La principessa indiana di Saint-Tropez

Fili di seta - La storia di Bannu Pan Dei e del generale Jean-François Allard ha lasciato tracce nell’incantevole cittadina della Costa Azzurra
/ 18.07.2022
di Francesca Marino

C’è un India anche lontano dall’India. Un India che corre su di un filo sottile ma resistente, un filo che si è dipanato per quattro generazioni senza mai sfaldarsi o rompersi. Un filo, sconosciuto ai più, che unisce Saint-Tropez a Delhi attraverso spazio e tempo. Un filo fatto di memoria e ricordi, dipanato da una storia vera che potrebbe essere facilmente uscita dalla penna di un grande scrittore di romanzi d’avventura. Salgari, o Dumas l’avrebbero adorata. È una storia che comincia virtualmente sul campo di battaglia di Waterloo, dopo la disfatta di Napoleone. Jean-François Allard, capitano del Settimo ussari decorato con la Legion d’onore dalle mani dell’imperatore stesso, era sopravvissuto al massacro del suo reggimento perché non si trovava là: era stato inviato fuori dal campo di battaglia per portare degli ordini. Dopo la disfatta, come molti ufficiali, era stato obbligato al soggiorno nel proprio luogo di nascita: Saint-Tropez, appunto. Poco più di un villaggio di pescatori, all’epoca. Un villaggio da cui molti, troppi, sognavano di partire.

Il capitano mal sopportava il confino e l’inattività, sognava di raggiungere Giuseppe Bonaparte fuggito in America, sognava ancora il sogno dell’Imperatore spedito in esilio a Sant’Elena. Ottenuto un permesso di visitare uno zio a Livorno, il capitano Allard parte e arriva in Italia, senza però riuscire a imbarcarsi per l’America. Comincia invece a viaggiare verso est. Arriva in Persia, dove regna Abbas Mirza e dove entra al servizio dell’erede al trono: per breve tempo, però, perché gli inglesi non si fidano di un capitano di Napoleone e costringono i regnanti a licenziarlo. Viaggiando ancora più a est, senza mai voltarsi indietro, Jean-François raggiunge l’India, e il regno indipendente del Punjab guidato dal leggendario maharaja Ranjit Singh. Quest’ultimo incarica Allard di formare un corpo scelto di dragoni e lancieri, conferisce al capitano il grado di generale e lo mette a capo dei cosiddetti «corpi europei» che combattevano al suo servizio. Allard, però, non è un soldato qualunque. È un uomo colto, uno che scrive poesie, un esperto di numismatica. Uno che si è messo a studiare l’urdu e il persiano. Un uomo affascinante, dicono. Che diventa presto uno dei più intimi amici del maharaja.

Ha circa quarant’anni quando viene inviato alla corte di Chamba, nell’attuale Stato indiano dell’Himachal Pradesh, per riscuotere dei tributi. E qui la storia si avvolge di un certo velo di mistero. Al suo ritorno a Lahore, difatti, la quindicenne principessa figlia del re di Chamba, Bannu Pan Dei, viaggia con lui. Scappata col generale francese o forse presa come ostaggio. Certo è che, un anno dopo, Jean-François sposa la giovane: si dice sia stato un matrimonio d’amore, per cui Bannu è stata disconosciuta dalla famiglia. I due vivono in uno splendido palazzo a Lahore, dove mettono al mondo sette figli e dove occupano un posto di rilievo a corte. Un giorno però il generale Allard assiste a una sati, il sacrifico della vedova sulla pira funebre del marito, allora piuttosto comune in India. Comincia a immaginare cosa potrebbe accadere a Bannu se lui morisse in India sul campo di battaglia, e decide quindi di portare tutta la famiglia a Saint-Tropez dove costruisce un palazzo per la sua sposa e per i suoi figli: il palazzo Pan Dei, che è adesso ridotto a meno di metà della sua originaria grandezza ed è stato tristemente ridotto dai nuovi proprietari a un banale e orrendo albergo in stile Buddha bar.

Lasciata in Francia la famiglia, Allard ritorna a Lahore e al suo esercito: ritornerà nell’Esagono soltanto un’altra volta prima di morire in combattimento, nel 1839, a Peshawar. Sarà sepolto, secondo i suoi desideri, a Lahore, con onori degni di un principe reale. Dall’altra parte del mare, intanto, Bannu, proprietaria anche di una bellissima casa di campagna e di molti acri di terra che arrivano a toccare il mare, passeggia ogni giorno fino alla spiaggia dove si ferma a guardare oltre l’azzurro, quella distesa d’azzurro che la unisce e la divide al tempo stesso da suo marito. Alla notizia della morte di Jean-François, Bannu decide di convertirsi al cattolicesimo perché, dice, quando morirà vuole trovarsi «nello stesso cielo di mio marito». Il suo personale modo, sostiene Henri Prévost-Allard che da Bannu e Jean-François discende direttamente, di immolarsi alla morte del marito. Quel marito per cui aveva abbandonato tutto senza voltarsi indietro e a cui desiderava essere unita per sempre. Di lei, in famiglia, rimangono i ritratti che la raffigurano da sola o con i figli. Restano scialli e abiti dai ricami squisiti, vestigia di un tempo che sembra sempre più lontano. Rimangono le scarpine con un minuscolo tacco della piccola Marie-Charlotte, la prima figlia morta a poco più di due anni. Rimane, soprattutto, il fortissimo legame con l’India trasmesso a suoi figli e da loro ai loro figli: un legame ancora talmente sentito che gli Allard continuano a considerarsi, come si sono sempre considerati, in parte indiani. Bannu e Allard, assieme al maharaja Ranjit Singh, vivono ancora, sotto forma di busti marmorei, in un grazioso giardinetto di Saint-Tropez. Vivono nei nomi delle strade, nel palazzo del centro. Nei ricordi di famiglia trasmessi e accuratamente conservati, nei viaggi in India degli Allard sulla tracce della memoria. Bannu è sepolta nel locale cimitero, che guarda il mare per sempre. E io me la immagino così. Me la immagino quasi al tramonto, in quell’ora dorata che rende il mare di Saint-Tropez ancora più azzurro e addolcisce i contorni di cielo e terra. Dritta in piedi ad aspettare e, forse, a guardare verso l’India. Per sempre.