La povertà che non ti aspetti

Nel 2015, quasi 600mila persone vivevano nell’indigenza. Nella ricca Svizzera è una realtà che sorprende. Per Gabriela Fankhauser, mamma single di Wangen an der Aare, significa lottare quotidianamente per arrivare a fine mese, a costo di grandi rinunce
/ 06.06.2017
di Luca Beti

C’è povertà e povertà. C’è la povertà estrema di chi sopravvive con meno di 1,25 dollari al giorno. Quella che ti obbliga a frugare in mezzo alla spazzatura, a vivere sotto un tetto di stelle o di lamiera, ad andare a dormire con lo stomaco sempre vuoto. È la drammatica realtà di quasi 850 milioni di persone.

Ma c’è anche la povertà di Gabriela Fankhauser, madre single di tre figli. Vive a Wangen an der Aare, nella ricca Svizzera. Con poco più di 4300 franchi al mese non riesce a volte a sbarcare il lunario. «Ho ricevuto una fattura imprevista della cassa malati. Ora non so proprio come fare per saldarla», ci dice con la voce rotta dalla preoccupazione e gli occhi che si fanno lucidi dietro agli occhiali. Ma finora Gabriela una soluzione l’ha sempre trovata. Lei e i suoi tre figli non hanno mai sofferto la fame, anche se di tanto in tanto le capita di non aver più un soldo per fare la spesa. «Con il passare degli anni ho sviluppato alcune strategie per superare le mie difficoltà economiche. Talvolta è il congelatore a salvarmi; lì conservo sempre qualcosa che potrebbe tornarmi utile a fine mese». 

Gabriela vive con i figli Pascal (10 anni), Dominic (7 anni) e Mattias (5 anni) nella periferia di Wangen an der Aare, villaggio di poco più di 2000 abitanti nel canton Argovia. La famiglia vive in affitto in un appartamento di quattro stanze e mezza, situato a cinque minuti dalla stazione. Non è una stamberga. È una normale abitazione della classe media svizzera. L’arredamento è quello classico: divano e televisore in salotto, quadri e fotografie alle pareti e un po’ di naturale disordine per una famiglia con figli piccoli. «Non sono povera», ricorda Gabriela mentre si gode una pausa caffè. «Ho una macchina, i figli sono vestiti decentemente e in tavola c’è sempre qualcosa da mangiare».

E allora che cos’è questa povertà? La povertà che non ti permette di vivere dignitosamente nonostante si possa contare su 4300 franchi al mese? L’Ufficio federale di statistica definisce la povertà un’insufficienza di risorse – materiali, culturali e sociali – che impedisce alle persone di vivere secondo un tenore di vita minimo ritenuto accettabile in Svizzera. Stando ai dati statistici del 2015, il 7 per cento della popolazione, ovvero 570mila persone – poco meno degli abitanti delle città di Berna e Zurigo messi assieme – vive in povertà. Rispetto all’anno precedente, il tasso di povertà è leggermente aumentato. Nel 2014 era del 6,6 per cento. 

Nel 2015, il 15,6 per cento della popolazione svizzera si trovava sulla soglia di rischio povertà, ovvero più di una persona su sette. Nei 28 Stati dell’Unione europea, questo tasso era mediamente del 17,3 per cento. Nei Paesi confinanti, Francia con il 13,6 per cento e Austria con il 13,9 per cento registravano un tasso di rischio povertà inferiore, mentre Germania (16,7%) e Italia (19,9%) una quota superiore a quella elvetica.

E proprio a questa categoria appartiene la famiglia Fankhauser. Per arrivare a fine mese Gabriela non può permettersi alcun colpo di testa con un salario di 2200 franchi e 2148 franchi di alimenti, per un totale di entrate mensili di 4348 franchi. Questo denaro le deve bastare per pagare l’affitto dell’appartamento (1600 fr.), i premi della cassa malati (716 fr.), le spese per l’economia domestica (1200 fr.) e altre fatture da pagare (500 fr.). A fine mese le rimangono poco più di 300 franchi. «Riesco solo in rari casi a mettere da parte qualcosa per le vacanze, per i regali di compleanno o di Natale, per uscire a pranzo o a cena con le amiche o semplicemente per gli imprevisti», indica la 37enne. E gli imprevisti sono il suo spauracchio. Mattias porta gli occhiali e soffre della sindrome da deficit di attenzione e iperattività, Dominic non ci sente da un orecchio e porta un apparecchio acustico. A scadenze regolari, la mamma deve recarsi con i figli a Berna per dei costosi controlli.

