La politica monetaria e il «mostro» UBS

La BNS aumenta il tasso di sconto per contrastare l’inflazione mentre continua l’incertezza legata al caso Credit Suisse
/ 03.04.2023
di Ignazio Bonoli

Anche la Banca Nazionale Svizzera (dopo la FED americana, la Banca Centrale Europea e altre banche centrali) ha deciso di aumentare il tasso di sconto di un mezzo punto percentuale portandolo all’1,5%, come di regola ben al di sotto di altri tassi guida. La misura – contrariamente a quanto di solito avviene – non era per nulla scontata. Infatti la BNS si è di colpo trovata a metà marzo in una situazione particolarmente delicata: frenare l’inflazione, ma senza pesare troppo sulla crescita economica, nonché finanziare un’operazione eccezionale come quella del caso Credit Suisse. Il tutto senza dimenticare che, per il 2022, la BNS ha chiuso il bilancio con una perdita di una cinquantina di miliardi di franchi.

Con l’aumento del tasso di sconto, la BNS ha voluto dare al mercato (e anche ai mercati internazionali) un segnale molto chiaro delle intenzioni di contenere nella miglior misura possibile il tasso d’inflazione. L’evoluzione dei prezzi in Svizzera è a un livello molto più basso che altrove: oggi il rincaro è al 3,4%, cioè al di sopra dell’obiettivo di un massimo del 2%. L’aumento di mezzo punto percentuale è piuttosto consistente per le abitudini elvetiche, ma sottolinea appunto la volontà dell’autorità monetaria di lottare efficacemente contro l’inflazione. La BNS tiene comunque conto del fatto che ciò significa un aumento dei tassi d’interesse, cosa che, per il momento, è ben vista dalle banche, ma magari un po’ meno dall’industria e dal turismo, nonché dai numerosi debitori ipotecari. La banca aveva però bisogno, in questi frangenti, di una significativa solidità del franco svizzero nei confronti delle altre valute principali. Cosa che si è puntualmente verificata.

La BNS prevede un tasso d’inflazione del 2,6% nel 2024 e del 2% nel 2025. I tassi di crescita dell’economia, secondo la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) saranno dell’1,1% nel 2023 e dell’1,5% nel 2024. Questo non esclude però che ci possano essere altri interventi, con rialzi dei tassi d’interesse da parte della BNS, ma soprattutto da parte di altre banche centrali, confrontate con tassi d’inflazione ben superiori. La situazione è comunque ricca di incertezze e aggravata dalle difficoltà di alcune banche, compreso il Credit Suisse. Come noto, il colpo di grazia al Credit Suisse è venuto da parecchie fonti, a cominciare dal fallimento della banca americana Silicon Valley, seguita da altre piccole banche regionali, ma con influssi pesanti su tutto il mercato finanziario. Al Credit Suisse è costata parecchio anche la dichiarazione del presidente, ora dimissionario, della Saudi National Bank che non avrebbe più sostenuto finanziariamente il CS, malgrado si trattasse dell’azionista di maggioranza. Nel frattempo si sono anche intensificate voci di altre difficoltà bancarie, tra cui quelle della grande Deutsche Bank.

È in questo contesto di generale mancanza di fiducia che Consiglio federale e Banca Nazionale hanno cercato una soluzione ai problemi del Credit Suisse. Probabilmente è stata la più drastica possibile, dato che ha comportato la scomparsa pura e semplice della seconda grande banca svizzera. Si poteva fare diversamente? Si poteva salvare il Credit Suisse? Queste e molte altre domande che sono sorte subito dopo la decisione, di domenica sera 19 marzo, di fare assorbire il Credit Suisse dall’altra grande banca svizzera UBS. I fatti sono noti, poiché la stampa scritta e parlata di tutto il mondo ne ha ampiamente riferito. Non bisogna però nemmeno dimenticare che, alla vigilia del tracollo, sia il Credit Suisse stesso, sia la FINMA e la Banca Nazionale affermavano che la banca era sana e corrispondeva a tutti i criteri i una banca «sistemica». Erano, però, molto grandi i timori che un crollo di una simile banca (determinato essenzialmente dalla fuga precipitosa di molti clienti), in Svizzera, potesse dare l’avvio a una crisi generale del sistema finanziario internazionale.

Sono infatti essenzialmente questi timori che hanno indotto il Consiglio federale a prendere una decisione drastica e sicuramente eccezionale nel sistema economico e giuridico svizzero. Tant’è vero che il Consiglio federale ha dovuto ricorrere al diritto d’urgenza, per quanto attiene agli aspetti giuridici, e all’aiuto di UBS per gli aspetti economici. A posteriori e dopo i primi stanziamenti di due volte 50 miliardi di franchi, si è saputo che l’operazione potrebbe costare 259 miliardi di franchi. Un terzo del PIL svizzero, per usare un termine di confronto.

A questo punto sono parecchie altre le domande che il mondo politico e finanziario si pongono, soprattutto nella Confederazione. All’estero l’operazione è stata valutata in termini positivi, forse anche perché ha permesso di evitare interventi di altre banche centrali o delle autorità monetarie internazionali. Era la soluzione giusta? Non si poteva salvare almeno la banca svizzera che ha chiuso il bilancio 2022 in attivo? Non si sono così creati altri problemi, con una soluzione che potrebbe avere grandi conseguenze sul mercato elvetico? Tutte domande che sorgono a vari livelli e alle quali si potrà forse dare una risposta fra un anno o, come qualcuno valuta, solo fra tre o quattro anni. Per il momento il presidente della direzione della Banca Nazionale ha escluso che l’intervento sia dovuto a pressioni dall’estero. Direttamente no, ma indirettamente sì. Oltre a quanto appena detto sopra, si sa che Governo e Banca Nazionale sono stati in contatto con la Federal Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti) e con la Banca Centrale Europea per evidenti motivi, soprattutto economici. Dei riflessi politici si parlerà, probabilmente troppo e con poco senso, nella sessione parlamentare che l’Ufficio del Consiglio nazionale ha, infine, deciso di convocare, con l’aggiunta di una Commissione parlamentare d’inchiesta. Tra tutti i commenti seguiti all’intervento, un titolo della «Neue Zürcher Zeitung» sembra riassumere bene la situazione creatasi: «È morto uno zombie, è nato un mostro». Il «mostro» è l’UBS che, ovviamente, farà pagare questo suo improvviso ruolo di banca «quasi statale».

Non solo, ma per la prima volta la Banca Nazionale Svizzera si è esposta senza chiedere – almeno temporaneamente – solide garanzie. In altri termini, la BNS ha ridotto la sua indipendenza dal potere politico e ha aiutato il Consiglio federale a risolvere una situazione dalle molte implicazioni politiche e finanziarie. In ogni caso si avrà a breve termine una situazione parecchio strana per la Svizzera. Una sola grande banca, per la quale lo Stato dovrà garantire il «to big to fail», ma che potrebbe operare in una situazione di quasi-monopolio. E questo, in un Paese finora rimproverato di avere troppe banche, è perlomeno curioso.