«Casa nostra, casa vostra». Questo era lo slogan dell’imponente manifestazione che si è svolta un paio di settimane fa a Barcellona in favore di una politica di maggiore accoglienza verso i rifugiati. Secondo gli organizzatori, si è trattato della più grande marcia pro-immigrati di tutta Europa. Il successo dell’evento è stato inaspettato (circa 250’000 persone vi hanno preso parte), tanto che è stato ripetuto anche in altre città spagnole tra cui Madrid, dove un enorme striscione con la scritta «Refugees welcome» fa bella mostra di sé sul balcone del municipio e cattura l’attenzione dei turisti in arrivo a Plaza Cibeles.
Un’analisi affrettata potrebbe portare a pensare che la Spagna rappresenti un unicum in Europa: un Paese aperto agli immigrati, mentre nel resto del continente trionfano i partiti che fanno leva sulla paura dello straniero. In realtà vi sono delle sfumature in questa apparente eccezionalità, causate dalla peculiarità storico-politica spagnola, e che obbligano ad altre interpretazioni. La prima è che la manifestazione di Barcellona si inserisce in un contesto di sfida e ostilità permanente tra l’esecutivo catalano con le sue ambizioni separatiste e il governo centrale di Madrid, che si nega ad ogni apertura e alla celebrazione di un referendum di indipendenza.
Dietro agli striscioni che chiedevano di accogliere più rifugiati non vi erano solo critiche al governo conservatore di Rajoy per la sua politica restrittiva in materia di immigrazione, ma c’era anche la volontà da parte della società catalana di profilarsi sul panorama politico europeo come qualcosa di diverso: una Catalogna come terra d’accoglienza e differente nei fatti dal resto della Spagna. Insomma è stata anche l’occasione per ribadire una volta di più alla comunità internazionale che Barcellona è pronta a separarsi da Madrid, tanto è vero che si sono viste anche numerose esteladas (bandiere indipendentiste) e si sono ascoltati persino discorsi che facevano riferimento alla creazione di uno Stato autonomo e più solidale.
Una solidarietà verso gli immigrati peraltro più che legittima, quella gridata a gran voce dai catalani, dato che il governo del premier Rajoy sta disattendendo gli accordi presi con l’Unione europea in materia di accettazione della ripartizione di rifugiati. In Spagna sono stati accolti sinora solo 700 dei 16’500 rifugiati (provenienti principalmente dai centri di accoglienza di Grecia e Italia) pattuiti con l’Ue. Inoltre la politica anti-immigrazione del governo conservatore è una delle più dure d’Europa. Tuttavia, mentre in passato la gestione dei flussi migratori veniva criticata dalle alte sfere di Bruxelles, adesso, visti i venti xenofobi che soffiano per mezza Europa, viene presa a modello. Basti pensare ad esempio alle enormi recinzioni e al fossato costruiti a Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in territorio marocchino. Si tratta di una specie di vallum romano: una linea di fortificazione composta da tre muri di sei metri d’altezza e dieci chilometri di filo spinato.
Al confronto il muro tra Messico e Stati Uniti di cui tanto parla Donald Trump è poca cosa in termini di pericolosità, se paragonato a quelli spagnoli. Questi sbarramenti rendono in effetti pressoché invalicabile (e in alcuni casi letale) l’accesso agli immigrati provenienti dall’Africa verso il suolo spagnolo. Per giustificare queste misure straordinarie, il delegato del governo spagnolo a Melilla è arrivato ad affermare che «senza barriere la città sarebbe diventata una specie di Lampedusa». Grazie alla costruzione di questi muri a Ceuta e a Melilla, alla militarizzazione delle frontiere e del mare e soprattutto agli accordi bilaterali col Marocco, in Spagna arrivano adesso ogni anno solo qualche migliaio di migranti via mare.La presenza numerica di rifugiati nel Paese è quindi minima e anche la percentuale di stranieri presenti in Spagna (poco più di quattro milioni, attorno al 9% della popolazione) non è molto alta rispetto ad altre nazioni europee.
A differenza di altri Paesi però il grado di integrazione è maggiore per ragioni storico-linguistiche, dato che la maggior parte degli stranieri presenti in Spagna proviene dall’area latino-americana. Questi due fattori (demografici e culturali) spiegherebbero le ragioni della quasi assenza di un sentimento xenofobo in terra iberica. Si pensi che, stando ai sondaggi, solo il 3% della popolazione ritiene che l’immigrazione sia un problema importante per il Paese. Altri esperti ritengono invece che le ragioni siano più di ordine economico-politico.
