Grattacapi per europei e americani

L’invasione russa dell’Ucraina ha messo in crisi anche le attività spaziali europee e americane condotte in collaborazione con l’agenzia spaziale russa Roscosmos. Nel marzo scorso l’Agenzia spaziale europea (Esa) ha confermato: il lancio della sonda Exomars – per la scoperta di Marte – con a bordo il rover Rosalind Franklin, che doveva essere effettuato in settembre, è stato sospeso. Il rover doveva essere depositato sulla superficie del Pianeta rosso da un veicolo di sbarco russo e la sonda partiva dal poligono di Baikonur in Kazakistan con un razzo russo Proton. L’Europa lavora da circa vent’anni alla missione e deve affrontare un nuovo rinvio dopo quello deciso nel 2020 per i problemi dei paracadute di sbarco.

Inoltre la Nasa e l’Esa hanno concordato di rivedere la progettazione e le tempistiche delle prossime missioni della Mars sample return campaign, la staffetta robotica Nasa-Esa finalizzata a portare sulla Terra pezzi di Marte. La proposta della Nasa consiste nel raddoppiare il carico a bordo della missione di raccolta, inviando due veicoli con lo stesso lancio. Una scelta che allungherebbe i tempi, abbassando però al contempo il rischio complessivo del programma. I due veicoli dovrebbero essere lanciati nel 2028 e per il 2033 è previsto il rientro ufficiale dei campioni sulla Terra. / Red.


La nuova corsa allo spazio

Il conflitto in Ucraina ha accelerato il processo di allineamento della Russia alle ambizioni spaziali della Cina
/ 04.07.2022
di Giulia Pompili

La Cina ha intenzione di andare su Marte, raccogliere campioni della superficie del quarto pianeta del Sistema solare e riportarli sulla Terra entro il mese di luglio del 2031. Cioè due anni prima della missione parallela di America ed Europa. Lo ha annunciato di recente Sun Zezhou, capo progettista della missione cinese Tianwen-1 diretta su Marte, il cui lancio è previsto nel 2028. Il piano è ambizioso e a livello scientifico potenzialmente rivoluzionario, ma quel che conta di più, politicamente, è dimostrare il fatto che la Cina possa battere sul tempo la coalizione occidentale, in quella che a tutti gli effetti comincia a somigliare sempre di più a una nuova corsa allo spazio dove uno dei due protagonisti è cambiato: non più l’Unione Sovietica ma la Repubblica popolare cinese.

Il consulente del governo entra nella sala riunioni: «Questo è il nuovo fronte della Guerra fredda. Se i sovietici vogliono costruire un avamposto militare lunare lassù, anche il presidente ne vorrà uno, e lo vorrà per primo. A partire dalla missione Apollo 12, esploreremo la posizione adatta per un’installazione militare permanente sulla Luna». «Assolutamente no», risponde risoluto il capo delle missioni spaziali. «Siamo un programma scientifico, non un parco giochi per Big Jim». La scena non è realmente avvenuta, ma è straordinariamente verosimile. Siamo nel contesto di un’ucronia, cioè la descrizione di un avvenimento, di un periodo storico sulla base di elementi e dati ipotetici o immaginari.

La serie televisiva For all mankind, di cui sta andando in onda la terza stagione, creata e scritta dagli sceneggiatori Ronald D. Moore, Matt Wolpert e Ben Nedivi, inizia con la vittoria da parte dell’Unione Sovietica della corsa allo spazio. Di conseguenza la conquista della Luna diventa un’ossessione politica per la Casa Bianca, e soprattutto un’ossessione militare. Come in un romanzo, la narrazione della serie sviscera tutti i temi fondamentali per capire non solo la competizione che c’è stata tra gli anni Sessanta e Settanta in orbita, ma anche quella che stiamo vivendo oggi: la ricerca scientifica che si fonda sulla cooperazione mondiale ostacolata dagli obiettivi strategici, la sicurezza nazionale, lo spionaggio, la funzione della comunicazione. «Ai russi non piace pubblicizzare i loro fallimenti», dice a un certo punto un analista. «Diversamente da noi», ribatte un astronauta seccato. E un altro lo zittisce: «Questo è il prezzo da pagare per vivere in una società libera». C’è dentro soprattutto il ruolo della Difesa che nelle questioni spaziali a un certo punto della storia era diventato prioritario, ed è tornato prioritario anche oggi.

