Julian Assange, capitolo chiuso?

Ripercorriamo la vicenda del cofondatore di WikiLeaks che rischia l’estradizione negli Stati Uniti
/ 04.07.2022
di Enrico Morresi

Fatto un inchino alle Corti, una più alta dell’altra, che hanno giudicato il suo caso voltandolo e rivoltandolo in tutti i sensi, Julian Assange se ne andrà, forse dimenticato, in una qualche cella penitenziaria chissà dove. Davanti ai tribunali il capitolo è chiuso, o quasi: i suoi legali sono al lavoro su più fronti per capovolgere la decisione dell’Alta Corte britannica a favore della sua estradizione negli Stati Uniti. Mentre noi ripercorriamo la sua vicenda.Julian Paul Assange, nato nel 1971, è un giornalista, programmatore e attivista australiano. Come informatico si specializza nel pirataggio di siti ufficiali, diventa membro di un gruppo di hacker noto come International subversives con lo pseudonimo Mendax; dal 2003 al 2006 studia fisica e matematica all’università di Melbourne. A partire dal 2006 è tra i promotori del sito WikiLeaks, su cui pubblica notizie riservate sui bombardamenti nello Yemen, sulla corruzione nel mondo arabo, sulle esecuzioni extragiudiziali da parte della polizia keniota, sulla rivolta tibetana in Cina (2008), su uno scandalo legato al petrolio in Perù e le e-mail del governo turco dopo le purghe di Erdogan del 2016.

Fama mondiale gli procura il caso di coscienza di un militare americano, Bradley Edward Manning, il quale gli rimette – tra le altre cose – l’imbarazzante sequenza di un’azione militare in Iraq (un documento strettamente riservato). È accaduto il 12 luglio 2007, a Baghdad, dove due elicotteri Apache statunitensi aprono il fuoco e uccidono diversi civili disarmati. Un commilitone con cui Manning si è confidato lo denuncia. Manning viene incarcerato, prima all’estero e poi negli Usa, dove è tenuto in isolamento 23 ore al giorno, dorme con le luci accese ed è controllato ogni 5 minuti durante la notte, viene svegliato dalle guardie se non è completamente visibile, l’unica forma di esercizio che gli è riconosciuta consiste nel camminare in circolo in una stanza per un’ora al giorno e, durante le rare occasioni in cui può ricevere visite, viene incatenato.

La fase preliminare del processo comincia nel maggio 2012. Manning si riconosce colpevole di una parte dei reati di cui è accusato, ammettendo di aver fornito a WikiLeaks i documenti raccolti nel corso del suo lavoro di analista per l’esercito degli Stati Uniti. Nell’agosto 2013 è condannato a 35 anni di prigione per 20 dei 22 capi d’accusa; viene assolto solo dall’accusa più grave, quella di connivenza con il nemico (che prevede anche la pena di morte). Il giorno successivo la sentenza, Manning dichiara di sentirsi donna e chiede di essere chiamata Chelsea (in seguito cambia sesso).

Dopo aver scontato 7 dei 35 anni di reclusione, il 17 gennaio 2017 Chelsea Manning ottiene dall’allora presidente americano Obama una riduzione della pena ed esce di carcere il 17 maggio di quell’anno. Ma l’8 marzo 2019 viene nuovamente arrestata per essersi rifiutata di testimoniare al processo su WikiLeaks; esce definitivamente di prigione il 12 marzo 2020 dopo un tentativo di suicidio. Assurto a notorietà mondiale con la diffusione del filmato di Manning, Julian Assange è colpito il 18 novembre 2010 da un mandato di arresto in contumacia emesso da un tribunale di Stoccolma con l’accusa di stupro, molestie e coercizione. Assange nega l’accusa, sostenendo che è solo un pretesto per estradarlo negli Stati Uniti. Nel giugno 2012 ottiene asilo politico presso l’Ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove rimane confinato per quasi sette anni. L’accusa di violenza sessuale essendo venuta a cadere, Assange viene comunque di nuovo incarcerato in Gran Bretagna, dapprima per violazione dei termini della libertà su cauzione, poi in relazione a una sopraggiunta richiesta di estradizione fatta dagli Stati Uniti per le accuse di cospirazione e spionaggio.

Un’altra storia avvincente – narrata in un documentario di Oliver Stone, Citizenfour, che ottiene nel 2016 il Premio Oscar – è quella di Edward Snowden, un dipendente dell’americana NSA (National security agency) che nel gennaio del 2011 rivela a Laura Poitras, una giornalista americana specializzata in documentari, la politica di spionaggio sistematico operata dalla Cia su governi e personalità di tutto il mondo. I documenti sono mostrati a Glenn Greenwald, collaboratore del quotidiano inglese «The Guardian» e pubblicati sul giornale e su WikiLeaks. Denunciato negli Stati Uniti, Snowden ripara in Russia dove ottiene, con gli anni, un permesso di dimora legale e dove vive tuttora. In patria è accusato di spionaggio e rischia trent’anni di carcere.

Il mondo dell’informazione ha capito che la diffusione universale di un prodotto sul web lo rende praticamente invincibile. Si sono così formate catene di media importanti che mettono risorse in comune per la ricerca su un argomento che può sfociare in una pubblica denuncia. La base operativa di una di queste, il Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, è in America. Il Consorzio ha pubblicato in particolare i «Panama Papers» sul mondo dell’evasione fiscale. Al gruppo investigativo partecipa per la Svizzera una redazione «ad hoc» di Tamedia, editrice del «Tages-Anzeiger». Ogni testata coinvolta decide liberamente se utilizzare i dati raccolti. Dati che emergono anche grazie a whistleblower, in italiano «segnalatori di illeciti» o «informatori». Per grandi temi si mettono in circolo grandi risorse, il caso più importante riguarda certamente gli evasori d’imposta a livello planetario, affidato a un consorzio internazionale appunto, ma infiniti sono i casi di storture e ingiustizie che stimolano la coscienza del cittadino a denunciare il malfatto. In Svizzera la legge protegge i denunziatori di abusi commessi nell’ambito delle società pubbliche, il privato rimane il santuario della segretezza. E la tendenza è al negativo, come dimostra la decisione del Consiglio nazionale che estende la possibilità del sequestro preventivo di un servizio giornalistico.