La famiglia Fankhauser non ha diritto all’assistenza sociale. «Siamo appena al di sopra del minimo esistenziale, in una sorta di zona grigia e quindi non riceviamo alcuna prestazione», spiega Gabriela. Nel 2015, la soglia media di povertà era situata a 3984 franchi per due adulti con due figli.

Come in una sorta di puzzle, la mamma single mette assieme i vari tasselli che l’hanno fatta scivolare lentamente nella situazione in cui si trova da alcuni anni. Nel 2012 si è separata dal marito e si è trasferita da un quartiere periferico di Berna a Wangen an der Aare per vivere vicino alla sorella. La separazione l’ha messa duramente alla prova. Nel primo anno, i bambini erano sempre ammalati e lei ha sofferto di una grave depressione. «Rimanevo ore ed ore sul divano a piangere», racconta la donna, affermando che è riuscita a uscirne grazie a una terapia e ai medicamenti. «Ho imparato a concedermi delle pause per non finire di nuovo fuori giri».

Per mantenersi a galla, oltre a essere mamma e casalinga svolgeva tre lavori diversi. Nei weekend liberi, quando i figli erano dal papà, lavorava di notte come infermiera in una casa anziani. Tre giorni alla settimana accudiva i bambini delle clienti e dei clienti di un centro fitness e, infine, durante due pomeriggi si occupava di un bambino come mamma diurna. Decisamente troppo. Ora lavora due giorni a settimana per il servizio di assistenza e cura a domicilio Spitex. «Per fortuna ho imparato una professione che ha delle condizioni salariali decenti», dice Gabriela. «Appena i figli saranno più grandicelli intendo seguire dei corsi di specializzazione».

Quello composto dalla 37enne di Wangen an der Aare è un puzzle rappresentativo. Nel 2015, delle 570mila persone colpite dalla povertà, 145mila erano attive professionalmente. Sempre stando agli ultimi dati dell’Ufficio federale di statistica, i gruppi sociali più esposti alla povertà sono i membri di famiglie monoparentali. Come i Fankhauser, nel 2014 anche il 22 per cento dei nuclei familiari con un solo genitore non disponeva di risorse sufficienti per trascorrere una settimana di vacanza all’anno lontano da casa.

Anche se non è un fenomeno nuovo, la povertà in Svizzera viene monitorata solo da alcuni decenni. L’Ufficio federale di statistica ha pubblicato i primi dati nel 1990. Nel corso degli anni, questi ultimi hanno contribuito a comprendere le cause e le conseguenze della povertà. Nel 2014 è stato lanciato il Programma nazionale di prevenzione e lotta alla povertà che riunisce Confederazione, Cantoni, Comuni, parti sociali e organizzazioni non governative. L’iniziativa, che si concluderà nel 2018, intende creare nuove basi di lotta e prevenzione e sviluppare una piattaforma comune per tutti gli attori coinvolti. Infine l’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, firmata nel settembre 2015 da 193 Stati membri dell’ONU, tra cui anche dalla Svizzera, oltre ad essersi posta l’obiettivo di mettere fine ad ogni forma di povertà estrema, chiede di ridurre almeno della metà la percentuale di persone che vivono in povertà secondo le definizioni nazionali. Entro il 2030, la Svizzera dovrà riuscire ad affrancare quasi 300mila persone dalla povertà. È un traguardo ambizioso, ma che infonde coraggio a chi vive sempre in ristrettezze come la famiglia di Gabriela Fankhauser. La giovane madre si accontenterebbe di poco: di fare una breve vacanza con i figli per staccare la spina, di trascorrere un mese senza preoccupazioni economiche, di aprire la buca delle lettere senza la paura di trovarvi una fattura imprevista.