La cerniera liquida fra Asia ed Europa

Canale di Suez - Nonostante il blocco di una settimana provocato dall’incidente della Ever Given, per l’Egitto il reddito ha raggiunto quest’anno il massimo storico - Storia di un’opera con una valenza strategica mondiale
/ 23.08.2021
di Alfredo Venturi

Cinque miliardi e 840 milioni di dollari: questo l’utile realizzato dalla Suez Canal Authority, l’ente egiziano che gestisce quella vitale scorciatoia fra Europa e Asia, nell’anno fiscale che si è concluso lo scorso mese di giugno. Osama Rabie, presidente della SCA, ha precisato che superando del due per cento il dato dell’anno precedente e sfiorando i sei miliardi di dollari il reddito del canale, per l’Egitto una irrinunciabile fonte di valuta, ha raggiunto il massimo storico. E questo nonostante la pandemia, nonostante il blocco di una settimana provocato qualche mese fa dall’incidente della Ever Given. Rabie parlava pochi giorni dopo che un accordo sull’ammontare del risarcimento era stato raggiunto con i proprietari giapponesi della gigantesca porta-container, che aveva così potuto mollare gli ormeggi e riprendere con quattro mesi di ritardo il suo viaggio verso l’Europa.

Un secolo e mezzo dopo l’inaugurazione, il canale di Suez è un elemento insostituibile dei traffici internazionali. Diciannovemila navi lo hanno attraversato nel 2020, novemilasettecento nei primi sei mesi di quest’anno: la media supera dunque i cinquanta passaggi al giorno. Si calcola che un decimo dell’intero traffico marittimo utilizzi questa cerniera liquida fra Africa e Asia, che fa risparmiare al collegamento Europa-Oriente alcune migliaia di miglia e una media di nove giorni di navigazione. Con positive conseguenze non soltanto sulle casse dello Stato egiziano ma anche sul costo dei trasporti, dunque sui prezzi delle merci. Ma i benefici riguardano soprattutto l’ambiente. Evitare la rotta del capo di Buona Speranza, che comporta la lunghissima circumnavigazione dell’Africa, riduce infatti in misura molto elevata le immissioni nell’atmosfera di fumi corresponsabili dell’effetto serra.

Quando nel novembre del 1869 il battello francese Aigle con a bordo l’imperatrice Eugénie navigò da Port Said a Suez, seguita da un corteo di navi imbandierate a festa che portavano sovrani, notabili e diplomatici, la configurazione geopolitica del mondo cambiò di colpo. Gli scambi con l’Oriente si fecero più intensi e più frequenti, le potenze coloniali furono più vicine ai loro possedimenti oltremare, il Mediterraneo recuperò la centralità perduta alcuni secoli prima, il Mar Rosso acquisì una nuova importanza strategica. Finanziati da un consorzio internazionale guidato da Gran Bretagna e Francia e intrapresi da Ferdinand de Lesseps sul progetto di Luigi Negrelli, i lavori di costruzione erano durati dieci anni, la prima nave aveva solcato il canale quando ancora ne mancavano due alla festosa inaugurazione.

Allora era lungo 164 chilometri, largo 53 metri, profondo otto. Oggi la lunghezza è stata portata a 193 chilometri con lo scavo di canali di accesso in mare alle due imboccature, la larghezza supera i duecento metri, la profondità i ventiquattro. Dunque possono passare navi con pescaggio superiore ai venti metri. Ma questo non basta per le enormi superpetroliere, che al momento di entrare nel canale devono alleggerirsi liberandosi di una parte del carico. Lo recupereranno all’uscita dove lo avrà trasportato un oleodotto. Inoltre la parte meridionale, dai Laghi amari a Suez, è stata raddoppiata con la costruzione di un secondo canale parallelo che facilita l’incrocio dei convogli fin qui affidato a due stazioni di scambio.

Il taglio dell’istmo desertico che collega il Sinai al resto dell’Egitto è stato, fin dai tempi dei faraoni, un’ossessione per chi esercitava il potere da quelle parti. Fu il re persiano Dario I a completare l’opera avviata dal faraone Necao. Non fu tagliato l’intero istmo ma soltanto una sua parte, dai Laghi amari a Suez, per il tratto settentrionale fu scavato un canale che portava non a Port Said come l’attuale, ma al ramo orientale del delta del Nilo, da dove la navigazione dei piccoli battelli dell’epoca poteva proseguire fino al Mediterraneo. La manutenzione era scarsa e scoordinata, tanto che il canale insabbiato non permetterà alla regina Cleopatra di mettere in salvo la sua flotta dopo la battaglia di Azio. Alcuni secoli più tardi le autorità musulmane che reggevano l’Egitto distrussero il collegamento che a loro dire minacciava i luoghi sacri di Medina e La Mecca. A fine Settecento, quando s’impadronì dell’Egitto, Napoleone ordinò di studiare la fattibilità dell’opera che avrebbe avvicinato l’Europa all’Oriente. Ma un errore di calcolo bloccò il progetto sul nascere.

Fu necessario attendere la seconda metà dell’Ottocento perché il canale come noi lo conosciamo vedesse la luce. La Gran Bretagna, all’epoca la massima potenza navale, assegnò alla via d’acqua, che non a caso gli inglesi definivano «la vena giugulare dell’impero», un’assoluta priorità strategica. Nelle due guerre mondiali la difesero con ogni mezzo, nella prima dalle mire ottomane, nella seconda dal disegno italo-tedesco che puntava attraverso l’Egitto alle risorse petrolifere del Medio Oriente e del Caucaso. Il riflesso britannico non poteva non scattare nel 1956, quando il governo di Gamal el-Nasser nazionalizzò il canale. Ma la guerra di Suez, che coinvolse anche Francia e Israele, dopo i primi successi fu bloccata dall’azione diplomatica congiunta di Stati uniti e Unione sovietica. Londra e Parigi dovettero rassegnarsi: il canale e la sua gestione erano ormai di competenza esclusivamente egiziana, sia pure con la garanzia dell’accesso assicurato a navi di qualsiasi Paese.

Undici anni più tardi un altro conflitto, la guerra dei sei giorni che contrappose una volta ancora Israele a una coalizione di Stati arabi, portò alla chiusura del canale che si protrasse per otto anni con una quindicina di navi intrappolate. Pesantissime le conseguenze sulle finanze egiziane, fino alla riapertura del 1975 voluta dal nuovo raïs Anwar el-Sadat. Ed eccoci al 23 marzo di quest’anno quando la Ever Given, una porta-container da 200mila tonnellate lunga 400 metri, investita da una fortissima tempesta di vento e di sabbia si mette di traverso incagliandosi su una delle rive. Il blocco si limita stavolta a sette giorni, ognuno dei quali comporta un costo di 19 milioni di dollari. I lavori per liberare la nave coinvolgono imprese internazionali, il mondo intero è interessato a recuperare la funzionalità del canale.

Può dunque riprendere la navigazione, mentre la Ever Given finalmente disincagliata viene trattenuta alcuni mesi per regolare la questione del risarcimento. È così nuovamente possibile vedere i convogli che percorrono lentamente il canale: per non danneggiare le sponde la velocità non supera gli otto nodi, il passaggio dura fra le undici e le sedici ore. È uno spettacolo singolare: viste da una distanza che nasconda l’azzurra pista liquida quelle navi sembrano procedere nel deserto, con la stessa solenne andatura delle carovane storiche di dromedari e cammelli.