È il delta formato dalla confluenza del Gange, del Brahmaputra e del Meghna. Uno dei delta fluviali più grandi del mondo, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Un mondo d’acqua che rischia ormai da anni di scomparire per sempre per diverse ragioni. Sono le Sundarbans, la «bella foresta». Isole di mangrovie e vegetazione fittissima, sparse nell’immenso delta che, dopo Calcutta, comincia a dividersi in rami e ramoscelli fino a confondersi col mare. Due terzi in Bangladesh e un terzo in India. L’area comprende la più grande foresta di mangrovie del mondo e, a causa del cambiamento climatico (confermato dall’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici pubblicato il 9 agosto), è costantemente minacciata dall’erosione che lenta ma inesorabile innalza il livello del mare e dal cambiamento del rapporto tra i rivoli di acqua dolce proveniente dai fiumi, che permettono ai suoi abitanti e agli animali di sopravvivere, e le acque salate figlie del mare.
Qui Amitav Ghosh ha ambientato il suo magnifico The hungry tide, in italiano Il paese delle maree. L’onda affamata, l’onda del monsone che ogni anno sommerge parte di questo mondo d’acqua causandone l’erosione lenta ma irreversibile. L’onda che periodicamente, con frequenza e potenza sempre maggiore travolge furiosa tutto ciò che incontra al suo passaggio, sconvolgendo la geografia e la dislocazione di interi villaggi, causando centinaia di morti e lasciando senzatetto migliaia di persone. Rimescolando di continuo i rapporti tra acqua e terra, i confini del cielo e del suolo. Le porzioni di terra su cui è possibile camminare e vivere. L’equilibrio, stabile nella sua instabilità fino a qualche anno fa, che permette a uomini e animali di sopravvivere in questo mondo con infiniti doppi continuamente riflessi dentro a specchi d’acqua.
C’è una parte turistica, delle Sundarbans. Le riserve protette in cui si organizzano crociere per turisti più o meno di lusso che possono così ammirare le foreste di mangrovie e le tigri. Circa cinquecento esemplari in tutte le isole, affermano gli zoologi. Sembra poco, ma si tratta della più grande concentrazione al mondo di tigri allo stato selvaggio. Che, dicono, a causa dell’erosione delle isole che rende scarsa l’acqua dolce e le costringe a bere sale rendendole aggressive e a causa dell’aumento di cicloni nella zona, scendono sempre più vicine ai centri abitati o diventano particolarmente audaci nel cacciare le più indifese delle prede che si aggirano in questo paradiso naturale: i pescatori e i raccoglitori di miele. Perché c’è una parte delle Sundarbans difficilmente accessibile ai turisti, una parte che in pochi vogliono o possono vedere.
La «bella foresta» di quelli che nelle isole sono nati, vivono e cercano di sopravvivere alle onde assassine, al sale che avvelena i raccolti, al cambiamento climatico che ruba sempre più terraferma, alla necessità sempre più pressante di addentrarsi nella giungla per trovare mezzi di sussistenza. Cercano di sopravvivere all’acqua, alla terra e soprattutto alle tigri. Che, ai tempi del Coronavirus, sono diventate ancora più affamate e audaci di qualunque devastante ciclone. Da aprile, secondo i dati ufficiali, almeno cinque persone sono state uccise dalle tigri. Ventiquattro in tutto l’anno del Coronavirus, secondo i media locali. Più del doppio dell’anno precedente. Le barche non circolavano, gli esseri umani erano costretti in casa. Non c’era lavoro. E in molti, per riuscire a sopravvivere, hanno scelto di addentrarsi nella giungla, in quella giungla che garantisce sussistenza, sì, ma ad un prezzo altissimo.
Pescatori e contadini a volte organizzano delle vere e proprie cacce per liberarsi di qualche esemplare particolarmente pericoloso: di frodo, perché gli animali (ma non gli esseri umani) sono una specie protetta. Più spesso, si limitano a pregare la divinità locale, Bonbibi, la signora delle tigri. Nessuno, nelle isole, si avventura nella foresta senza chiedere l’invocazione della dea e nessuno, per non offenderla, si azzarda a lasciare tracce umane tra le mangrovie. I raccoglitori di miele non sputano, non vanno in bagno e fanno molta, molta attenzione a riportare a casa i rifiuti dei loro pasti. Una vita fuori dal tempo e dal mondo, che si consuma tra cielo e acqua e le incredibili gradazioni di verde della vegetazione. O meglio si consumava, perché l’emergenza, quella ambientale e quella creata dal Coronavirus, sta cambiando per sempre culture, tradizioni e gesti millenari. Già prima di quest’ultimo anno le isole più piccole erano difficilissime da raggiungere, praticamente isolate dal resto del mondo a parte per sporadiche comunicazioni via acqua per le barche-ambulanza che fanno parte di un più ampio progetto sanitario-educativo chiamato Shish, Southern health improvement sanity, e sono state donate all’organizzazione da Dominique Lapierre, scrittore e filantropo francese, autore de La città della gioia.
Sulle isole più grandi o su quelle più vicine alla terraferma le cose sono gradualmente cambiate e si trovano cittadine e paesetti di discrete dimensioni. In cui le organizzazioni non governative fanno da anni un incessante lavoro di scolarizzazione e di aiuto alle fasce di popolazione più disagiate. Cercano ad esempio di prevenire, o di arginare come possono, il traffico di ragazze che, a causa della povertà estrema, vengono spesso attirate dai trafficanti con il miraggio di un lavoro ma poi finiscono nei bordelli di Calcutta o di Bombay.
Il Dipartimento forestale del Bengala occidentale ha iniziato un progetto di monitoraggio, grazie ai radio collari, nel tentativo di proteggere al tempo stesso le tigri e gli abitanti dell’area, e ci sono diversi progetti di sostegno e di sviluppo dell’agricoltura. Associazioni e ong cercano da tempo di sensibilizzare le Nazioni unite, la Fao e le organizzazioni internazionali perché mettano a disposizione fondi e progetti per tentare di assicurare un futuro agli abitanti delle Sundarbans. Per evitare che in futuro non troppo lontano le isole di Tremal Naik di salgariana memoria, le isole di Bonbibi, le isole dove l’acqua si confonde con la terra e il mondo è sempre riflesso, diventino soltanto una distesa di mangrovie che i turisti, uniche forme di vita rimaste, vanno ad ammirare.
La «bella foresta» in pericolo
Tra gli abitanti delle Sundarbans, isole di mangrovie minacciate dal cambiamento climatico, che cercano di sopravvivere ai monsoni, al Coronavirus, alle tigri affamate e ai trafficanti di esseri umani
/ 16.08.2021
di Francesca Marino
di Francesca Marino