La «guerra del silenzio» di Pio XII

Andrea Riccardi approfondisce il tema dell’atteggiamento del Papa e del Vaticano durante la Seconda guerra mondiale
/ 03.07.2023
di Enrico Morresi

La questione è uscita dall’attualità, ma il dibattito storiografico è stato importante, soprattutto sul giudizio da dare su Papa Pio XII e il Vaticano durante la Seconda guerra mondiale. Va però riconosciuto importante il volume con cui Andrea Riccardi opera una sintesi praticamente esaustiva del periodo e della questione. Lo storico torna sul tema principale dei suoi studi, citando gli avvisi concomitanti, in assenso o dissenso, con note puntuali e una bibliografia estesissima (La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei, Laterza).

Chi è dell’età di Riccardi, nato nel 1950, ricorda lo scandalo sollevato dall’opera teatrale Il vicario del tedesco Rolf Hochhut, lanciata nel 1963. Erano gli anni del Concilio (1962-65) e la memoria di Pio XII (Eugenio Pacelli, 1876-1958) era ancora viva. Di lui oggi si ricordano soprattutto le aperture (e qualche chiusura) in tema di teologia e di liturgia, o la proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria (1946). Con la forza della denuncia, Hochhut rimetteva in gioco la responsabilità del capo della Chiesa negli anni della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione di Roma da parte dei tedeschi (autunno 1943-estate 1944), dell’eccidio delle Fosse Ardeatine (marzo 1944) e nella deportazione sistematica della comunità ebraica. La critica colpiva nel segno, perché Pio XII si era fermato alla soglia della denuncia, limitandosi a una nota diplomatica di protesta che Hitler respinse senza neppure leggerla, e che perciò rimase inefficace. Il mancato giudizio era riportato alla latente avversione anti-ebraica nutrita dai cattolici e non solo degli ambienti ecclesiastici vaticano. A Hochhut, nella polemica seguita alle sue denunce, si oppose il rifugio offerto da conventi, scuole e istituti extra-territoriali che la Santa Sede e molte comunità religiose possedevano in Roma, il che assicurò salvezza e protezione fino alla Liberazione a migliaia di perseguitati d’ogni razza e orientamento politico. Materia incandescente, che molto probabilmente ha influenzato il (finora) mancato riconoscimento della santità di Pio XII.

Anche da parte dell’ebraismo contemporaneo l’accusa di antisemitismo lanciata contro Pio XII è venuta meno. Rimane aperto il giudizio storico sugli atti e le omissioni con cui Pacelli e i suoi collaboratori reagirono agli avvenimenti di cui erano testimoni, soprattutto dopo la Conferenza del Wannsee, d’inizio 1942, che diede l’impulso decisivo allo sterminio pianificato degli ebrei. A Pio XII mancò il coraggio che ebbero i vescovi olandesi, di denunciare le deportazioni verso i campi di sterminio. Ma – attenti! – quella denuncia aveva provocato l’estensione delle deportazioni ai cattolici d’Olanda – vittima illustre la filosofa Edith Stein, nata ebrea, ma deportata e uccisa ad Auschwitz da monaca cattolica. Vi erano dunque ragioni obiettive per indurre il papa sia alla denuncia sia all’omissione? Nell’emozionante radiomessaggio natalizio del 1942, Pio XII giunse vicino alla condanna esplicita, citando «la stirpe» tra i motivi della persecuzione. Il termine fatale «la razza» rimase non citato! E di silenzio si può ben parlare per la mancata denuncia della repressione brutale degli anti-nazisti (e specialmente degli ebrei) nella Roma occupata durante l’inverno 1943-44…

Il giudizio di Riccardi, se si mantiene prudente sulla rinuncia di Pio XII a una condanna esplicita del nazismo, dimostra invece meno comprensione per la mancata reazione alla repressione della Resistenza in Roma e la deportazione sistematica degli ebrei romani, di cui il papa era pur testimone nella propria città. Fatti che Riccardi descrive con totale franchezza. Il volume va dunque considerato un regesto autorevole e (forse) definitivo sulla «guerra del silenzio», come viene definita in copertina, su cui la storiografia può comunque continuare a esercitarsi. Si sa che non tutti i documenti che riguardano Papa Pacelli sono stati messi a disposizione degli studiosi, l’impressione è tuttavia che l’essenziale sia conosciuto.In storiografia niente è mai definitivamente assodato. Ma, a tanti anni da quei tragici avvenimenti, abbiamo una guida utilissima alla conoscenza dei fatti e dei giudizi che li hanno accompagnati. Non al pregiudizio! Ma questo agli onesti non serve.