Dopo la fine della corsa allo spazio, fatta coincidere con l’allunaggio da parte dell’Apollo 11 il 20 luglio del 1969 e la vittoria dell’America, i successivi decenni sono stati caratterizzati dalla cooperazione spaziale, anche e soprattutto tra Washington e Mosca. La guerra in Ucraina però ha cambiato tutto, anche nei progetti al di là dei confini terrestri, e ha accelerato un allontanamento tra i membri della coalizione delle potenze spaziali occidentali (l’America della Nasa, ma anche l’Unione europea con l’Esa, il Canada, il Giappone) e l’avvicinamento definitivo della Russia alle ambizioni spaziali della Cina.

In effetti il programma spaziale è una delle priorità della leadership di Pechino già da anni, che sta investendo budget che sarebbero inimmaginabili per altri paesi. I dati sono secretati, ma si parla di almeno 9 miliardi di dollari l’anno. Qualcuno però sospetta siano molti di più: nel 2021 la Cina avrebbe eseguito 55 lanci nello spazio, stabilendo un nuovo record per un singolo paese. Nel corso di quest’anno vuole arrivare a quota 60. C’è una componente di supremazia tecnologica e scientifica, ma c’è anche tantissima retorica e propaganda simile a quella di America e Russia durante la prima corsa allo spazio. Nel giro di un decennio la Repubblica popolare cinese è riuscita a dare forma alla sua Stazione spaziale orbitante, la Tiangong, il «Palazzo nel cielo». L’ultima missione per il suo completamento, con a bordo tre taikonauti (così si chiamano gli astronauti cinesi) è iniziata qualche settimana fa, tra gli slogan propagandistici dei media statali. Quando la Stazione spaziale internazionale – l’unico luogo ancora attivo in cui la Nasa, la Roscosmos, la potente agenzia spaziale russa, l’Europa e il Canada ancora collaborano – sarà dismessa, molto probabilmente nel 2031, l’unica stazione in orbita bassa abitata da astronauti sarà quella cinese. E così, nell’isolamento internazionale dovuto all’aggressione militare dell’Ucraina, la Russia si ritrova oggi a dover esplorare nuove alleanze. Quella con la Cina è la più naturale.

Il 12 aprile scorso (il giorno in cui si celebrano a livello mondiale i viaggi dell’uomo nello spazio, perché nel 1961 il cosmonauta russo Yuri Gagarin entrò nella storia diventando il primo essere umano a raggiungere l’orbita terrestre) il presidente Vladimir Putin, insieme con l’alleato di ferro, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, ha visitato il cosmodromo di Vostochny, nell’estremo oriente della Russia. La guerra in Ucraina era iniziata già da più di un mese e la coalizione occidentale aveva già reagito imponendo sanzioni alla Russia, e a gran parte dei settori tecnologici e della Difesa russi. Da un cosmodromo ancora in costruzione Putin ha elencato tutti i grandi successi spaziali del passato sovietico e ha detto che «la Russia di oggi, con le tecnologie avanzate a sua disposizione, può continuare a lavorare al suo programma spaziale». Mosca e Pechino hanno già iniziato a lavorare per integrare il sistema di geolocalizzazione satellitare russo, il Glonass, con il recentissimo sistema cinese BeiDou, in diretta concorrenza con il sistema satellitare più usato al mondo, il Gps americano. L’anno scorso Cina e Russia hanno firmato un’intesa per la costruzione congiunta di una base di ricerca permanente sulla Luna. Un progetto simile è stato svelato anche all’interno del programma Artemis della Nasa. Come nella serie tv For All Mankind, la conquista della Luna, anche oggi che abbiamo a disposizione le tecnologie più avanzate, è indispensabile per avere una base di lancio per mandare gli esseri umani verso Marte o verso lo spazio profondo. È per questo che Pechino si affretta con i suoi progetti e la Russia di Putin ha già scelto in quale squadra giocare nella nuova corsa allo spazio.