La resa francese all’instabilità africana

L’Esagono ritira i suoi contingenti dal Sahel e nella zona avanza l’influenza di cinesi, turchi, russi. Evidente crisi di Parigi anche in Nordafrica mentre prende sempre più corpo la minaccia del «separatismo islamista»
/ 15.02.2021
di Lucio Caracciolo

La frontiera meridionale della Francia è sempre stata il Sahel, vasta area africana posta immediatamente a sud del Sahara. Chiave del suo non troppo ex impero. Oggi infestata dal terrorismo jihadista, destabilizzata dalla fragilità degli pseudo-Stati e staterelli più o meno falliti che disegnano la geopolitica africana in genere e saheliana in particolare.

Impegnati in diverse operazioni «anti-terrorismo» tra Nordafrica e Sahel, i francesi vi hanno scoperto il loro piccolo Afghanistan. Piccolo in rapporto a quello dei sovietici o degli americani, stante la disparità di mezzi e di potenza. Ma allo stesso tempo troppo vasto per l’Esagono, che pensava di potervi schierare risorse militari senza troppo rischiare la vita dei soldati e il prestigio della Nazione. Non è andata e non sta andando così. Di qui la decisione di cominciare a riportare a casa una quota rilevante dei contingenti francesi in teatro. Dopo aver scoperto che la solidarietà degli alleati europei e atlantici era più retorica che effettiva.

Uniamo questo ripiegamento alla permanente instabilità nordafricana e alla penetrazione islamista nel territorio metropolitano francese, e abbiamo il senso della gravità della crisi strategica con cui il presidente Emmanuel Macron deve confrontarsi. Perché come sempre quando si apre un vuoto qualcuno cerca di riempirlo. E in quella che una volta si chiamava Françafrique – l’impero africano della Francia – e in cui oggi Parigi conserva interessi strategici, economici e culturali di primo livello, stanno penetrando da tempo nemici e competitori ambiziosi. Dai cinesi ai turchi e ai russi, quello che una volta era il pré carré tricolore è oggi un campo di gioco estremamente frastagliato e instabile.

Se a questa crisi interna al Continente aggiungiamo i problemi della fascia mediterranea tra Marocco e Libia, il quadro si complica ulteriormente. Nell’Algeria un tempo parte dello spazio metropolitano si stanno installando, senza farsi troppo notare, i cinesi. Tanto che il Governo algerino consiglia ai giovani di imparare il mandarino, lingua del futuro. Insulto palese alla Francia e alla sua geopolitica della francofonia.

ll pouvoir, il potere dei militari ha domato per ora la grande rivolta di piazza (Hirak) che sembrava sul punto di scalzarlo, destabilizzando completamente tutta la fronte mediterranea dell’Africa. Grazie soprattutto alla epidemia di Covid-19, che ha reso improponibili i grandi raduni di massa, e alle divisioni interne ai gruppi di protesta anti-regime, il pericolo di una crisi algerina – dal punto di vista francese – è provvisoriamente sventato.

Quanto alla Tunisia, un tempo cantata come modello di democrazia nascente per tutto il Nordafrica, il grado di caos politico misto a un’inguaribile crisi economica rendono possibile la congiunzione con la limitrofa crisi libica. Infine, appunto, la Libia, o meglio le Libie frammentate, da cui filtrano minacce effettive o potenziali alla stessa sicurezza francese. E che nella fascia meridionale, specie nel Fezzan tradizionalmente essenziale per Parigi, avvicina il Sahel.

La crisi del sistema francese in Nordafrica e nel Sahel riflette quella dell’Esagono, dove si materializza sempre più concretamente la minaccia del «separatismo», strettamente connessa allo spazio africano. Grande Paese di immigrazione araba e nera proveniente da sud, la Francia fatica sempre più a integrare, non diciamo assimilare, i migranti che via Mediterraneo (Italia) puntano verso l’Esagono. Il «separatismo» denunciato da Macron altro non è che l’installazione nel cuore della società francese di gruppi islamisti, tra cui non mancano i terroristi, capaci di riportare il caos nel Paese. La prima priorità geopolitica della Francia è dunque frenare il processo di infiltrazione in corso, specie per quanto riguarda le moschee e la qualità degli imam che vi predicano, non sempre allineati con l’islam inclusivo tollerato dalle autorità francesi.

La decisione del graduale ritiro dei militari francesi da Sahel e Africa nord-occidentale non è altro che l’ammissione di una seria crisi strategica e infine identitaria che minaccia una grande potenza europea. Un segnale anche per i vicini, Italia e Germania su tutti.