La guerra del gas continua

Putin spera nel cedimento dell’Ue prima che l’assenza di entrate dalle bollette europee faccia saltare i suoi conti. Bruxelles vaglia i modi per sottrarsi alla dipendenza energetica da Mosca
/ 18.07.2022
di Anna Zafesova

Volodymyr Zelensky non ha più alcun dubbio: «Ormai è chiaro che la Russia cercherà non soltanto di limitare il più possibile, ma anche di chiudere completamente la fornitura di gas all’Europa nel momento più difficile. Questo è ciò a cui dobbiamo prepararci ora». Il presidente ucraino ha delineato questa prospettiva in uno dei suoi discorsi pronunciati ogni sera, reagendo alla disputa sulla turbina che il Canada non voleva fornire alla Germania per il funzionamento del gasdotto Nord stream 1. La turbina della Siemens, in riparazione a Montréal, è diventata il pretesto per un braccio di ferro energetico che, almeno in un primo momento, è stato vinto da Berlino e da Mosca. La seconda ha usato l’assenza del macchinario per bloccare il principale gasdotto che porta il metano russo in Nord Europa, e la prima ha costretto i partner occidentali a esentarla dalle sanzioni con una scappatoia burocratica. Un cedimento che, secondo Zelensky, apre la strada alla guerra del gas: «Ogni concessione viene percepita dalla dirigenza russa come un incentivo per ulteriori, più forti pressioni. La Russia non ha mai rispettato le regole nel settore energetico e non giocherà correttamente nemmeno ora, a meno che non sia obbligata a farlo».

Pochi si illudono che la sospensione, da parte di Gazprom, dell’erogazione del gas verso l’Europa – per ora decisa per la durata di dieci giorni, con la scusa di un «problema tecnico» dovuto appunto alla turbina rimasta in Canada – non sia un ricatto politico. Nelle settimane precedenti le forniture erano già state ridotte del 40 per cento, mentre i rubinetti di alcuni altri gasdotti, in particolare quelli che transitano da Polonia e Ucraina, sono stati chiusi già da tempo. In realtà i leader europei sono d’accordo con Zelensky nel ritenere che Putin stia minacciando l’Europa di una chiusura totale del gas. Il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, ha parlato di «situazione senza precedenti», in cui «tutto è possibile», compreso un aumento dei volumi di gas via Nord stream in caso di ripristino: «Ma anche che non arrivi più niente e dobbiamo prepararci al peggio». Dello stesso avviso è il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire, che ha proposto ai maggiori industriali francesi di «prepararsi al taglio del gas russo, oggi è lo scenario più probabile». E il governo ungherese ha annunciato l’introduzione di uno «stato d’emergenza energetico», dicendo a chiare lettere quello che tutti più o meno pensano: quest’inverno l’Europa non avrà abbastanza energia.

In realtà la rinuncia al gas russo è un obiettivo dell’Unione europea che Ursula von der Leyen ha dichiarato più volte pubblicamente. Era evidente come la dipendenza energetica da Mosca fosse diventata insostenibile con l’invasione dell’Ucraina, per motivi politici, strategici e anche morali: è impossibile condannare una guerra e aiutare l’aggredito mentre si finanziano le bombe. La decisione era inevitabile, il problema era il come, il quando e con quali modalità. Se perfino i grandi industriali della Francia – che viaggia per il 70 per cento con la propria elettricità generata da centrali nucleari e dipende dal gas russo soltanto in misura minima – stanno riconvertendo urgentemente le loro produzioni dal gas al petrolio, paesi con una forte dipendenza dal metano russo – Austria, Ungheria, Germania, Italia – rischiano seri problemi economici e perfino una recessione stimata dai pessimisti nel 3-4 per cento del Pil. A Bruxelles si sta lavorando anche sulla proposta di Mario Draghi di porre un tetto al prezzo del gas importato dalla Russia, ma intanto il «price cap» resta uno strumento da collaudare. La Commissione europea presenterà tra pochi giorni il piano d’emergenza per far fronte a un eventuale taglio totale del gas, che prevede risarcimenti e incentivi per le industrie e i paesi colpiti.

Quello che aumenta l’incertezza è l’imprevedibilità della situazione. L’Europa era d’accordo sul rinunciare al gas russo, alle sue condizioni e con i suoi tempi. Quello che non si aspettava è che Putin sarebbe andato incontro al pericolo. Per vent’anni l’assioma sul quale si basava la politica russa era quello di mantenere ed espandere le forniture di metano in Europa, la base del gettito fiscale del regime. La transizione green, insieme alla rinuncia al nucleare da parte della Germania, era diventata per il Cremlino una rendita garantita, e la chiusura dei gasdotti europei equivaleva a un suicidio. Le forniture di gas verso l’Asia, soprattutto la Cina, sono infatti infinitamente minori e a un prezzo molto più basso di quello pagato dagli europei, senza parlare poi del fatto che è praticamente impossibile dirottare il metano destinato all’ovest verso est (se non a prezzo di spese miliardarie e anni di lavori per i nuovi gasdotti). Senza Gazprom che pompa gas in Europa il Cremlino potrebbe esaurire rapidamente i soldi, non solo per la guerra in Ucraina ma anche per le pensioni ai russi.

Un gesto insensato, dunque, che però appare ormai evidente Putin voglia compiere. Per la prima volta nella storia a giugno Gazprom ha annunciato che non pagherà dividendi agli azionisti, tra cui molti occidentali. Una nazionalizzazione di fatto: lo Stato russo si prenderà i soldi dalle tasse incrementate di recente, mentre i privati rimangono senza un soldo. La capitalizzazione del colosso energetico è subito crollata in borsa, ma l’impressione è che il governo russo sia pronto a sacrificare la sua società maggiore. Una delle spiegazioni potrebbe essere quella che il Cremlino si è reso conto dell’inesorabilità dell’embargo sul gas e ha deciso di contrattaccare, anticipando il gioco occidentale e gettando nel panico i paesi impreparati. Già a giugno, per la prima volta, il fornitore principale di gas all’Ue sono stati gli Usa, non più la Russia. Mosca continua a sperare di spaccare l’Europa, nell’idea che gli elettori europei non vorranno patire razionamenti di riscaldamento o bollette maggiorate, e che i governi Ue verranno a più miti consigli pur di non perdere le elezioni. Il fattore cruciale è il tempo: Putin spera che l’Europa ceda prima che l’assenza di entrate dalle bollette europee faccia saltare i conti del Cremlino. Il calcolo di Bruxelles – che ha più libertà di manovra e mezzi – è ovviamente l’esatto opposto, cioè che il sistema russo incentrato su Gazprom collassi prima che il consenso politico in alcuni paesi Ue venga meno.