. Con la speranza che una deriva nucleare di Putin lo isoli finalmente dai suoi due sostenitori più importanti che sono India e Cina.