La nuova Guerra fredda Usa-Cina

Vertice Apec – L’organizzazione internazionale dei 21 Paesi che si affacciano sul Pacifico ha registrato l’ennesimo scontro tra Pechino e Washington. Uno dei più violenti finora proprio alla vigilia del summit G20 di Buenos Aires a cui parteciperanno anche Donald Trump e Xi Jinping
/ 26.11.2018
di Lucio Caracciolo

Il 1. dicembre, in una sala del miglior ristorante di Buenos Aires, il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, incontrerà il suo omologo americano Donald Trump. Sarà un’occasione importante per verificare lo stato delle decisive relazioni fra il Numero Uno a stelle e strisce e il suo sfidante cinese.

La rivalità fra le due potenze ha raggiunto negli ultimi anni un’intensità senza precedenti. Secondo Washington, Pechino ha approfittato da quarant’anni dell’apertura americana, che ha fra l’altro permesso l’ingresso della Repubblica Popolare nel Wto (2001), senza concedere nulla in cambio. La Cina si è servita a man bassa delle tecnologie made in Usa, talvolta rubandole, e ha manipolato la sua moneta per favorire le esportazioni. Ha ottenuto che alcune fra le più importanti aziende statunitensi installassero sul suo suolo rami produttivi e pezzi rilevanti della loro catena del valore, a scapito dei lavoratori americani – che infatti hanno votato Trump puntando sulla sua dichiarata volontà di riportare a casa fabbriche e imprese di servizi. Washington ha inoltre concesso tariffe molto basse per le merci cinesi. In cambio, i governi americani speravano che almeno si avviasse un processo di liberalizzazione, di apertura e in ultima analisi di democratizzazione della società e dello Stato cinese. Niente di tutto questo. Semmai il contrario.

Da quando Xi Jinping ha scalato prima il partito – di cui è diventato segretario generale nel 2012 – poi lo Stato (di fatto subordinato al partito), assurgendo l’anno dopo alla presidenza della Repubblica, il rapporto è vistosamente peggiorato. Xi ha avviato un robusto progetto di «risorgimento» del Dragone che dovrebbe culminare nel 2049, centenario della nascita della Repubblica Popolare Cinese, con l’affermazione del suo Paese come principale potenza mondiale. A riscattare il secolo del declino, avviato negli anni Quaranta-Cinquanta dell’Ottocento con le guerre dell’oppio, con la penetrazione delle potenze occidentali nell’Impero del Centro, e con la conseguente frammentazione geopolitica da cui solo cent’anni dopo con Mao, fondatore della «dinastia rossa», la Cina ha cominciato a riprendersi.

Il marchio di questa strategia sono le «nuove vie della seta». Un progetto di sviluppo infrastrutturale Asia-Europa, centrato sulla (e largamente sovvenzionato dalla) Cina. Così almeno sulla carta. Nella realtà, una sorta di controglobalizzazione alla cinese, destinato a proiettare l’economia e la potenza di Pechino negli Oceani, a oggi controllati dalla Marina statunitense, e lungo la massa continentale eurasiatica. Grazie a questo marchio Pechino sta costruendo attorno a sé una sfera d’influenza asiatica.

Qui però incontra la crescente resistenza americana, materializzata in una strategia di contenimento imperniata sul Quad – un’intesa fra Stati Uniti, India, Giappone e Australia – e destinata a impedire la materializzazione di un nuovo impero cinese. In Asia e non solo. Di questo scontro l’ultimo episodio è stato il recente vertice Apec – l’associazione delle principali economie dell’Asia-Pacifico – tanto che alla fine non si è riusciti a varare un comunicato finale congiunto fra tutti i paesi.

Il vertice ha seguito di pochi giorni quello che alcuni hanno ribattezzato come «nuovo discorso di Fulton», ricordando il discorso pronunciato da Churchill nel 1946 con il quale l’ex premier britannico denunciava la «cortina di ferro» Stettino-Trieste e di fatto apriva la Guerra fredda. A pronunciarlo, il vice di Trump, Mike Pence. Nel quale, insieme alle più gravi accuse lanciate alla Cina, si invitavano i paesi della regione a non accettare investimenti cinesi per non finire strangolati dal debito verso Pechino e venire quindi inghiottiti nell’impero cinese.

Tutto ciò ha scatenato in Asia e non solo una gara fra gli altri paesi coinvolti nelle vie della seta per ottenere il massimo dalla competizione fra i due arcirivali. Essenzialmente puntando a mantenere e sviluppare i rapporti economici con Pechino e a garantirsi l’ombrello di sicurezza offerto – non gratuitamente – dalla superpotenza a stelle e strisce. È il caso del Giappone, che da un lato rilancia il rapporto con la Cina a causa della forte integrazione economica e commerciale, dall’altro non rinuncia alla protezione americana.

Comunque vada l’incontro di Buenos Aires, la sfida sino-americana è destinata perciò a segnare il futuro del pianeta per i prossimi decenni. È consigliabile per tutti, europei compresi, allacciare le cinture di sicurezza. Perché da questo duello dipende il futuro di ciascuno di noi.