La nuova corsa coloniale all’Africa

Cina, Turchia, Russia e non solo estendono la loro influenza su un Continente ricco di materie prime e potenzialità
/ 24.01.2022
di Lucio Caracciolo

Quasi due secoli dopo la prima ondata coloniale in Africa, assistiamo a una sua ripetizione in grande stile. In contesti, con mezzi e attori diversi, l’obiettivo permane lo stesso: acquisire spazi di influenza in un Continente immenso, percepito privo di storia quindi inferiore, possibilmente da «civilizzare»; accedere a formidabili risorse materiali, specie minerarie; disporre di forza lavoro a bassissimo costo. Il tutto per la maggior gloria della potenza di origine. Un tempo europea, oggi soprattutto asiatica e non solo.

Perché l’Africa? Si considerino solo le sue enormi dimensioni fisiche, ma soprattutto umane. Oggi si contano (si fa per dire) circa 1 miliardo e 400 milioni di umani nel Continente nero. Di qui a trent’anni se ne prevedono 2 miliardi e mezzo. Solo l’Asia possiede un numero superiore di abitanti. E si valuti soprattutto la fragilità (eufemismo) delle istituzioni, ovvero il dominio di istituzioni informali, basate su identità etniche, talvolta tribali, che travalicano o incidono dall’interno quelle «nazionali». L’idea di poter trasformare in Stati nazionali all’europea gli ex possedimenti coloniali, di moda negli anni Sessanta del secolo scorso, nell’ora alta delle decolonizzazioni, era e si è confermata piuttosto fantasiosa. Risultato: chiunque voglia occuparsi di Africa deve scartare le delimitazioni confinarie cartografate negli atlanti e dedicarsi allo studio del radicamento territoriale dei poteri effettivi, quasi mai coincidenti con quelli ufficiali. Inoltre occorre guardarsi dal considerare il Continente un tutto, perché se ne perderebbero di vista le numerose, decisive faglie.

Su questo sfondo è in corso da trent’anni almeno un nuovo scramble for Africa, di cui fino a poco tempo fa la Cina era protagonista quasi assoluta. Una volta evaporata o limitata l’influenza delle potenze europee, e considerando lo scarso interesse americano per le terre da cui pure origina una quota consistente della popolazione statunitense, la Repubblica popolare ne ha profittato per stabilirsi in gran parte degli spazi africani. Rivolgendosi alle élite, comprese quelle più o meno criminali. I cantieri cinesi nelle città e soprattutto nei porti africani, le ardite ma spesso arronzate infrastrutture di marca sinica erano e restano impressionanti. Le correlative capacità di incidenza nelle realtà locali e di strumentalizzazione dei soggetti africani ai fini della propria geopolitica, della espansione dei propri mercati e della disponibilità di materie prime sono fattori propulsivi della potenza cinese nel mondo.

Solo di recente, con strumenti e stili differenti, altri coprotagonisti sono penetrati in quegli spazi, spesso in concorrenza con la Cina. Fra tutti, Turchia e Russia, ma anche Giappone, India, Paesi arabi del Golfo. Senza considerare gli attori europei, su tutti la Francia, che considera l’Africa settentrionale e quella occidentale parte del proprio residuo impero informale (Françafrique). Ecco quindi la spartizione della Libia fra Ankara e Mosca, o la penetrazione russa in Mali, Sudan, Repubblica centrafricana. Di speciale interesse per noi europei l’ingresso o il ritorno di potenze esterne in Nordafrica e nella fascia saheliana, lungo la direttrice est-ovest che lega Mar Rosso e Golfo di Guinea. La novità di maggior momento è qui la divisione della ormai ex Libia fra Turchia, titolare della Tripolitania, e Russia, sempre più radicata in Cirenaica. Con il «vallo di Sirte» a separare i due territori.

La valenza di questa manovra, in parte concordata o comunque accettata da turchi e russi, è triplice. Sotto il profilo globale, l’insediamento a ridosso dello Stretto di Sicilia di una potenza neoimperiale, per quanto formalmente inquadrata nell’Alleanza atlantica, e del nemico numero uno bis degli Stati uniti, sconvolge gli equilibri in quello che a tutti gli effetti è il Medioceano. Ovvero il Mare Mediterraneo inteso come connettore fra gli Oceani Indo-Pacifico, epicentro della sfida Usa-Cina, e Atlantico, simbolo della talassocrazia americana nella sua proiezione europea. Nel quadro euro-mediterraneo, perché di fronte al ventre molle italiano si stagliano due potenze certo non affidabili, se non esplicitamente avverse. In particolare, la Turchia è oggi considerata il nemico principale dalla Francia. E non solo per la sua intrusione nel pré carré africano caro a Parigi ma soprattutto perché considerata riferimento dell’islamismo radicale nell’Esagono.

Infine, sotto l’aspetto dei flussi migratori. La Tripolitania è sbocco preferenziale della rotta migratoria centrale, che dall’Africa profonda via Mediterraneo e Italia porta nel cuore dell’Europa. Ankara è tentata di ripetere la manovra riuscita sul versante turco-greco: ergersi a sentinella di frontiera in cambio di lauta remunerazione. L’avvertimento è specialmente rivolto all’Italia, Paese di primo arrivo in Europa. Comunque la si voglia vedere, la convergenza di grandi potenze esterne in Africa induce a rivalutare il peso strategico di un Continente spesso considerato ai margini della storia. Non lo è mai stato del tutto, e certamente non lo è adesso. La gerarchia del potere mondiale si stabilisce includendo l’Africa nell’equazione.