La crisi e l’alleanza delle cicale

Si rinsalda l’asse Roma-Parigi sostenuto da Washington in contrapposizione al rigorismo germanico. Occhi puntati sul pacchetto «Next generation Europe» e sul Governo Draghi da cui dipende il destino dell’euro
/ 29.03.2021
di Lucio Caracciolo

In Europa si stanno già affilando i coltelli per la battaglia decisiva del dopo-pandemia, quando mai sarà: tornare o non tornare al rigorismo tedesco nelle politiche economiche e monetarie? E se no, fino a dove spingersi nell’orizzonte di un bilancio pubblico comune, alias mutualizzazione del debito destinato a crescere?
Sul fronte del rispetto letterale di patti e trattati, accanto alla Germania troviamo il gruppo dei «frugali nordici», capeggiato dall’Olanda, con Austria e Finlandia ad aprire il corteo dei corifei. Sull’altra sponda ecco i mediterranei, alias cicale: Francia, Italia, Spagna in testa al gruppetto. Ad oggi la partita appare del tutto aperta. Con qualche provvisorio vantaggio per il secondo schieramento.

Il Covid-19 ha infatti accelerato una traiettoria verso politiche monetarie e fiscali espansive avviato dalla Bce sotto la presidenza Draghi, in particolare con il quantitative easing e relativo acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario. L’articolo dell’attuale presidente del Consiglio dei ministri italiano sul «Financial Times» del 25 marzo 2020, con cui si sosteneva la necessità di spendere in deficit perché siamo come in tempo di guerra, anche accumulando un alto debito, ha coronato questo approccio espansivo. Condiviso, una volta superata la iniziale diffidenza, anche dalla Francia di Emmanuel Macron. Soprattutto, alle spalle del duo franco-italiano troviamo l’America, prima con Obama poi con Biden, a spingere contro le resistenze tedesche, di taglio ideologico se non addirittura «religioso».

Dietro la partita economico-monetaria, la posta in gioco geopolitica. Lo scontro, tanto per cambiare, è fra Stati uniti e Germania. Per Washington la manutenzione dell’impero europeo è strategica. Semplicemente, senza di esso non sarebbero più il numero uno al mondo. Anche perché lo spazio europeo destrutturato verrebbe facilmente infiltrato da cinesi e russi. D’intesa, entro certi limiti, con la Germania. Nei laboratori strategici di Washington vige da sempre il principio «germans down». Della Bundesrepublik non ci si fida affatto. La si considera potenziale traditrice, pronta a finire, forse nemmeno accorgendosene, nella sfera d’influenza cinese e/o russa. Anche per la postura geoeconomica e l’ideologia monetarista che vuole gestire l’euro come il marco, a vantaggio del proprio sistema industriale votato all’esportazione. Con immediati effetti deflattivi a danno dei Paesi partner nell’Eurozona. Fino ad arrivare al depauperamento dei principali mercati europei, sostituti almeno in parte dalla Cina e da altri mercati asiatici. In un contesto nel quale il decisivo fornitore di energia al sistema tedesco resta la Russia. Anzi, lo sarà anche di più una volta completato il gasdotto Nordstream 2, impresa russo-germanica cui né Mosca né Berlino paiono voler rinunciare.

In tale scenario, la novità più importante di quest’anno è l’arrivo di Draghi alla guida dell’Italia. Si è così saldato un asse Roma-Parigi, sostenuto, anzi aizzato da Washington, in palese contrapposizione al rigorismo germanico, peraltro meno rigoroso di prima. La vicenda del «Next generation Europe», un finanziamento pubblico senza precedenti, lo sta a confermare. La Germania, o meglio la cancelliera Merkel – ormai «anatra zoppa» a pochi mesi dall’elezione del suo successore – ha fatto ingoiare più di un rospo ai «frugali» pur di evitare il collasso dell’Italia e quindi dell’euro, che avrebbe fra l’altro messo in crisi la catena del valore industriale tedesco, fortemente connessa al Nord Italia.

L’offensiva scatenata da Biden per il recupero del controllo sull’Europa, in chiara contrapposizione alla Germania, si spiega soprattutto nel contesto della partita ingaggiata con Cina e Russia. La quale non si gioca solo in Asia e nell’Indo-Pacifico, ma anche in Europa. Dove Washington sta intervenendo con durezza contro ogni ipotesi vagamente neutralista, mascherata sotto presunte opportunità economiche. Ma oggi, con le centinaia di miliardi messi sul piatto dall’Unione europea grazie a «Next generation Europe», non c’è più bisogno di grandi investimenti stranieri. C’è semmai bisogno, specialmente per l’Italia, di spendere bene i soldi che riceverà in via straordinaria, cioè unica, da «Bruxelles», leggi dalla Germania.

Molto se non tutto dipenderà dalla riuscita o dal fallimento del Governo Draghi. Se per qualsiasi motivo l’ex presidente della Bce, oggi portabandiera dei neokeynesiani europei, non riuscisse a salvare l’Italia dalla bancarotta, sarebbe impossibile salvare l’euro. Quanto meno nella conformazione attuale. A Berlino potrebbero quindi rispolverare il piano B, ovvero il «Neuro» con il loro sistema dell’Euronucleo (Kerneuropa) centrato su Benelux e Mitteleuropa. Ipotesi che comunque prevede una fase catastrofica di passaggio. Diceva il cancelliere Konrad Adenauer: «Niente esperimenti». Siamo oggi in piena età degli esperimenti. Senza che nessuno sappia davvero dove può né dove vuole arrivare.