Juan Sartori presidente?

Montevideo – Nel tentativo di spezzare la lunga resistenza del centro-sinistra al governo, è spuntato un candidato a fare il capo della destra, un miliardario sconosciuto che punta a fare il Bolsonaro dell’Uruguay, ma senza modi truculenti
/ 14.01.2019
di Angela Nocioni

Un miliardario sconosciuto, genero di un altrettanto sconosciuto magnate russo, è appena sbarcato in Uruguay con l’intenzione di diventarne presidente. Si chiama Juan Sartori, ha 37 anni e ha vissuto gli ultimi vent’anni lontano dal piccolo paese latinoamericano, prima a Parigi e poi a Ginevra, seguendo la madre, Rosina Piñeyro, giovane sociologa che dopo una complicata separazione coniugale riuscì vent’anni fa a trovare prima una borsa di studio in un ufficio delle Nazioni unite a Parigi e poi un lavoro a Ginevra.

Di Sartori, ragazzino prodigio poi diventato proprietario di grandi estensioni di terra vicino Montevideo e di una squadra di calcio inglese, il Sunderland, sposato da tre anni con Ekaterina Ryvolovleva, ricchissima signora russa proprietaria tra l’altro dell’isola greca di Skorpios, fino a un paio di mesi fa nessuno conosceva neanche il nome in Uruguay e lui su questo ha costruito la sua campagna di lancio, aperta da un martellante annuncio pubblicitario in cui si leggeva solo una domanda: «Chi è Sartori?».

Sull’onda dell’aspettativa creata da quest’interrogativo, Sartori è arrivato all’aeroporto di Montevideo con una serie di interviste già concordate nelle quali ha annunciato la sua idea di candidarsi con la frase: «La politica non appartiene a nessuno, io voglio diventare presidente, mi candiderò con il partito Nazionale», il tradizionale partito di centrodestra del Paese.

Peccato che al partito Nazionale non ne sapessero nulla. Le prime reazioni sono state di sorpresa, poi di scherno, infine, dopo qualche settimana di silenzio in cui un accordo deve esser stato trovato a giudicare dal cambiamento dei toni usati nei confronti dell’ingombrante nuovo arrivato, è spuntata l’imbarazzata conferma che sì, in effetti, il nome di Juan Sartori risulta tra quelli dei candidati alle primarie di partito previste per giugno.

È così che le primarie di un Paese piccolo e tranquillo come l’Uruguay sono diventate un evento politico di rilevanza continentale. Gli occhi di analisti e strateghi sono puntati su Montevideo per vedere se in quello che è sempre stato uno dei laboratori politici più ricchi ed originali dell’America latina, con un fronte di centrosinistra di governo solido negli ultimi dodici anni, in grado di resistere apparentemente senza sforzo alla ventata di destra che sta spazzando il continente, c’è spazio per un fenomeno politico incarnato da un outsider di destra, per vedere cioè se l’Uruguay potrà diventare una piccola sponda al Brasile di estrema destra dell’ex capitano Bolsonaro o se la società uruguaiana rimarrà invece nel solco di quel riformismo sociale in cui si crea ricchezza con l’intenzione (anche) di redistribuirla, politica di successo avviata negli anni del primo governo del Frente Amplio, larga coalizione di centrosinistra guidata dall’ex guerrigliero Tupamaro (e fine politico) Pepe Mujica.

Molti osservatori dubitano che possa avere qualche possibilità di farcela un eccentrico miliardario, per di più vissuto a lungo all’estero, escludono che possa far breccia in una società tradizionalmente molto stabile, in cui l’esibizione di ricchezza è mal vista e si diffida non poco delle carovane di auto coi finestrini oscurati che accompagnano in ogni dove le uscite pubbliche di Sartori. Eppure qualche carta il giovane miliardario dovrebbe averla se Lacalle Pou, figlio, nipote e bisnipote di dirigenti del Partito Nazionale, finora considerato favoritissimo alle primarie del partito, ha rivoluzionato in corsa la sua campagna per rimodularla in vista dell’imprevisto sfidante interno.

Lo sbarco di Sartori potrebbe essere facilitato dalle difficoltà del centrosinistra di governo, che dopo più di un decennio al potere rischia di pagare caro lo scontento per l’aumento del costo della vita e delle tasse.

Nodo interessante sarà l’atteggiamento che Sartori e la destra uruguaiana tutta sceglieranno di fronte alla questione migratoria. L’Uruguay, nel rispetto dell’idea di doverosa accoglienza coltivata dalla leadership del Frente amplio, batte da anni ogni record sull’ingresso di immigrati stranieri. Anche nei confronti dell’ondata di migranti dal Venezuela affamato dalla cupa decadenza del regime chavista, l’Uruguay è stato il paese più disponibile di tutti all’accoglienza. Stessa politica usata nei confronti dei profughi siriani, accolti e inseriti in piccole realtà comunitarie di Montevideo apparentemente con grande successo.

La destra ha una ghiotta possibilità alle prossime elezioni presidenziali soprattutto perché la forte egemonia culturale e politica sull’elettorato esercitata da anni dal Frente amplio è in fase calante. I personaggi forti del centrosinistra sono troppo vecchi per resistere al comando e i precandidati alle primarie, quasi tutti cinquantenni, sono apparsi finora alquanto scialbi. Dicono che manterranno intatti tutti gli accordi che hanno consentito all’Uruguay di fare grandi passi avanti negli ultimi anni, a cominciare dalla riduzione della povertà, le campagne per la qualità dell’educazione pubblica e la crescita economica (costante negli ultimi 12 anni). Ma nessuno di loro, né l’ex sindaco di Montevideo, il socialdemocratico Daniel Martínez, né la ex ministra dell’Industria Carolina Cosse, sostenitrice di Mujica, né l’ex ministro dell’Economia Mario Bergara, sembra avere nemmeno l’ombra del carisma politico e delle capacità di mediazione del vecchio Pepe Mujica, alle quali il Frente Amplio deve la sua lunga storia di resistenza al governo.