La resilienza del settore industriale

Svizzera italiana - Il forte impegno nei settori della ricerca e dell’innovazione è essenziale per rimanere competitivi a livello internazionale. L’esempio dell’azienda Belloli e le riflessioni di Fabio Regazzi
/ 27.05.2019
di Roberto Porta

Il settore industriale svizzero è stato al centro delle attenzioni in questi primi mesi del 2019. A tener banco in particolare la questione fiscale, con la popolazione che lo scorso 19 maggio ha approvato un nuovo modello di imposizione delle aziende. Strumento che andrà ora concretizzato a livello cantonale, con il rischio – si è detto nella campagna che ha preceduto la votazione – di veder crescere la concorrenza fiscale tra i cantoni. 

Nel frattempo in Ticino ha tenuto banco la vicenda del gruppo Kering, la multinazionale del lusso battente bandiera francese, intenzionata a dimezzare il numero dei propri posti di lavoro in Ticino. Impieghi che entro il 2022 scenderanno a 400 unità mentre tutte le attività verranno concentrate in un’unica sede, quella di Cadempino. Un ridimensionamento che ha messo in evidenza, oltre alle dubbie pratiche salariali di questo colosso della moda, anche la sua strategia di «ottimizzazione fiscale». Proprio per questo motivo Kering ha dovuto di recente pagare una multa da un miliardo e mezzo emessa dal fisco italiano. Una vicenda che ha sollevato parecchie critiche e perplessità e gettato ombre in particolare sul settore della logistica in Ticino. Ma al di là di questo caso e di altre vicende simili, come la chiusura della sede di Armani a Mendrisio nel 2016, quale è lo stato di salute dell’industria ticinese nel suo insieme? E quale la capacità concorrenziale su cui può far leva? «Credo che il settore industriale ticinese abbia dimostrato in questi ultimi anni una forte capacità di resilienza – ci risponde Fabio Regazzi, presidente dell’Associazione delle industrie ticinesi (AITI) – Basti pensare alla reazione dimostrata a partire dal 2015, dopo la fine del cambio minimo tra franco e euro. Una reazione che ha permesso al settore di rimanere competitivo sul piano internazionale. Tutti si sono dati da fare, i temuti licenziamenti di massa non ci sono stati, anzi nella maggior parte dei casi si è proceduto senza sacrificare posti di lavoro. Un risultato ottenuto anche grazie ad un forte impegno delle aziende nel settore della ricerca e dell’innovazione». 

Nei tanti stabilimenti industriali che fanno ormai da «spina dorsale» del fondo valle ticinese ci sono realtà imprenditoriali spesso poco conosciute dall’opinione pubblica, aziende che tuttavia riescono a tener testa alla concorrenza internazionale. A mo’ di esempio basti dare un’occhiata alle ultime cifre pubblicate la settimana scorsa dal settore farmaceutico ticinese, dove tra le altre cose spicca il dato relativo ai brevetti, variabile che contribuisce a definire la capacità innovativa di un settore. Ebbene secondo una ricerca dell’istituto Bak Economics di Basilea dal 2000 al 2016 in Ticino si è assistito ad un incremento del numero di nuovi brevetti pari al 120%, dato superiore alla media nazionale che è dell’80%. Brevetti definiti di «impatto» perché di buona qualità, quindi capaci di portare sul mercato prodotti pronti a sfidare la concorrenza internazionale. «In questo senso è di fondamentale importanza la collaborazione con i centri di ricerca universitari, in particolare con la SUPSI, la Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana – sottolinea ancora Fabio Regazzi – Questo è un tassello fondamentale perché l’industria ha bisogno della ricerca. Questa sinergia ha sicuramente contribuito allo sviluppo del nostro settore, grazie proprio alla SUPSI dove lavorano personalità di spessore». 

Innovazione, ricerca e capacità di farsi valere sui mercati internazionali, è quanto ha dimostrato di sapere fare l’azienda Belloli di Grono, nel Moesano. Impresa che ha ottenuto quest’anno il premio SVC della Svizzera italiana organizzato dallo Swiss Venture Club – un’associazione no profit – per sottolineare il lavoro svolto dalle piccole e medie imprese della regione. «Questo premio è stato una graditissima sorpresa, non ce l’aspettavamo, anche perché non ci si può candidare direttamente. Si viene scelti da una giuria», ci dice Alberto Belloli, comproprietario di questa azienda che impiega 125 persone di cui 85 a Grono. Un’impresa fondata nell’Ottocento e ormai giunta alla sua quinta generazione, attraverso diversi cambiamenti che l’hanno portata a trasformarsi in una vera e propria holding specializzata – e qui citiamo un comunicato della stessa azienda – «nella fornitura di materiali, impianti e soluzioni per lavori in sotterraneo, allestimenti di veicoli pesanti e strutture metalliche per usi civili e militari». 

La Belloli è molto attiva in particolare nelle opere sotterranee, come ad esempio Alptransit, il Brennero o il Gran Paris Express, un progetto colossale che raddoppierà l’estensione della rete metropolitana di Parigi, in vista delle Olimpiadi del 2024 e dell’Esposizione universale del 2028. «Vuol dire che riusciamo a essere competitivi – ci dice Alberto Belloli – E a farlo in un mercato non facile, in cui si muovono veri e propri colossi internazionali». Ma qual è la chiave del successo? «Una grande dedizione, attenzione agli sviluppi del mercato, la ricerca di nuovi ambiti di attività. Non nascondo che una parte delle nostre componenti viene realizzata all’estero, anche per contenere i costi e poter così rimanere concorrenziali. Anche questo aiuta». Il gruppo Belloli è solo un esempio tra le tante aziende che riescono a tenere alta la bandiera dell’industria della Svizzera italiana nel mondo. Insomma malgrado i problemi che a volte emergono nel settore – occupazionali, fiscali, ambientali… – c’è di che essere fiduciosi nel futuro. 

«Devo però dire che sono un po’ preoccupato perché c’è troppa burocrazia, un eccesso di regolamentazione che rischia di far del male allo spirito imprenditoriale – replica Fabio Regazzi – C’è la tendenza da parte dello Stato a voler controllare tutto. Credo invece che occorra lasciare maggior spazio ai partner sociali – padronato e sindacati – altrimenti rischiamo di dover assistere alla partenza di diverse aziende dal nostro territorio. Non è solo un discorso fiscale, è un problema sistemico». Un problema da affrontare in tutte le sue sfaccettature senza mai scordare l’aspetto di fondo: in gioco c’è una buona parte del mercato del lavoro ticinese, il numero e la qualità degli impieghi che riesce ad offrire.