L’espressione più efficace l’ha usata Thomas Haldenwang, presidente dell’Ufficio per la protezione della Costituzione tedesca, durante un’audizione al Bundesrat: «La Russia è la tempesta, la Cina è il cambiamento climatico». La guerra del Cremlino contro l’Ucraina, iniziata il 24 febbraio, è stata una sveglia per l’Europa che è stata costretta a sostenere misure fino a qualche mese fa impensabili, soprattutto sul fronte energetico, pur di togliere «armi» nelle mani di Vladimir Putin. Ma le azioni di Mosca hanno portato a rivedere, più in generale, i rapporti dei Paesi europei con quelli più autoritari e influenti. Soprattutto con la Cina.
Se pure la tempesta finirà, e finirà, voleva dire Haldenwang con le sue parole, quello che dovremmo affrontare per i prossimi anni è in realtà il «cambiamento climatico», che si manifesta in forme diverse, ma mette in pericolo tutti, in modo molto più esteso e complicato da prevedere. Nella stessa audizione il capo generale dell’intelligence tedesca, Bruno Kahl, si è dichiarato contrario a qualunque partecipazione cinese nelle infrastrutture critiche del Paese, perché «in caso di contrasto tra Berlino e Pechino, quelle potrebbero essere usate contro di noi». Nell’ultimo Consiglio europeo dedicato ai rapporti dell’Ue con la Cina, lo scorso 21 ottobre, si è parlato soprattutto di questo: mettere in sicurezza i Paesi membri da una eventuale, futura minaccia cinese.
Per sapienza del destino, il Consiglio è arrivato nelle stesse ore in cui a Pechino andava in scena la liturgia del Congresso del Partito comunista cinese che, come previsto, ha consegnato nelle mani del leader Xi Jinping non solo il posto più importante della formazione politica, cioè quello da segretario generale per un terzo inedito mandato, ma anche tutti i ruoli chiave dell’istituzione a dei fedelissimi di Xi. Il risultato è che la Cina è un Paese sempre più impenetrabile, dove gli equilibri di potere interni sono stati cancellati dalla leadership di Xi, che si avvia a essere, questa volta davvero, l’uomo solo al comando. Il rafforzamento di Xi Jinping è l’ennesimo messaggio che arriva in Europa, dove diversi Paesi cercano di mantenere dei rapporti commerciali e di business in virtù di una pax economica ormai legata al passato. «È chiaro che la Cina sta andando avanti con il suo obiettivo di affermare il proprio dominio in Asia orientale e la propria influenza a livello globale», ha affermato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. «Allo stesso tempo, come ricorderete, a febbraio abbiamo assistito alla cosiddetta partnership senza limiti tra Russia e Cina, proprio prima dell’invasione dell’Ucraina. Questi sviluppi influenzeranno le relazioni Ue-Cina».
L’amicizia tra Xi e Putin è di convenienza, ideologica: per Pechino serve soprattutto a mostrare i danni di un Occidente rafforzato, assertivo e che crea alleanze difensive. Per il Cremlino la partnership con la Cina serve a mostrare al mondo che l’isolamento non è un vero isolamento, che c’è sempre una via d’uscita. Qualcuno, in Europa, l’ha chiamata l’alleanza delle autocrazie che vorrebbero stravolgere l’ordine mondiale fondato sulle regole e scriverne uno nuovo, magari a guida cinese. Ma che cosa significa, nel concreto? L’atteggiamento dialogante dell’Europa nei confronti della Cina si è andato deteriorando, man mano che Pechino reagiva a delle legittime istanze europee in modo scomposto ed esagerato. A marzo 2021 la Commissione europea aveva sanzionato alcuni dei funzionari cinesi considerati responsabili delle violazioni dei diritti umani nella regione dello Xinjiang. Pechino aveva reagito ponendo restrizioni contro diversi membri delle istituzioni europee, compresi parlamentari. E non è un caso se i Paesi che più avevano lanciato allarmi sull’atteggiamento sempre più bellicoso della Russia nei riguardi della vicina Ucraina sono gli stessi che da tempo cercano di dimostrare che il pericolo cinese è molto, molto simile. È il caso dei Paesi baltici e soprattutto della piccola Lituania.
Alla fine dello scorso anno il Governo dell’ex Paese membro dell’Unione sovietica ha deciso di aprire un ufficio di rappresentanza di Taiwan chiamandolo proprio così, «di Taiwan», ignorando le richieste cinesi di definirlo «di Taipei». Sembra un dettaglio linguistico ma non lo è: la Repubblica popolare cinese rivendica da sempre l’isola di Taiwan come proprio territorio, anche durante il Congresso Xi Jinping ha detto che la «riunificazione è inevitabile», e da anni conduce un isolamento diplomatico forzato nei confronti dell’isola de facto indipendente e autogovernata, per esempio evitando che i suoi partner in giro per il mondo la chiamino col suo nome.
Ma la Lituania è andata avanti, soprattutto per una questione ideologica: sia la Lituania sia Taiwan sono in prima linea per difendere la democrazia, dicevano i rispettivi rappresentanti diplomatici. La reazione è stata durissima: la Cina ha degradato le relazioni con Vilnius e poi ha iniziato un violento boicottaggio economico di beni e servizi lituani. Quello lituano è diventato un caso che ha fatto scuola e all’ultimo Consiglio europeo c’è stato un generale consenso nel ritenere che con la Cina non bisogna fare gli stessi errori che l’Europa ha fatto con la Russia: per esempio rendendosi dipendenti da Pechino nel settore della produzione tecnologica e nelle infrastrutture strategiche come il 5G. Dentro l’Unione, osservata speciale resta la Germania del cancelliere Olaf Scholz che, nonostante il parere contrario di diversi ministri della sua coalizione di Governo, ha deciso di cedere al colosso cinese Cosco una quota del porto di Amburgo. Per Scholz «l’Ue si vanta di essere un’unione interessata al commercio globale e non si schiera con chi promuove la deglobalizzazione», cioè il famoso decoupling, soprattutto tecnologico, che l’Amministrazione Biden sta promuovendo da mesi per contenere l’influenza economica cinese.
Ma qualcosa è cambiato nel rapporto del resto del mondo con la Cina, soprattutto dopo il 24 febbraio scorso. «L’era del post-guerra fredda è finita», ha detto Biden. Come si muoverà la Svizzera, tradizionalmente neutrale, che ha importanti rapporti commerciali con Pechino? La scorsa estate l’ex direttrice della Segreteria di Stato dell’economia (Seco), Marie-Gabrielle Ineichen-Fleisch, si era spinta a dire alla «Neue Zürcher Zeitung» che Berna si adeguerebbe alle eventuali sanzioni dell’Unione europea contro la Cina, nel caso di un eventuale attacco armato a Taiwan. Staremo a vedere.