Joe Biden, un’anatra zoppa in un Paese diviso

Stati Uniti - Le elezioni di metà mandatosono destinate a cambiare gli equilibrial Congresso, con quali conseguenze?
/ 07.11.2022
di Federico Rampini

Che America sarà, dopo l’8 novembre? Le elezioni legislative di midterm sono probabilmente destinate a cambiare la maggioranza al Congresso, mettendo in minoranza il partito del presidente. Non è una novità, che un presidente USA venga penalizzato dagli elettori dopo il primo biennio del suo mandato. Anzi, è la regola. Da questo punto di vista Joe Biden (nella foto) può consolarsi. Molti suoi predecessori hanno avuto solo due anni a disposizione per realizzare le loro priorità, poi sono stati costretti a negoziare con un Congresso ostile. Questa situazione, per quanto «normale», non depone a favore della governabilità degli Stati Uniti. Inoltre è peggiorata negli ultimi anni perché la polarizzazione ha reso più difficile trovare delle intese bipartisan, raggiungere dei compromessi col partito avverso. Ancora ai tempi di Ronald Reagan (anni ’80) e perfino di Bill Clinton (anni ’90) il dialogo tra democratici e repubblicani talvolta sfociava su convergenze. È almeno dai tempi di Barack Obama e della sua riforma sanitaria che i rapporti fra i due partiti sono così tesi da rendere difficili e rare le intese. Biden dal gennaio prossimo – quando si sarà insediato il nuovo Congresso eletto l’8 novembre – rischia di essere una «anatra zoppa», più zoppa di tanti suoi predecessori, con uno spazio di manovra ridotto.

Quali sono stati i temi dominanti in questa campagna elettorale? Anzitutto ciascun partito ha cercato di trasformare il voto in un referendum sul leader avversario, anche se la Casa Bianca non è in gioco. I democratici hanno sottolineato il ruolo di Donald Trump nel sostenere candidati repubblicani alla Camera e al Senato; anche per mettere in evidenza quanti di quei parlamentari sono dei «negazionisti» che sostengono la bugia trumpiana sull’elezione «rubata» nel 2020. Trasformare le elezioni di metà mandato in un referendum su Trump significava dare a questo voto il valore di un referendum sulla democrazia, messa in pericolo dalle bugie di Trump e dall’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

I repubblicani, specularmente, hanno cercato di trasformare l’8 novembre in un referendum su Biden, perché questo presidente ha toccato gli abissi dell’impopolarità. Quali sono le ragioni? Al primo posto figura l’economia: gli Stati Uniti non sono ancora in una vera recessione però molti indicatori sono in peggioramento. L’inflazione genera insicurezza. Inoltre molti rimproverano a Biden di aver ceduto alla sua ala ambientalista, penalizzando l’estrazione di energie fossili e quindi aggravando la crisi energetica. L’immigrazione è un altro tasto dolente. Molti accusano Biden e la sua vice Kamala Harris di aver creato aspettative di un allentamento nei controlli alle frontiere. L’afflusso di immigrati clandestini aggrava l’insicurezza. Infine c’è l’aumento della criminalità, associata alle campagne della sinistra contro la polizia accusata di razzismo.

Se i repubblicani conquistano la maggioranza alla Camera, e forse anche al Senato, come la utilizzeranno? Uno scenario è quello della battaglia giudiziaria a fronti rovesciati. L’ala trumpiana del Grand Old Party non vede l’ora di «restituire» alla sinistra i due impeachment tentati contro l’ex presidente. Potrebbero quindi aprire una serie di inchieste parlamentari finalizzate all’impeachment di Biden e di alcuni suoi collaboratori. La pista più gettonata è quella che parte dagli affari di Hunter Biden, il figlio del presidente, in Ucraina e in Cina.

Però se la nuova maggioranza repubblicana dovesse trasformare il prossimo Congresso in un tribunale permanente, rischierebbe di perdere una parte del consenso che ha conquistato alle urne. Gli elettori, per quanto arrabbiati e faziosi possano essere, vogliono un Congresso che lavori per risolvere i problemi della vita quotidiana. Ai repubblicani converrebbe mettersi al lavoro sulla riduzione della pressione fiscale, per esempio, che è un loro punto di forza; e sullo smantellamento delle restrizioni eccessive sulle energie fossili, di cui l’America e il mondo non potranno fare a meno per molti anni.

Potrebbero anche cercare di ricostruire le risorse e la fiducia verso le forze di polizia, per invertire la tendenza all’aumento della criminalità (anche se buona parte delle competenze in materia sono a livello locali: sindaci, sceriffi, procuratori). Lavorando su temi concreti, anziché sull’impeachment, i repubblicani forse riuscirebbero a creare condizioni più favorevoli alla vittoria di un loro candidato nel 2024. Meno tasse e più ordine pubblico sono anche temi sui quali i repubblicani raccolgono consensi tra le minoranze etniche – ispanici e afroamericani – dove il monopolio dei democratici si sta riducendo.

Conseguenze sull’Ucraina? Le questioni internazionali hanno raramente un peso nelle campagne elettorali. Tantomeno se si vota per il Congresso. Dopotutto è il presidente che fa la politica estera. Il Congresso viene chiamato in causa solo quando si tratta di finanziarla, e sugli aiuti all’Ucraina avrà effettivamente l’ultima parola. Per questo devono preoccupare Kiev le ultime uscite di esponenti repubblicani. Non solo certi trumpiani di ferro, fedeli alla vena isolazionista del loro capo, ma anche un notabile del vecchio establishment repubblicano, il capogruppo alla Camera Kevin McCarthy, ha detto di recente che la guerra in Ucraina comincia a costare troppo al contribuente americano. Lo ha subito rintuzzato Mitch McConnell, capogruppo repubblicano al Senato. Anche un trumpiano come Mike Pompeo è favorevole ad aiutare l’esercito ucraino a oltranza. Ma tant’è, la linea non fa l’unanimità in campo repubblicano. In campo democratico è successo un incidente increscioso quando è uscito un appello rivolto da trenta parlamentari dell’estrema sinistra del partito, in cui in buona sostanza si chiedeva a Biden di indicare un <i>endgame</i> in Ucraina, di favorire un negoziato, anche premendo su Zelensky. Al di là dei dettagli, per il suo tono quel testo è stato subito interpretato come un «rompete le righe», una dissociazione dalla linea Biden. L’allarme è rientrato quando i firmatari hanno sconfessato l’appello, spiegando che lo avevano redatto a giugno, quando la situazione in Ucraina era molto diversa. Per ora la disciplina di partito è stata ricostruita, ma il segnale rimane.

Biden non esclude di sottoporre una maxi-manovra di aiuti pluriennali all’Ucraina al «vecchio» Congresso cioè prima di Natale. Ma poi? Quando usciranno allo scoperto i candidati per la nomination presidenziale in campo repubblicano, potrebbe esserci Trump o qualche altro isolazionista come lui, meno favorevole a prolungare a oltranza il sostegno agli ucraini. L’imprevedibilità della politica Usa avrà i suoi riflessi tra altri alleati Nato. Chi in Europa finora ha represso le proprie obiezioni, potrebbe uscire allo scoperto via via che sorgeranno dubbi sulla leadership americana.