Secondo le teorie di alcuni economisti, l’assenza di un movimento anti-immigrazione in Spagna è da ricondurre al fatto che i rifugiati non sono in competizione economica con i residenti. Il sistema di welfare spagnolo, a differenza di alcuni paesi del nord Europa o della stessa Svizzera, non prevede infatti alcun tipo di aiuto economico diretto o attribuzione di alloggi per i rifugiati o i richiedenti l’asilo. Inoltre, i migranti che riescono a entrare in Spagna illegalmente dalla frontiera di Ceuta o Melilla scavalcando il muro, vengono detenuti immediatamente dalla polizia e rispediti ai Paesi di origine (le cosiddette devoluciones en caliente). Ai pochi che riescono miracolosamente ad arrivare sul suolo spagnolo viene negata loro in molti casi anche l’assistenza sanitaria. Queste misure coercitive, unite all’assenza di aiuti finanziari agli immigrati, non produrrebbero perciò nella popolazione spagnola una percezione di sottrazione delle proprie risorse economiche a beneficio degli stranieri (siano essi immigrati o rifugiati) e di conseguenza non sarebbe causa di ostilità nei loro confronti.
Vi è anche una spiegazione più strettamente politica di questo fenomeno. Le dure misure restrittive adottate dal governo Rajoy in materia di immigrazione sarebbero già di per sé vicine alle ideologie dei movimenti di estrema destra e quindi scoraggerebbero la nascita di movimenti xenofobi in Spagna. A questo si aggiunge il fatto che essere dichiaratamente di estrema destra in Spagna è sempre stato considerato un tabù, in una nazione che ha vissuto una dittatura lunga quarant’anni e che non ha ancora fatto i conti con il suo passato. Paradossalmente, secondo gli studiosi, l’eredità franchista ha quindi impedito il nascere di movimenti di estrema destra (alle ultime elezioni generali il partito razzista anti-immmigrazione Vox ha ottenuto solo lo 0,2% dei suffragi).
Secondo la vulgata popolare, invece, l’assenza di un grande partito con connotazioni xenofobe e di estrema destra sarebbe dovuto al fatto che questa ideologia è integrata all’interno dello stesso Partito popolare di Mariano Rajoy. Ne sarebbero una prova il fatto che alcune correnti del partito e qualche ministro dei governi del Pp non hanno mai preso pubblicamente le distanze dal franchismo. Si pensi inoltre che in Spagna vi sono tuttora numerosi comuni che nella loro denominazione contengono la parola caudillo (così veniva chiamato popolarmente Francisco Franco), che vi sono ancora molte vie o piazze a lui dedicate, nonché un mausoleo con i resti del dittatore, situato poco fuori Madrid (e che è diventato anche luogo di pellegrinaggio di nostalgici franchisti o neo-nazisti).
Non da ultimo va anche sottolineato che in Spagna il malcontento popolare generato dalla crisi finanziaria del 2008 non è sfociato nella comparsa di movimenti xenofobi nel panorama politico perché è stato in parte incanalato dapprima dal movimento degli indignados e poi dalla nascita di Podemos. Quest’ultimo partito ha saputo intercettare la rabbia di quei collettivi (in maggioranza giovani con un alto tasso di scolarizzazione) che sono risultati i più colpiti dalla crisi. Questo fatto è esattamente l’opposto di quanto sta succedendo nel resto del mondo: si pensi a paesi come la Germania (con Alternative für Deutschland), la Francia (con il Front National) o negli Stati Uniti di Trump, dove trionfa (o cresce nei sondaggi) il populismo xenofobo dell’estrema destra. A differenza di quest’ultimi partiti, Podemos si schiera ideologicamente con la sinistra radicale e ha una visione di apertura verso lo straniero e gli immigrati. Non casualmente lo stesso leader del movimento Pablo Iglesias ha voluto appropriarsi dei meriti dell’assenza di movimenti xenofobi in Spagna, dichiarando recentemente che «in Spagna non c’è un movimento di estrema destra perché esiste Podemos».
In definitiva, per una serie di circostanze storiche, economico-politiche e congiunturali in Spagna l’immigrazione è ben integrata e non è vista come un problema, almeno per il momento. Si assiste pertanto al paradosso che siano i cittadini, dal basso, a chiedere al governo una maggiore apertura verso l’immigrazione, come è avvenuto nella manifestazione di Barcellona. È un po’ il mondo alla rovescia, in un Paese abituato ad andare in controtendenza storica, ma felice di essere estraneo ai movimenti xenofobi che stanno riscuotendo una rendita politica un po’ dappertutto.