Sulla scena geopolitica mondiale è apparsa da qualche tempo una coppia inedita: Cina e Russia. Imperi/civiltà che più diversi non si potrebbero concepire, impegnati nell’ultimo secolo e mezzo più a contrastarsi e combattersi che a cooperare, oggi sono le punte di lancia della resistenza al predominio globale degli Stati Uniti d’America. Anzi, è l’America stessa che ha prodotto questo strano duetto, non sappiamo quanto scientemente o per incidente. Fatto è che il Numero Uno si trova oggi a fronteggiare una quasi-alleanza dei Numeri Due (Cina) e Tre (Russia). Non esattamente quanto i manuali strategici prescrivono a chi si presume egemone.
Come è potuto accadere? Quanto è solida questa coppia? Come pensano gli Usa di affrontarla?
Le origini dell’intesa russo-cinese risalgono alla metà degli anni Duemila, quando la Russia ha cominciato a capire che la sua ambizione di essere riconosciuta quale centro di potere globale inerente all’Occidente a guida americana era irrealizzabile. Appena arrivato al Cremlino, nel 2000, Putin aveva sondato la Casa Bianca proponendosi di portare la Federazione Russa nell’Alleanza Atlantica. Neanche per idea, fu la risposta (meno garbata) trasmessagli da Clinton. Incurante, il leader russo mise a disposizione la sua intelligence e i suoi spazi aerei (e non solo) a sostegno dell’invasione americana dell’Afghanistan, nel 2001. Gli statunitensi incassarono e passarono all’ordine del giorno.
La sequenza delle aperture russe all’Occidente senza risposta si interruppe dopo l’invasione dell’Iraq e divenne pubblica nel 2007, quando Putin intervenne alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco annunciando che la Russia non vedeva più spazio di intesa strategica con l’America e i suoi alleati. Ma la svolta avvenne con il colpo di Stato in Ucraina, nel 2014, che il Cremlino addebitò agli americani e classificò nella categoria delle «rivoluzioni colorate» miranti a produrre, alla fine, il cambio del regime in Russia. Colto di sorpresa, Putin reagì annettendo la Crimea con Sebastopoli. E volò a Shanghai per stabilire un rapporto privilegiato con la Cina di Xi Jinping, offrendo energia e armi. In quantità e di qualità.
Nel tempo, anche i cinesi sono giunti alla conclusione che con l’America si doveva affrontare una lunga marcia nella «guerra fredda», inasprita da Trump con una raffica di dazi. Ne è seguita una sequenza di sanzioni e controsanzioni, di manovre militari atlantiche e russo-cinesi, che hanno reso incandescente la frontiera fra Nato e Russia e quasi irrespirabile l’atmosfera in cui si svolgono i negoziati sulle tariffe fra Cina e Stati Uniti.
Quel che America creò, potrebbe sciogliere. Ma gli Stati Uniti sembrano decisi a continuare a contrapporsi contemporaneamente a russi e cinesi. Questi ultimi considerati l’unico ostacolo al battesimo di questo secolo come il secondo a dominio americano. Mentre i russi sono trattati da nemici permanenti, anche perché solo così gli Usa pensano di poter legittimare la loro presa sull’Europa. Negli ultimi mesi si sono levate negli Stati Uniti autorevoli voci che invitano a sciogliere la minacciosa coppia sino-russa, ad aprire a Mosca per meglio contenere le velleità espansive di Pechino, simboleggiate dalle nuove vie della seta. Per ora, senza il minimo esito.
Al Pentagono, dove si studiano e aggiornano in continuazione gli scenari della minaccia, si è giunti alla conclusione che in caso di conflitto aperto gli Stati Uniti non saprebbero vincere una coalizione russo-cinese. Anche perché dovrebbero combattere su fronti lontani, dal Baltico ai Mari cinesi. Non sono solo esercitazioni d’obbligo, ma in vista di proiezioni belliche considerate sempre meno improbabili.
È comunque verosimile che qualora Washington e Pechino si trovassero sull’orlo della guerra senza aggettivi, gli americani sarebbero disposti a venire a patti con i russi. Rivelando quella che sospettano, con buone ragioni, la debolezza di base dell’intesa russo-cinese: la sfiducia reciproca. Nell’ora del giudizio, di fronte a una seria disponibilità americana a riconsiderare positivamente i rapporti con i russi, Putin o chi per lui accoglierebbe forse con entusiasmo questa opportunità, molto più consona alla vocazione storica e strategica della Russia dell’adesione a un raggruppamento a guida cinese.
Nell’attesa, l’Alleanza Atlantica è scossa dai contrasti fra questa amministrazione Usa e i principali paesi del Vecchio Continente, Germania in testa. Tanto da far affermare al presidente francese Macron che la Nato è «cerebralmente morta». Se il principio primo della geopolitica americana è impedire che in Eurasia si formi un centro di potenza alternativo intorno a Cina, Russia e Germania/Francia, appare palese come gli Stati Uniti stiano facendo di tutto per alimentare la minaccia che secondo i loro manuali dovrebbero scongiurare.