L’azione si svolge a Quetta, Belucistan (regione del Pakistan). Fa ancora freddo, a febbraio, e la notte è scura e più silenziosa del solito. Siamo nella modesta casa di una giovane vedova che vive con i suoi tre figli e con la madre del suo defunto marito. Se fosse un film, ma si tratta purtroppo di realtà, la musica a questo punto salirebbe d’intensità e si farebbe drammatica. All’improvviso, gente alla porta. Confusione, urla, paura. A irrompere dentro alla casa addormentata non sono ladri né criminali. O, almeno, non del genere fuorilegge. Si tratta delle truppe del locale Dipartimento antiterrorismo, che trascinano via la famigliola addormentata. La giovane vedova si chiama Mahal Baloch. Suo marito Nadeem faceva parte del Fronte di liberazione del Belucistan, un gruppo di guerriglia che lotta contro le forze dell’ordine pakistane, ed è stato ammazzato nel 2016. Da quel giorno Mahal è diventata un’attivista che protesta contro l’occupazione illegale del Belucistan da parte del Pakistan e contro la pratica ormai dilagante delle sparizioni forzate.
Scrive il Consiglio per i diritti umani del Belucistan: «L’antiterrorismo ha fatto irruzione nella casa di Mahal, l’ha perquisita, ha preso tutti i soldi e ha portato via Mahal e i suoi tre figli, la suocera e una vicina. Tutti i membri della famiglia, compresi i bambini, sono stati bendati e portati in una stazione di polizia. I piccoli sono stati interrogati in assenza di un tutore e dopo messi in una stanza da dove potevano sentire le urla della madre che veniva “interrogata”. A Mahal è stato negato un avvocato e durante gli interrogatori è stata brutalmente torturata. Secondo i familiari, Mahal è stata presentata davanti a un tribunale locale, dove è crollata in stato di incoscienza a causa delle gravi torture fisiche e psicologiche. I suoi figli e le altre due donne sono stati in seguito rilasciati». Mahal è ancora in custodia, nonostante gli attivisti per i diritti umani abbiano protestato in tutto il mondo per il suo rilascio e nonostante il ministro degli Interni del Belucistan abbia annunciato pubblicamente che le accuse sarebbero cadute e che Mahal sarebbe stata presto rilasciata. Le accuse sono difatti false, inventate dallo stesso Dipartimento antiterrorismo.
Secondo gli investigatori, Mahal sarebbe stata arrestata in un parco pubblico vicino a Satellite Town, a Quetta, mentre trasportava un giubbotto da kamikaze in una borsa da computer. Delle due una: o disponeva di un laptop gigante, o hanno inventato i giubbotti da kamikaze slim-fit. Anche il Fronte di liberazione del Belucistan (FLB) ha rilasciato una dichiarazione ai media, chiarendo che Mahal Baloch non è in alcun modo affiliata al gruppo. Aggiungendo: «Siccome le forze di sicurezza pakistane non sono in grado di arrestare gli effettivi combattenti del FLB, ricorrono all’arresto di civili innocenti facendoli passare per militanti». Il rapimento di donne e bambini in Belucistan non è una novità, anzi. In passato ci sono stati casi, diversi casi, di donne rapite, detenute e torturate, usate come schiave sessuali dai militari e poi gettate via. Tuttavia è difficile avere dei numeri perché, come sempre accade in questi casi, le donne si vergognano di raccontare. Ci sono voluti anni e anni per portare alla luce gli orrori degli stupri di massa durante la guerra in Bangladesh (sempre da parte dell’esercito pakistano), e ci vorranno anni, quando e se tutto questo sarà finito, per fare luce sugli orrori subiti dalle donne in Belucistan.
Nel 2022, su 787 vittime di sparizioni forzate, 101 erano donne. Nel 2017 il senatore del Partito Popolare Pakistano (PPP) Farhatullah Babar ha dichiarato che esistono «celle segrete di tortura» in tutto il Paese. Ha inoltre affermato che «nessuno, compresi il Parlamento e la Corte Suprema, sa quante siano queste celle di tortura, il numero di persone che vi sono presenti e il numero di persone che sono morte durante gli interrogatori». E ci sono prove che molte donne beluci sono state portate in queste celle di tortura. Ali Arjumand, un cittadino norvegese «scomparso» per 12 anni in queste celle, ricorda molto bene le donne violentate e torturate, e una di loro lasciata morire dissanguata davanti alla sua cella. «Noi, le organizzazioni che rappresentano il popolo del Belucistan e i gruppi di attivisti per i diritti umani, abbiamo redatto questa lettera per richiamare l’attenzione sul continuo abuso dei diritti delle donne beluci da parte delle forze armate pakistane.
Negli ultimi anni le donne che protestavano contro le sparizioni forzate sono state minacciate, attaccate e fatte sparire. Sono state tenute in celle di tortura dell’esercito dove molte hanno subito abusi sessuali». La lettera, firmata da Baloch Voice Association, Voice for Baloch Missing Persons e Baloch Peoples Congress e indirizzata al Comitato sulle sparizioni forzate e al Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate o involontarie, è stata inviata di recente. L’ennesima. Perché, nonostante l’indefesso lavoro delle organizzazioni umanitarie e dei gruppi per i diritti umani, nonostante le proteste a Ginevra per cercare di attirare l’attenzione sul problema, la questione delle donne del Belucistan, e del Belucistan in generale, non riceve quasi mai attenzione a livello internazionale. Fino a che, tra non molto, sarà troppo tardi.
La storia di Mahal, torturata vicino ai suoi figli
Continua l’operazione di annientamento della minoranza beluci da parte delle autorità pakistane
/ 10.04.2023
di Francesca Marino
di Francesca Marino