La tecnologia cambia, i costumi pure e non sempre le cose vanno necessariamente peggio del passato. Nove anni fa, il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg sosteneva che l’era della privacy fosse finita, due settimane fa ha annunciato che «il futuro è privato». Fino ad aprile scorso diceva che il suo network non avrebbe mai esercitato la censura nei confronti di chi diffondeva fake news, a inizio maggio ha bloccato sette account cospirazionisti americani di grande rilievo. Tre anni fa, quando si è cominciato a capire che le bufale circolate sulla piattaforma social potevano aver influenzato il risultato elettorale delle elezioni presidenziali americane, Zuckerberg ha liquidato l’idea come «folle», mentre a inizio maggio Facebook ha ammesso di essere assediato da miliardi di account falsi che cercano di inquinare i pozzi dell’opinione pubblica, per manipolare le elezioni europee e americane e per fare soldi, diffondendo fake news, disinformazione e linguaggio d’odio.
L’evoluzione del pensiero di Zuckerberg è da salutare con entusiasmo, ma non è detto che sia sufficiente a fermare l’attacco alle istituzioni e ai processi democratici occidentali che si rinnova ogni volta che si aprono le urne. L’Fbi e i vertici dell’intelligence americana hanno pubblicamente avvertito che le attività russe per influenzare le elezioni restano «una minaccia significativa» e Facebook ha convocato diversi giornalisti internazionali nella «war room» di Dublino per mostrare quanto si sta adoperando per proteggere le elezioni europee di fine mese dagli attacchi degli apparati del Cremlino.
Nella sede di Dublino di Facebook, lavorano quaranta persone notte e giorno per monitorare che cosa succede nel discorso online che si svolge sulla piattaforma di Zuckerberg, alla ricerca di segnali di manipolazione e di notizie false in tutte e ventiquattro le lingue ufficiali dell’Unione europea. Il team si avvale di esperti di intelligence, data scientist, ricercatori e scienziati e anche della task force americana che ha difeso il sistema statunitense in occasione delle elezioni di metà mandato del novembre scorso.
La protezione delle elezioni europee dagli attacchi esterni non è un’impresa facile, tenendo conto che tra l’ottobre del 2017 e il novembre 2018 sono stati cancellati due miliardi e ottocento milioni di account falsi, ma anche perché accanto agli account falsi ci sono anche quelli veri che spacciano notizie false. Il processo di vendita di spazi pubblicitari, dicono a Dublino, adesso è molto più rigoroso rispetto al passato, ma nelle settimane scorse gli organi di stampa spagnoli e inglesi hanno svelato attività di propaganda e disinformazione politica completamente sfuggiti al team e agli algoritmi di Facebook.
Il quotidiano italiano «La Stampa» ha riportato le parole della Commissaria europea per la Giustizia, Vera Jourova, volata a Washington ad aprile anche per discutere questa minaccia: «Abbiamo ricevuto notizie da diversi Stati membri secondo cui le campagne di disinformazione sono riprese ovunque». Secondo il quotidiano di Torino, «gli specialisti della sicurezza digitale legati alla comunità dei servizi occidentali hanno cominciato a lavorare da tempo e sostengono di aver già individuato tra 250 account di Twitter attivi in Francia 100 in Germania, per influenzare il voto del 26 maggio. Si tratta di bots, ma anche di persone fisiche».
La strategia del caos orchestrata da Mosca si è evoluta, raccontano gli esperti: la disinformazione non passa più soltanto attraverso bot e falsi account, e non è più sufficiente individuare i finti siti di informazione e guardarsi da quelli ufficiali della propaganda del Cremlino, perché «gli investigatori hanno individuato siti che sembrano innocui portali di think tank – ha scritto «La Stampa – ma che in realtà sono creati dai servizi russi per diffondere il loro materiale. I sospetti si concentrano su pagine come Global Research, che si presenta come un gruppo di studio basato in Canada, ma pubblica analisi che sembrano scritte apposta per difendere gli interessi di Mosca, tradotte anche in italiano. Il discorso è simile per South Front e altri siti in inglese, registrati però in Russia».
«Sono le elezioni più vulnerabili di sempre», ha titolato con enfasi il sito Politico mettendo in guardia i paesi europei. «L’Unione europea non ha un piano per fermare l’interferenza», ha risposto il mensile Wired. In realtà, già a dicembre, i vertici dell’Unione hanno lanciato quella che hanno definito una «guerra alla disinformazione» del Cremlino, proprio con l’obiettivo di proteggere il voto europeo. Il vice presidente della Commissione Andrus Ansip, ha detto che «ci sono forti prove che indicano la Russia come la primaria fonte di disinformazione in Europa». La disinformazione, secondo Ansip, fa parte della dottrina militare della Russia e della sua strategia per dividere e indebolire l’Occidente: «La Russia spende oltre un miliardo di euro l’anno per sostenere i media pro Cremlino». La risposta europea per ora si è limitata alle pressioni sulle piattaforme digitali e a una task force per aiutare i paesi dell’Unione a individuare le campagne ostili. Ma con un budget di soli 5 milioni di euro, e 27 sistemi e strutture di voto diversi, la difesa del processo democratico europeo è stata lasciata agli Stati membri.