La Covid frenerà l’indipendentismo?

Il voto in Catalogna è un test per sondare la forza del secessionismo a tre anni dalle violenze di Barcellona. La pandemia intanto ha rimesso tutto in discussione
/ 08.02.2021
di Gabriele Lurati

Caos giuridico ed emergenza sanitaria. Questo è il clima che stanno vivendo sei milioni di elettori catalani all’approssimarsi dell’appuntamento del 14 febbraio. Un’atmosfera quasi surreale, intrisa di decisioni giudiziarie ribaltate, colpi di scena politici e numeri epidemiologici allarmanti. Le elezioni erano state in un primo momento rinviate dal Governo catalano a causa della pandemia ma la sentenza di un tribunale ha invalidato questa decisione, cambiando i piani dei partiti il 29 gennaio scorso, a soli 16 giorni dal voto. Da allora si è assistito ad altre sorprese, come quella avvenuta per mano del Governo uscente della Generalitat che ha decretato all’improvviso un regime di semi-libertà per i nove leader indipendentisti, in carcere ormai da 3 anni. Questi esponenti politici hanno quindi avuto la possibilità di uscire di prigione per partecipare a raduni elettorali o persino presenziare ad atti solenni in cui loro stessi chiedevano la propria amnistia. Una scena che dà l’idea della confusione regnante in Catalogna, aggravata da una situazione pandemica che ha obbligato a una tornata elettorale anomala, nella quale i meeting si sono svolti prevalentemente per via telematica.

Questo contesto di disorientamento e di conflitto giuridico-istituzionale è lo specchio di quanto vissuto nei tre anni dell’ultima legislatura, contraddistinti dal continuo scontro tra Barcellona e Madrid. Dalla nascita del Governo a maggioranza indipendentista guidato da Quim Torra a inizio 2018, passando per la condanna ai leader indipendentisti da parte del Tribunale supremo di Madrid dell’ottobre 2019 e finendo con la sospensione dai pubblici uffici decretata nell’autunno scorso dallo stesso organo giudiziario nei confronti di Torra. L’ex presidente della Generalitat, secondo la massima Corte spagnola, non aveva rispettato l’imparzialità durante le ultime elezioni generali, essendosi rifiutato di togliere uno striscione a favore dei politici condannati per il referendum dell’ottobre 2017.

Ciò ha determinato di fatto la fine anticipata della legislatura anche per i sopraggiunti dissapori nell’alleanza di Governo formata dai due maggiori partiti indipendentisti catalani: Junts per Catalunya (JxCat) ed Esquerra republicana de Catalunya (Erc). JxCat, il partito di destra dell’ex «presidente in esilio» Carles Puigdemont, si è mostrato determinato a voler riprendere il cammino verso l’indipendenza. Per contro Erc, la sinistra repubblicana di Oriol Junqueras (leader de facto del partito e condannato a 13 anni di carcere per sedizione), ha optato per un approccio più graduale per il raggiungimento della secessione, cercando di ottenere il maggior appoggio sociale possibile.

Questi due partiti sono anche i favoriti nelle intenzioni di voto in queste elezioni, insieme a un terzo inaspettato incomodo: il Partito socialista catalano (Psc), capeggiato dall’ex ministro della Salute Salvador Illa. Questo politico, che predica «legge e dialogo» e preferisce la conciliazione agli estremismi, è la scommessa del premier Pedro Sánchez per battere gli indipendentisti. La candidatura di Illa, lanciata a sorpresa da Sánchez in virtù della popolarità raggiunta dall’ex ministro durante la gestione della pandemia, ha sparigliato le carte degli altri partiti. A tal punto che, durante i dibattiti elettorali in Tv, si è assistito a una specie di «Tutti contro Illa». Il candidato del Psc ha dovuto subire attacchi da parte di tutte le formazioni, dagli indipendentisti sino a quelli unionisti di Partito popolare, Vox e Ciudadanos. Quest’ultimo partito, primo per numero di deputati nell’ultimo Parlament, è in caduta libera e viene dato nelle inchieste demoscopiche come il sicuro sconfitto delle elezioni.

I sondaggi pre-elettorali indicano che Erc, JxCat e Psc veleggiano attorno al 20 per cento nelle preferenze di voto. Gli altri partiti oscillerebbero invece tra il 5 e il 10 per cento, a cominciare dai liberali di Ciudadanos, En común podem (la versione catalana di Podemos), i conservatori del Partito popolare, l’estrema destra di Vox (che farà per la prima volta il suo ingresso nel Parlamento catalano) fino alla sinistra indipendentista anti-sistema della Cup. La società catalana rimarrebbe quindi ancora una volta spaccata a metà. Piccole differenze di voto per un partito o per un altro potrebbero determinare un risultato favorevole al fronte secessionista o a quello costituzionalista.

Tra tante incertezze l’unico dato sicuro è che il Parlamento catalano sarà il più frammentato di sempre e che sarà possibile formare solo un Governo di coalizione. Le opzioni più probabili sono due: o una riedizione di un Governo secessionista (formato da Erc, JxCat e la Cup) oppure il cosiddetto Governo del Tripartito (composto da Erc, Psc e Podemos). Questo Governo delle tre sinistre è già stato in carica alla Generalitat in due occasioni dal 2003 al 2010 e riflette anche la composizione politica dell’attuale Governo centrale di Sánchez (composto da Psoe e Podemos ma nato grazie alla decisiva astensione di Erc).

L’esito delle elezioni catalane avrà pertanto delle ripercussioni anche sulla stabilità del Governo di Madrid. Una vittoria indipendentista con JxCat come primo partito sarebbe il peggiore degli scenari per il primo ministro, dato che il partito di Puigdemont intende proseguire pugnacemente nella lotta per l’indipendenza. I sogni di «Sánchez il riconciliatore» andrebbero in frantumi. Per contro, se Erc o il Psc fossero il primo partito in Catalogna, si aprirebbe la possibilità della riedizione di un nuovo Governo tripartito. Secondo molti analisti, Erc continuerebbe ad appoggiare esternamente il Governo di Sánchez a Madrid e in cambio otterrebbe un indulto governativo per tutti i leader indipendentisti in carcere. Molte incognite comunque incomberanno sul voto fino all’ultimo minuto. L’unica certezza è che, con o senza pandemia, il rebus catalano sarà ben lungi dall’essere risolto la sera del 14 febbraio.