Non passa giorno senza sentire o leggere la dichiarazione o l’indiscrezione di un politico, o qualcosa che vi assomigli e senza essere messi di fronte a possibili scenari, od ad altrettanti pronostici. La campagna in vista della successione del consigliere federale Didier Burkhalter, prevista il 20 settembre, è già entrata nel vivo e si farà sentire ancor di più nelle prossime settimane. Questa volta, dietro alla competizione tra i possibili candidati, vi è lo scontro tra due minoranze latine, ossia tra la Svizzera romanda e la Svizzera italiana. Lo scontro è stato favorito da due successive decisioni. Quella del PLR nazionale di voler lasciare il seggio alla Svizzera latina e quella del PLR ticinese di proporre un solo candidato, lasciando così aperta la porta ad una o più candidature romande. Come è noto, l’Assemblea federale chiede di poter scegliere tra più candidati e di non essere messa nella condizione di dover accontentarsi di un unico candidato proposto dal partito cui viene riconosciuto il diritto di occupare il seggio vacante.
La rivalità tra le due minoranze si snoda tra una serie di tesi e di argomenti, invocati per legittimare il diritto di rivendicare il posto lasciato libero da Burkhalter. In questo esercizio, la Svizzera italiana appare più convincente nella sua rivendicazione. Dal 1848 ad oggi ha avuto solo 7 consiglieri federali ed è stata presente soltanto 81 anni su 169. Dal 1999, ossia dall’uscita di scena di Flavio Cotti, è assente dal Consiglio federale, anche se la Costituzione federale del 1999, all’articolo 175 prevede che «le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate». La sua rivendicazione, dunque, è più che giustificata. La Svizzera romanda, invece, dal 1848 ad oggi, ha sempre avuto almeno un suo rappresentante in Consiglio federale. Dal 1. gennaio 2016, dall’entrata in funzione di Guy Parmelin, occupa addirittura 3 seggi su 7. È una situazione anomala, visto che la popolazione romanda rappresenta soltanto circa un quinto di tutta la popolazione svizzera.
A questo punto, ci si può chiedere se la declamata solidarietà latina svolge un qualsiasi ruolo in questa competizione elettorale tra le due minoranze. La risposta è negativa. Non s’intravvede nulla di questa solidarietà, per una ragione molto semplice: la solidarietà latina non esiste e non è mai esistita neanche in passato, salvo poche brevi eccezioni, come per esempio durante la prima guerra mondiale, quando le due minoranze simpatizzarono per la Francia e la Gran Bretagna, mentre la Svizzera tedesca guardava alla Germania, o nel 1920 quando romandi e svizzeri italiani votarono in maggioranza per l’entrata della Svizzera nella Società delle Nazioni, mentre gli svizzeri tedeschi si presentarono divisi. Le ragioni di quest’assenza di solidarietà sono parecchie.
La storia, innanzitutto, c’insegna che prima della nascita della Confederazione c’erano pochi contatti tra le due regioni. Il loro percorso storico fu ben diverso. La Svizzera italiana, per esempio, aveva rapporti economici e di sudditanza politica principalmente con alcuni cantoni della Svizzera tedesca. Anche dopo il 1848, la situazione non registrò sostanziali modifiche. Anzi, si assistette al sorgere di chiare divergenze sulla costruzione delle linee di comunicazione tra il Nord ed il Sud. La Svizzera italiana si schierò per la linea del Gottardo, la Svizzera romanda per la linea del Sempione. Una divergenza che, almeno in parte, si ritrovò anche in tempi recenti nella costruzione delle nuove linee di comunicazione. Per molto tempo, pochi furono anche i contatti politici, nonché quelli culturali, frenati in parte dalle divergenze religiose, la Svizzera romanda essendo a maggioranza protestante mentre nella Svizzera italiana prevaleva la religione cattolica.
Oggi, le due regioni non hanno una frontiera comune ed i tempi necessari per passare da una regione all’altra rimangono elevati. Per la Svizzera italiana, i collegamenti sono molto più facili con la Svizzera tedesca, con Lucerna e con Zurigo, che sono gli sbocchi settentrionali più vicini. I rapporti economici sono modesti e lo stesso vale per quelli politici. Gli alleati politici della Svizzera italiana, reali o potenziali, non sono i romandi, bensì gli svizzeri tedeschi, che conoscono e frequentano la nostra regione, che sanno individuare i nostri problemi e le nostre potenzialità e che, spesso, s’impegnano a sostenere ed a difendere le nostre rivendicazioni sul piano nazionale. Con i romandi è significativo, per esempio, il fossato che esiste sui rapporti che la Svizzera dovrebbe intrattenere con l’Unione europea. I maggiori contatti avvengono nel settore culturale, dove però si assiste ad uno squilibrio di interessi molto pronunciato. Molti svizzeri italiani, grazie a varie opportunità, legate alla frequenza delle università romande, alla possibilità di trovare un lavoro in più posti della regione francofona, o semplicemente grazie all’istruzione ricevuta durante il loro ciclo scolastico, hanno buone conoscenze della Romandia ed apprezzano con cognizione la cultura francese ed il modo di vivere dei romandi. Gli svizzeri di lingua francese, invece, hanno una conoscenza molto limitata della Svizzera italiana. Si è tentati di affermare che scoprono la nostra regione una volta all’anno, quando è in corso il festival del cinema di Locarno. Molti di loro non sanno neanche che ci sono quattro valli del canton Grigioni, che sono di lingua e di cultura italiana e che fanno parte della Svizzera italiana. Pochi, infine, sono coloro che manifestano un vero interesse per la nostra lingua e cultura, attraverso lo studio o varie forme di contatti permanenti con la popolazione residente al sud delle Alpi.
Con queste premesse risulta ben difficile parlare di solidarietà latina. Alleanze contingenti sono possibili, certo, ed avvengono quando le due minoranze possono difendere interessi comuni di fronte alla maggioranza tedesca. Nella maggior parte dei casi, però, gli interessi delle due comunità sono divergenti e sono all’origine di posizioni diverse, talvolta nettamente opposte. L’appartenenza ad una cultura latina e la vicinanza delle due lingue parlate non bastano, dunque, per generare un forte legame, per creare una forte solidarietà, e vengono sopraffatte dagli interessi in gioco che si oppongono. L’elezione del sostituto del consigliere federale Didier Burkhalter lo sta dimostrando e lo dimostrerà fino al 20 di settembre.
L’elezione di un consigliere federale è forse la più enigmatica e non è paragonabile a nessuna altra elezione. La scelta vien fatta da 246 parlamentari, sulla base di riflessioni che, nella maggior parte dei casi, non corrispondono a quelle in voga nella popolazione. Vengono presi in considerazione gli interessi elettorali dei partiti, la futura linea politica del governo, la presenza delle donne in governo, le ambizioni personali immediate , o tenute nascoste per nuove future situazioni, le qualità dei singoli candidati, le simpatie personali e altri argomenti suscettibili di influenzare il voto. Sul ticket che il gruppo parlamentare del PLR deciderà il 1. settembre figureranno due, forse tre nomi: quello del ticinese Cassis e quello di uno o di due politici romandi. La Svizzera italiana non può contare sulla solidarietà latina, che non esiste. Può sperare soltanto che la presenza italiana in Consiglio federale venga considerata determinante dalla maggioranza dei parlamentari svizzeri di lingua tedesca.