Fra poco più di un anno le Nazioni Unite si riuniranno per prendere importanti decisioni riguardo la gestione dello spazio extra-atmosferico. Quella seduta, denominata «Il summit del Futuro», metterà l’accento sulla impellente necessità di una conduzione globale e condivisa per regolare le attività che si svolgono soprattutto nelle orbite basse attorno alla Terra, ormai pericolosamente affollate di satelliti. A questo proposito l’ONU ha reso pubblico, nel maggio scorso, un rapporto dettagliato nel quale si elencano le situazioni e le tendenze attuali sui problemi causati dalla crescente congestione dei satelliti in orbita, frutto di una competizione nazionale e internazionale sempre più aggressiva. Fin dalle prime pagine del rapporto balzano agli occhi dati statistici e proiezioni interessanti sul numero di satelliti che saranno immessi nelle orbite basse nei prossimi 5/6 anni. Considerata l’attendibilità della fonte, le cifre presentate appaiono allarmanti. Non parliamo dei satelliti geostazionari, quelli posizionati a 35mila km dal suolo, come i satelliti per la meteorologia o le telecomunicazioni, ma di quelli lanciati o da lanciare nelle orbite basse, per definizione sotto i 2000 km di quota (la Stazione spaziale internazionale orbita a circa 400 km da terra). Alla fine di quest’anno i lanci saranno stati circa 100mila. Sfrecciano a 28mila km/h e sono un poco di tutte le misure, anche molto piccole.
La costellazione di Space X
Le proiezioni indicano che saliranno vertiginosamente di numero e nel 2025 saranno circa 250mila. Questo dato ha considerato le licenze richieste alle autorità competenti da un numero sempre crescente di attori privati. I costi per i lanci stanno scendendo parecchio per cui si prevede una ulteriore accelerazione importante, che farà arrivare per il 2030 il numero di lanci addirittura a oltre 1,5 milioni. Tutto ciò se verranno confermate le tendenze attuali e non si interverrà mettendo un freno alla speculazione. Il tasso di incremento è anche conseguenza dei lanci di reti di piccoli satelliti da parte di compagnie private che non hanno bisogno delle agenzie spaziali tradizionali (tipo NASA ed ESA) perché sono dotate di propri mezzi per lanciare. Citiamo per esempio la Space X di Elon Musk che, con i suoi lanciatori Falcon 9, da qualche anno sta inviando nelle orbite basse una sessantina di piccoli satelliti alla volta per formarne una costellazione in grado di fornire il collegamento internet satellitare su tutta la Terra. Ne ha messi in orbita più di 3000 e continua a lanciare.
Space X sta mettendo a punto anche un grande lanciatore per carichi pesanti, lo Starship, destinato al trasporto di equipaggi e carichi in orbita e successivamente per i viaggi sulla Luna e su Marte. Space X non ha mai nascosto l’intenzione di commercializzare alcuni satelliti per scopi esplorativi, scientifici e militari. Sebbene l’attività più consistente del settore privato sia quella negli Stati Uniti, nuovi attori stanno sorgendo in giro per il mondo. Come detto, il costo dei lanci si sta riducendo: se negli anni Sessanta e Settanta del Novecento ci volevano dai 5000 ai 30mila dollari per portare un satellite in orbita bassa, oggi si riesce a farlo per meno di 10mila dollari, con minimi sotto i 2000 dollari. Queste nuove tendenze portano con sé un importante aumento dei rischi potenziali per l’ambiente extra-atmosferico.
