Il nuovo governo italiano presieduto da Giuseppe Conte ha quasi cento giorni di vita. «Presieduto» è termine improprio. Si tratta di fatto di un ministero copresieduto dai leader dei due partner del contratto di governo, Luigi Di Maio (vicepresidente e ministro del Lavoro) per il Movimento 5 Stelle e Matteo Salvini (vicepresidente e ministro dell’Interno) per la Lega. Quasi l’idealtipo di quello che gli americani chiamerebbero un «team of rivals», ovvero una squadra formata da partiti assai diversi e soprattutto concorrenti.
Ulteriore precisazione: anche se il risultato elettorale del 4 marzo dava i 5 Stelle in netto vantaggio, come primo partito, sulla Lega, quest’ultima è ormai indicata dai sondaggi allo stesso livello di intenzioni di voto dei soci/rivali. Grazie soprattutto alla personalità e all’incisività non solo mediatica di Salvini, che ha subito messo in ombra l’altro console, assai giovane e inesperto. Ma grazie anche al fatto che la Lega è un partito vero, strutturato e ancorato al territorio ormai non più solo settentrionale, mentre il Movimento dei grillini è tuttora allo stato gassoso e potrebbe evaporare rapidamente o spaccarsi. Ciò porta alcuni analisti a prevedere che il governo Conte durerà fino a maggio, quando la Lega cercherà un pretesto per andare alle urne non solo per il voto relativo al Parlamento europeo, ma per rinnovare contestualmente il Parlamento italiano.
Le forze politiche che fanno parte di questa strana coalizione amano parlare di «governo del cambiamento». Ma lo spazio per cambiamenti davvero profondi manca – e mancherà probabilmente anche il tempo. Il governo italiano è stretto fra i vincoli europei – che cerca disperatamente di allentare malgrado il 130% di rapporto debito/pil non lasci grandi spazi di manovra – e la pressione dei mercati finanziari, pronti ad avventarsi sull’Italia nel caso dovessero avvertire qualche scricchiolio sinistro. Ciò che per ora salva Roma – oltre al quantitative easing perseguito dalla Bce di Mario Draghi, ormai in via di scadenza – è la consapevolezza generale che una bancarotta italiana segnerebbe probabilmente la fine dell’euro e con essa di ciò che resta dell’Unione Europea, almeno come l’abbiamo finora conosciuta. Per questo sia la Germania che gli stessi Stati Uniti hanno fatto del loro meglio, in questi ultimi anni, per impedire che l’Italia finisse a gambe all’aria, in stile Grecia moltiplicata per dieci. Un evento che avrebbe ripercussioni non solo in Europa, ma nel sistema finanziario e nell’economia globale.
Resta che finora dei ventilati progetti di flat tax (Lega) e di reddito di cittadinanza (Movimento 5 Stelle) non si è visto nulla. E molto probabilmente nulla – o quasi – si vedrà, considerati i vincoli citati. A meno che il dilettantismo e l’incoscienza di qualche ministro non provochi un effetto valanga involontario. Ipotesi da non escludere, considerata l’inesperienza di quasi tutti i membri del governo e la difficoltà per i poteri profondi dello Stato, a cominciare dal Quirinale, di vegliare sul gabinetto Conte per impedire che sbandi.
L’unico terreno dove il cambiamento c’è stato, e assai visibile, è quello del contenimento dei flussi migratori. I quali si erano peraltro ridotti dei quattro quinti nell’ultimo anno, grazie anche all’iniziativa del predecessore di Salvini al Viminale, Marco Minniti. Il neo ministro e capo della Lega ha subito stabilito una linea durissima, di fatto respingendo i migranti in arrivo dalla Libia anche quando venivano imbarcati e salvati da una nave della Capitaneria di Porto italiana – come nel famigerato frangente della «Diciotti». Caso finora unico di uno Stato che respinge una propria nave. Obiettivo: costringere i soci europei a farsi carico di una quota rilevante degli immigrati in arrivo dall’Africa. E, sullo sfondo ma decisivo, guadagnare consensi e voti in vista delle prossime elezioni. Dalle quali Salvini conta di uscire come leader del partito di maggioranza relativa, primo ministro in pectore.
Altra caratteristica di questo governo è l’ostilità reciproca, appena mascherata, nei confronti dei classici paesi guida dell’Unione Europea, Francia e Germania. Specie con Parigi sembra che Roma abbia ingaggiato un torneo a 360 gradi, dagli investimenti francesi in Italia alla questione migratoria e alla Libia. Mentre molte affinità si riscontrano con i governi dell’ex Est e della Mitteleuropa, di tono neonazionalista e soprattutto ostili ai migranti. Di più: sia Salvini che di Maio (ma soprattutto il primo) coltivano relazioni privilegiate con la Russia, specificamente con il partito di Putin. Rapporti che hanno ovviamente anche un lato finanziario. Conte ha intanto trovato una notevole consonanza, almeno verbale, con Trump – guarda caso sui migranti e sulla Russia. Ma visti i guai in cui si trova oggi il presidente degli Stati Uniti, e considerata la guerra nemmeno troppo sotterranea che gli muovono gli apparati americani, i buoni rapporti personali non significano affatto una maggiore prossimità fra Roma e Washington.
L’Italia naviga a vista. Sorvegliata da partner che non la considerano affatto affidabile. E che sanno bene come un’eventuale catastrofe italiana ricadrebbe, in parte, su di loro.