L’indicazione più importante è venuta dal professor Shen Zhihua, il più conosciuto studioso della storia della Corea del Nord che, in una conferenza tenuta a Dalian – una metropoli del nordest cinese, non lontana dal confine con la Corea del Nord – ha proposto un radicale cambiamento della posizione cinese, suggerendo che un’alleanza con la ricca e dinamica Corea del Sud sarebbe molto più conveniente per Pechino di quella con Pyongyang. «Dobbiamo renderci pienamente conto che la Cina e la Corea del Nord non hanno più gli stessi interessi e che nel breve periodo non esiste una possibilità di miglioramento delle relazioni», ha affermato tra l’altro il professore. «Gli interessi fondamentali dei due Paesi – ha proseguito Shen – sono contrastanti… quello della Cina è di raggiungere una stabilità delle frontiere e uno sviluppo orientato verso l’esterno… ma da quando la Corea del Nord si è dotata di armi nucleari, la periferia non è mai stata stabile…».
Chris Buckley, uno dei corrispondenti dalla Cina del «New York Times», ha ricordato che in precedenti occasioni funzionari cinesi che avevano criticato l’alleanza con la Corea del Nord erano stati puniti dal Partito Comunista: «Nel 2004 – ha scritto Buckley – un’influente rivista cinese («Strategy and Management») è stata chiusa dopo aver pubblicato un articolo critico verso la Corea del Nord. Nel 2013, il direttore di un giornale del Partito è stato licenziato per aver pubblicamente proposto che la Cina cessasse di sostenere la Corea del Nord». Il discorso di Shen Zhihua, al contrario, è rimasto a lungo disponibile su Internet, e il professore non ha subìto alcuna conseguenza per aver esposto la sua audace tesi – se si escludono gli insulti degli ultranazionalisti.
Il maggior sostenitore dell’alleanza con Pyongyang è stata tradizionalmente la People Liberation Army (PLA), restia a rinunciare all’unico alleato affidabile (almeno fino a ieri) per una Cina isolata nella regione e avviata a sfidare l’egemonia degli USA nell’Oceano Pacifico. Inoltre i militari, e non solo loro, non hanno mai dimenticato il sacrificio fatto da migliaia di giovani cinesi (tra cui uno dei figli del fondatore della Cina comunista Mao Zedong) nella guerra di Corea (1950-’53), quando la PLA respinse sul 38esimo parallelo i marines americani che, agendo sotto la bandiera dell’Onu, avevano travolto i nordcoreani arrivando a pochi chilometri dal confine con la Cina.
Ora sembra che i dubbi sull’affidabilità di Pyongyang si siano fatti strada anche nell’esercito. In un articolo pubblicato dal «South China Morning Post» il sinologo britannico Adam Cathcart cita un articolo del generale in pensione Wang Haiyun, che critica aspramente l’atteggiamento bellicoso della Corea del Nord. «Non importa se siano gli USA, la Corea del Sud o la Corea del Nord che non si ferma, ma il pericolo dello scoppio di una guerra è grande». Il generale – che, ricorda Cathcart, è un «falco» per quanto riguarda i rapporti con gli USA – prosegue mostrando grande preoccupazione per le possibili conseguenze per la Cina in caso di utilizzo in Corea (non importa da parte di chi) di armi nucleari o chimiche e di un massiccio afflusso di profughi che «danneggerebbe la stabilità sociale e la sicurezza» del Paese.
Il sinologo ricorda anche una recente intervista di Niu Jun, che insegna storia all’Università di Pechino ed è vicedirettore del Centre for International Strategic Studies, nella quale il professore accusa senza termini Pyongyang di essere la responsabile dell’attuale stato di tensione con l’Amministrazione di Donald Trump.
La politica ufficiale di Pechino è quella di promuovere il dialogo tra Usa e Corea del Nord come strumento per arrivare a quella che chiama «la denuclearizzazione della penisola coreana», vale a dire la rinuncia di Pyongyang al proprio programma nucleare, cosa che appare ogni giorno meno probabile. Negli anni passati ci sono stati sei round dei «Six Party Talks» ai quali hanno preso parte delegati delle due Coree e di USA, Cina, Russia e Giappone. I colloqui sono iniziati nel 2003, dopo l’uscita della Corea del Nord dal Trattato per la Non-Proliferazione Nucleare. Si sono sempre svolti a Pechino e nel 2007 avevano prodotto un accordo in base al quale Pyongyang avrebbe smantellato le sue installazioni nucleari in cambio delle forniture da parte della comunità internazionale di energia (convenzionale e nucleare) e della normalizzazione delle relazioni diplomatiche con gli USA e il Giappone. L’accordo avvenne dopo che – in un’iniziativa presa unilateralmente e al di fuori delle trattative – Washington aveva bloccato le operazioni internazionali di una banca di Macao, il Banco Delta Asia, che gestiva il «tesoro» della dinastia dei Kim (Kim Il-sung, Kim Jong-il, e ora Kim Jong-un) e dei suoi cortigiani. In coincidenza con l’accordo, la morsa sul Banco Delta Asia venne allentata, permettendo al gruppo dirigente nordcoreano di riprendere le operazioni che gli consentono di vivere in un lusso sfrenato mentre la maggior parte dei nordcoreani è al limite dell’indigenza.
L’accordo fu rinnegato dalla Corea del Nord nel 2009, in risposta alla condanna da parte dell’Onu del tentato lancio di un satellite da parte di Pyongyang.
Un’indicazione che Pechino potrebbe avere esercitato pressioni è il fatto che la Corea del Nord ha rinunciato – fino a questo momento – ad eseguire un nuovo esperimento nucleare (sarebbe il sesto dal 2006) in risposta alle bellicose dichiarazioni del presidente Trump e del segretario di stato Rex Tillerson. Si temeva che il test sarebbe stato condotto il 15 aprile, anniversario della nascita del fondatore della Corea del Nord Kim Il-sung, ma la scadenza è passata senza provocazioni.
Nel frattempo, Pechino sembra voler imprimere una sterzata alle relazioni con la Corea del Sud, dopo una tempesta durata due mesi. A scatenare la rabbiosa reazione di Pechino era stata, in febbraio, la decisione di Seul di schierare sul proprio territorio il Terminal High Altitude Area Defense (THAAD), un sistema di fabbricazione americana in grado di neutralizzare gli attacchi missilistici e che potrebbe essere usato per individuare anche eventuali lanci della Cina verso la Corea e il Giappone. La Cina ha minacciato e in parte messo in pratica un boicottaggio economico delle imprese sudcoreane in Cina, che è costato caro soprattutto alla Lotte (grandi magazzini) oltreché alla Hyundai e alla Kia Motors, che hanno visto precipitare il volume dei loro affari in Cina. Il boicottaggio è pericoloso anche per Pechino, dato che la Corea del Sud gode in Cina di un forte soft-power dovuto alla popolarità dei suoi artisti, dai musicisti ai filmaker. Ora sembra che anche le rappresaglie contro la Corea del Sud siano state sospese e in entrambi i paesi si sono moltiplicate le voci che propongono un «riavvicinamento» e un «ribilanciamento» delle relazioni politiche e commerciali. Insomma, quello che ha proposto il professor Shen.