Lo scorso anno ci eravamo rallegrati del fatto che il Ministero americano delle finanze avesse deciso di togliere la Svizzera dalla speciale lista di osservazione dei possibili manipolatori di divise («Azione 29» del 15.07.19). Esprimevamo però qualche dubbio che la Svizzera potesse rimanere a lungo fuori da questa lista. Questo perché la nostra bilancia commerciale presenta sempre forti eccedenze anche nei confronti degli Stati Uniti e perché la Banca Nazionale Svizzera (BNS) deve spesso intervenire per frenare gli eccessivi rialzi del franco.
Proprio questi interventi non sono graditi alle autorità americane, per le quali le oscillazioni dei tassi di cambio dovrebbero essere lasciate al mercato, senza quegli interventi che, in modo scorretto, procurerebbero a chi li fa vantaggi concorrenziali. La sorveglianza americana di queste evoluzioni viene esplicitata in un rapporto semestrale dedicato alla politica valutaria dei principali partner commerciali degli Stati Uniti. L’ultimo di questi rapporti è stato pubblicato il 16 dicembre e conferma l’inserimento della Svizzera nella lista dei «manipolatori di divise», che torna nella suddetta lista nera.
Si può infatti constatare che da qualche tempo la Svizzera soddisfa tutti i criteri necessari per questo passo e per essere ufficialmente considerata un «manipolatore di divise». Finora nessun paese era catalogato in questa lista, dopo che gli Stati Uniti, nel 2015, avevano riveduto le basi legali per applicare questo concetto. La Svizzera è però sempre stata molto vicina ai limiti posti per la lista nera, soprattutto a causa della difesa del franco, che per gli americani provoca un vantaggio concorrenziale favorendo le esportazioni e quindi migliorando il saldo della bilancia commerciale.
Va comunque detto che, pur avendo definito i criteri su basi matematiche, la loro applicazione è spesso politica. In pratica, anche chi soddisfa tutti i criteri di un «manipolatore di divise» non viene automaticamente punito. L’interessato viene di regola sottoposto a un giudizio più approfondito. E già questo fatto potrebbe creare qualche disagio. Infatti, i mercati potrebbero reagire negativamente, anche senza sanzioni particolari. Per esempio i titoli di esportatori svizzeri – ma non solo – potrebbero subire qualche contraccolpo sulle borse americane. E si sa che un giudizio americano ha sempre molta importanza sui mercati, così come l’hanno per le divise anche gli interventi della BNS che, sotto la pressione americana, potrebbero diminuire.
Le conseguenze di questa situazione potrebbero essere dapprima un certo rafforzamento del franco svizzero. Tuttavia, la BNS non ha nessun interesse a lasciare andare le cose fino a questo punto. Anzi, tenderebbe a frenare fin dall’inizio questa evoluzione con massicci interventi. In sostanza – a questo punto – i sospetti di «manipolazione» diventerebbero certezze e l’applicazione dei tre criteri per la lista nera automatica. Si rimprovera cioè alla Svizzera una forte eccedenza della bilancia commerciale di almeno 20 miliardi di dollari con gli USA; un’eccedenza della bilancia dei pagamenti del 2% almeno del prodotto interno lordo; infine, un continuo intervento sui mercati finanziari per almeno il 2% del PIL, durante almeno sei degli ultimi dodici mesi.
Gli Stati Uniti tendono ad applicare questi tre criteri senza tener conto delle particolarità di ogni paese. Così, per esempio, per il criterio dell’avanzo commerciale, la Svizzera supera il valore limite già dal 1915, mentre nell’ottobre 2020 superava già i 50 miliardi di dollari. Ma ciò era dovuto all’industria farmaceutica e soprattutto alla forte importazione di oro dalla Svizzera, a causa della pandemia da Covid. Per contro, l’avanzo nel commercio di beni viene praticamente compensato dal deficit nei servizi. Fatta astrazione delle forti importazioni di oro temporanee, la situazione dovrebbe normalizzarsi. Anche per quanto concerne la bilancia dei pagamenti, il saldo è spesso dovuto al risparmio che va a finanziare investimenti all’estero. In Svizzera ciò provoca un’eccedenza che si aggira quasi sempre attorno al 10% del PIL.
Restano gli effetti della politica della BNS contro l’eccessiva rivalutazione del franco. Il limite del 2% era già stato superato alla metà dell’anno, con acquisto di divise per 90 miliardi di franchi (12% del PIL). Anche gli USA, come anche il Fondo Monetario Internazionale, dovrebbero considerare questi interventi non come un’arma per il commercio estero, ma come pura politica monetaria. La forte domanda di franchi in caso di crisi (Bene rifugio) è volta a contrastare un forte ribasso dei prezzi all’importazione, che minaccia anche la stabilità interna dei prezzi. Finora la Svizzera è riuscita a far valere queste sue particolarità. Non è detto che ciò possa avvenire pure con la nuova amministrazione, anche se si spera che dovrebbe essere meno aggressiva di quella di Trump nei rapporti economici con l’estero.
«La Svizzera manipola le divise»
Il Dipartimento americano delle finanze rimette il nostro paese nella lista nera. Ma la decisione sulle eventuali conseguenze potrebbe essere politica
/ 21.12.2020
di Ignazio Bonoli
di Ignazio Bonoli