Allegato  -  0.9 MByte

Internet: economia e società del déjà-vu

Consumi - L’espansione commerciale è sottoposta sempre più non solo a rischi di «saturazione» fisiologici, ma anche tecnologici
/ 20.02.2017
di Edoardo Beretta

Non vi è dubbio che l’economia post-industriale sia divenuta come la si conosce anche grazie all’avvento di nuove tecnologie, che hanno permesso di abbattere «muri» temporali, spaziali e persino culturali. Non è altrettanto un mistero che il commercio tramite PC, smartphone, tablet o altri dispositivi abbia quasi ovunque fornito un sostanziale contributo alla crescita dei consumi interni e, di converso, del PIL stesso ‒ sebbene, in altrettante circostanze, possa avere rappresentato un «neo» a discapito dei punti vendita tradizionali. Certamente, l’elogio dell’e-commerce può equivalere (soprattutto presso il pubblico più giovane) a «sfondare una porta aperta», poiché ha permesso di moltiplicare l’accessibilità a opportunità di acquisto ampliandone il «panorama d’offerta» con prodotti nuovi, usati, rari, locali, transcontinentali ecc. Tuttavia, poco e nulla si è finora scritto sui rischi (anch’essi non da sottovalutare) derivanti da un approccio di sviluppo «esclusivista» del solo canale di vendita online.

Diciamocela tutta: conoscere in anticipo (e con dovizia di dettagli oltre che estrema facilità) tramite un clic le caratteristiche principali di beni o servizi ‒ per non parlare, poi, dell’esplorazione di luoghi sconosciuti comodamente seduti ‒ è sicuramente seducente. Così facendo, però, nel medio-lungo termine non si può escludere non soltanto un overload (cioè «sovraccarico») informativo, ma anche un vero e proprio «effetto di saturazione» quale logica ed inevitabile conseguenza di 1) un eccesso di possibilità d’acquisto 2) con progressivo disinteresse per le troppe opportunità così «a portata di mano». Se si conviene sul fatto che un simile arricchimento di opportunità d’acquisto rappresenti una grande conquista, nondimeno si deve sottovalutare la sua governance per tempo. Ecco, dunque, essere compito di decisori economico-politici e commerciali prestare attenzione a tutti quei rischi connessi all’impoverimento di quell’opera di ricerca e scoperta, che l’immediata reperibilità può a lungo andare sottrarre.

Il timore (stavolta più concreto) è che l’effetto si riverberi ‒ in special modo, nelle società oltremodo digitalizzate (vedi documento allegato a lato) ‒ in stagnazione o persino calo dei consumi individuali. Senza volere scadere nella iettatura, non è da escludere che ciò sia uno scenario potenziale finora trascurato. Allo stesso modo, senza fare opera di marketing al contrario menzionando mode recenti, già si assiste al repentino abbandono di trend che solo fino a poco prima facevano ancora proseliti. Tutto come sempre, forse? A ben vedere, tali «meteore commerciali» sono frutto non soltanto del carattere intrinsecamente e perennemente passeggero delle mode, ma possono forse derivare anche dalla battente rapidità, con cui vengono proposte all’attenzione del pubblico innumerevoli «novità» di lì a pochi clic non più tali. Del resto, i dati statistici sul numero di fruitori di Internet (che è la «spina dorsale» del commercio elettronico) parlano chiaro con la curva in continua ascesa. Domanda cruciale è, quindi, come si possa mantenere alto il livello d’attenzione del consumatore «tipo» e conciliare accessibilità immediata di informazione e piacere della scoperta.

Come spesso accade in un mondo sempre più globalizzato, la risposta non è semplice (non potendo prescindere dal contemperamento di numerose variabili), ma non esclude un parziale ridimensionamento del mezzo elettronico, che ‒ molto banalmente ‒ dovrebbe riprendersi il ruolo di «strumento» anziché «fine». Senza attingere al bagaglio infinito dell’ingenuità, i «padroni» della tecnologia dovrebbero ‒ anche con lungimirante interesse ‒ tornare a farla concepire in maniera esclusivamente strumentale ed ancillare alla nostra quotidianità anziché proporla in modo «totalizzante» e sostitutivo di ogni approccio alternativo. Appagare sempre la propria curiosità, facendo ricorso all’immancabile clic pre-acquisto sui principali motori di ricerca, è certamente legittimo, ma quella «sana» aspettativa ne risente decisamente. Di ciò il commercio internazionale dovrebbe prendere coscienza ‒ spingendo, forse, un po’ meno su quell’«acceleratore» chiamato marketing ‒ ed assumersi anche l’impegno di dotare i consumatori di quelle «istruzioni per l’uso» (a mo’ di bugiardino da confezione farmaceutica) necessarie ad usare (ma non abusare alla stregua di un medicinale) la tecnologia. 

Così facendo, si creerebbero le premesse per una slow tech-economy, che contemperi sì il perseguimento del nuovo tramite la tecnologia ma senza estremismi. Infatti, il «conto» derivante dalla volontà di contenimento dei costi (da cui ‒ diciamocela tutta ‒ l’e-commerce ha saputo approfittare a piene mani) potrebbe essere inaspettatamente «salato» per avere esposto la clientela ad un processo di ipersensibilizzazione alla novità (con conseguente assestamento dei consumi). Il valore della ricerca e scoperta, che è la quintessenza dello sprone a consumare, dovrebbe quindi essere riscoperto in chiave moderna, scongiurando quell’effetto boomerang che tanto improbabile forse non è.