Trattati da aggiornare
Nel citato rapporto ONU si sottolinea che è essenziale per la comunità internazionale conoscere a fondo questi rischi per poterli ridurre. Se ne discute da tempo, ma la sfida non è ancora vinta per colpa della diversità degli attori coinvolti, della molteplicità degli interessi economici e politici, della mancanza di conoscenza reciproca sui regolamenti e le procedure. Esistono trattati sulle attività spaziali e convenzioni sulle procedure da seguire e sulle responsabilità individuali, ma non sono sottoscritti da tutti. A volte si fermano a semplici dichiarazioni di principio. Anche sul piano legale lo scontro possibile tra due satelliti apre numerose problematiche non sempre facilmente risolvibili. Nel rapporto ONU si accenna anche alla deprecabile, e speriamo remota, possibilità di un catastrofico uso politico-militare dei satelliti che sono al servizio degli eserciti di quelle Nazioni che hanno accesso allo spazio. Non è un concetto teorico ma una paura reale legata alle capacità militari di bloccare o distruggere i sistemi spaziali degli avversari. Lo si potrebbe fare da terra con dei missili, o dallo spazio con satelliti manovrabili o sistemi laser. Il fatto inquietante è che ogni satellite è in grado di manovrare per cambiare la sua orbita al fine di evitare collisioni con altri oggetti e quindi potrebbe anche volontariamente lanciarsi su un satellite «nemico» per ridurlo all’impotenza. Un conflitto armato nello spazio creerebbe innumerevoli detriti spaziali, mettendo così in pericolo gli altri satelliti civili, le comunicazioni e tutta quella catena di funzioni che oggi sta servendo meravigliosamente la Terra e favorendo largamente il nostro benessere. Nel 1971, nel 1974 e nel 1977 si sono firmate Convenzioni riguardanti gli oggetti in orbita e il loro uso, sia civile che militare; ma parecchie convenzioni e trattati devono essere aggiornati e rivisti alla luce dei miglioramenti tecnologici e delle condizioni geopolitiche che cambiano nei tempi. Sempre in campo spaziale, allontanandoci dalle orbite basse, avevamo parlato della necessità di una nuova legislazione planetaria nell’articolo «Il Far West spaziale» («Azione» del 2 agosto 2022) nel quale si considerava la necessità di riguardare il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967, tutt’ora valido, per regolare lo sfruttamento delle risorse minerarie sugli altri pianeti a beneficio di tutti. Anche in questo caso, con gli Elon Musk di turno, la tematica diventa d’attualità. Per fortuna la coscienza internazionale e la volontà di lavorare insieme in campo spaziale sono ancora vive.
L’energia e la materia oscure
Il 1° luglio scorso, dalla base militare americana di Cape Canaveral in Florida, è decollato su un razzo Falcon 9 di SpaceX il veicolo spaziale Euclid per una missione europea che dovrà far luce su due componenti misteriose del nostro Universo, la materia oscura e l’energia oscura. Euclid osserverà miliardi di galassie distanti fino a 10 miliardi di anni luce da noi per creare la più grande e accurata mappa 3D dell’Universo, in cui la terza dimensione rappresenta il tempo. Ciò dovrebbe rivelare come la materia è distribuita su distanze immense e come l’espansione dell’Universo si sia evoluta nella storia cosmica.
Gli astronomi dovrebbero poterne dedurre le proprietà dell’energia e della materia oscura, che come dice l’aggettivo non si vedono ma costituiscono, secondo le conoscenze attuali, il 95% dell’intero Universo. Scendendo al livello accademico nostrano, ci fa piacere segnalare che il Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica lo scorso giugno ha assegnato 1,3 milioni di franchi a un progetto triennale della SUPSI, che vuole analizzare nel suo insieme la rivoluzione spaziale cominciata nel secolo scorso, con gli aerei, i satelliti, i viaggi nello spazio, i droni e le sue implicazioni, con particolare riferimento all’urbanistica, all’architettura e al design.
La guerra che incombe sopra le nostre teste
Le orbite basse attorno alla Terra sono sempre più affollate di satelliti e questa è solo una delle sfideche l’umanità dovrà presto affrontare. Ecco i dati salienti del rapporto reso pubblico di recente dall’ONU
/ 17.07.2023
di Loris Fedele
di Loris Fedele