La Chiesa anglicana si rimpicciolisce

Diminuiscono drasticamente i cristiani e si mette in discussione il ruolo della religione nelle istituzioni britanniche
/ 19.12.2022
di Barbara Gallino

«God Save the King» ovvero «Dio Salvi il Re», recita l’inno nazionale britannico. Tuttavia il brano patriottico che invoca la protezione divina per il sovrano e accompagna da 277 anni ogni cerimonia ufficiale e competizione sportiva, appare forse anacronistico nel Regno Unito di oggi. Almeno a giudicare dalla fotografia di Inghilterra e Galles scattata dall’ultimo censimento, visto che i cristiani oramai non rappresentano più, per la prima volta, la maggioranza della popolazione. Infatti, secondo l’indagine condotta nel 2021, solo il 46,2% dei sudditi inglesi e gallesi (pari a 27,5 milioni di persone) crede in Gesù Cristo. Si tratta di un crollo verticale rispetto a solo 20 anni prima. Nel 2001, infatti, la percentuale di cristiani era del 71,7% (pari a 37,3 milioni di persone).

Come s’identifica allora l’inglese o gallese medio? È in grande ascesa il numero di chi dichiara di non appartenere a nessuna religione. Rientrano in questa categoria atei, agnostici e i cosiddetti «spirituali», intesi come coloro che pur non professando una fede particolare, credono in qualche forma di «potere superiore» come ad esempio la reincarnazione o il potere soprannaturale degli antenati. I senza religione sono addirittura triplicati nell’ultimo ventennio e costituiscono il 37,5% della popolazione (circa 22 milioni di persone). Il 10,7% degli interpellati invece appartiene a confessioni non cristiane. Sono stazionari rispetto a 10 anni fa gli ebrei, mentre hanno registrato un lieve aumento induisti, sikh e buddisti, anche se la religione che presenta il maggior aumento nel numero di fedeli è quella musulmana. I seguaci dell’Islam sono passati da 2,7 milioni nel 2011 a 3,9 milioni nel 2021 e rappresentano dunque il 6,5% della popolazione, rispetto al 4,8% di 10 anni fa.

La crescente laicizzazione dei sudditi colloca Inghilterra e Galles dodicesimi nella lista dei Paesi meno religiosi del mondo. In Europa solo Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia e Paesi Bassi contano un minor numero di fedeli in base ai dati raccolti dal centro di ricerca statunitense Pew. La domanda che sorge spontanea pertanto è la seguente: se oltre la metà dei sudditi inglesi e gallesi non si riconosce più come cristiana, perché la Chiesa anglicana riveste ancora un ruolo istituzionale nella società inglese? Ricordiamo che il sovrano britannico quando ascende al trono oltre a giurare di preservare la Chiesa d’Inghilterra, della quale diventa governatore e supremo leader, assume il titolo di Difensore della fede. Come immaginabile, i risultati del censimento hanno scatenato un acceso dibattito.

«Il fatto che il re sia il capo della Chiesa anglicana poteva avere un senso nel 1650, ma non nel 2022», ha dichiarato al «Times» Scot Peterson, studioso di Religione e Stato presso il Corpus Christi College dell’università di Oxford. Per Vernor Bogdanor, professore al King’s College di Londra, se i cristiani sono meno della metà della popolazione, la presenza di esponenti del clero anglicano nella Camera dei Lord diventa sempre «più difficile da giustificare». Nella Camera alta del Parlamento britannico siedono ancora di diritto 26 vescovi ed arcivescovi della Chiesa d’Inghilterra. Si tratta dei cosiddetti Lord spirituali e la loro legittimazione discende dalla carica ecclesiastica che ricoprono. Fra di loro sono sempre inclusi i rappresentanti delle cinque diocesi più antiche del Paese: l’arcivescovo di Canterbury, l’arcivescovo di York, il vescovo di Londra, il vescovo di Durham ed il vescovo di Winchester. Tuttavia la Chiesa d’Inghilterra versa particolarmente in grave crisi da un decennio a questa parte: scandali relativi ad abusi sessuali, divisioni in merito alla nomina di vescovi donna e ai diritti degli omosessuali e un crescente divario fra esponenti del clero contrari a Brexit e fedeli favorevoli ad uscire dall’Unione europea hanno contribuito ad allontanare i sudditi dalla Chiesa nata dallo scisma avvenuto durante il regno di Enrico VIII. Ci sono stati anche disagi in merito alla gestione del razzismo all’interno della Chiesa: per alcuni non c’è stata abbastanza apertura verso fedeli e prelati appartenenti a minoranze etniche, mentre per altri c’è stato un eccessivo zelo nel fare ammenda per gli errori del passato, rimuovendo monumenti di benefattori legati alla storia coloniale del Paese. Questi punti di frizione si sono tradotti in una contrazione del numero di praticanti. Fra il 2011 e il 2019 sono scesi da 801mila a 690mila i parrocchiani anglicani che vanno a messa. La stessa crisi si riscontra nel Nord Irlanda, dove per la prima volta i protestanti sono meno dei cattolici, rendendo così meno improbabile la prospettiva di una riunificazione della regione con la Repubblica d’Irlanda, come del resto auspicato dai leader del Sinn Féin, risultato alle ultime elezioni partito di maggioranza a Belfast.

Il ruolo della religione nella società britannica è probabilmente destinato ad essere ridimensionato, a partire dalle stesse istituzioni e dalla scuola. In particolare negli ultimi tempi è stata rimessa in discussione la Camera dei Lord, ossia il ramo non eletto del Parlamento di Westminster, che i laburisti vogliono abolire e sostituire con una Camera eletta formata dalle Regioni e Nazioni che compongono la Gran Bretagna. Il leader laburista Keir Starmer ha indicato la sua abolizione come uno dei punti prioritari del suo Governo nell’ipotesi in cui dovesse essere eletto. L’ex premier britannico laburista, Gordon Brown, si è schierato al suo fianco, ricordando come il senato Usa conta 100 membri per una popolazione di circa 330 milioni di persone e nella Camera dei Lord siedono quasi 800 pari a fronte di una popolazione britannica di circa 68 milioni di persone, giudicando pertanto il sistema di rappresentanza attuale come «indifendibile».