L’impossibile è diventato possibile: dopo oltre 50 anni dal loro scioglimento e la scomparsa di metà dei componenti, i Beatles pubblicheranno una nuova canzone. L’ultima. A coronamento di un’ineguagliabile carriera. Lo ha annunciato Paul McCartney, rivelando di avere realizzato il brano grazie all’intelligenza artificiale (IA), che gli ha consentito di «liberare» la voce di John Lennon da un vecchio demo, riportando così in vita la band più famosa mai esistita. L’ex Fab Four ha rivelato che «il disco finale» del gruppo uscirà quest’anno, ma senza rivelarne il titolo, anche se secondo indiscrezioni della stampa britannica dovrebbe trattarsi di Now And Then, un pezzo scritto da Lennon nel 1978, quando si era ritirato a vita privata a New York con la moglie Yoko Ono e il loro figlio Sean, senza neanche un contratto discografico.
Sarebbe stata proprio Ono ad inviare a Sir Paul il demo del defunto marito, dal quale è stata estratta con l’IA la voce dell’ex Beatle, separandola dal sottofondo musicale e dal brusio dell’obsoleto nastro. Per mettere a punto l’impresa è bastato dire alla macchina: «Quella è la voce. Questa è la chitarra. Leva la chitarra». Lo ha spiegato McCartney alla BBC Radio 4, senza nascondere una certa eccitazione, mista a preoccupazione. Una sensazione diffusa di questi tempi, d’altronde. In Gran Bretagna, come nel resto del mondo.
Rishi Sunak negli ultimi tempi ha cambiato decisamente tono a proposito della tecnologia: dopo un iniziale entusiasmo e ottimismo riguardo alle opportunità che può creare, il premier britannico ha iniziato a parlare dei «rischi esistenziali» che pone, sottolineando come il suo rapido avanzamento possa portare a conseguenze al di fuori di ogni controllo. È così ha annunciato che il primo summit globale sulla sicurezza dell’intelligenza artificiale avrà luogo proprio nel Regno Unito quest’autunno. Lo scopo? Fare del Regno una sorta di hub per la regolamentazione del settore su scala mondiale, gettando un ponte fra Stati Uniti e Cina e posizionando così il Paese come valida alternativa all’approccio più forzoso dell’Unione Europea.
Bruxelles e Strasburgo, infatti, stanno lavorando a colpi di emendamenti su una legge – la prima al mondo – per regolare la IA (il cosiddetto AI Act), che tuttavia con la fresca approvazione del Parlamento europeo ha appena iniziato un lungo iter legislativo destinato a concludersi al più presto alla fine dell’anno. Il Regno Unito, invece, con il summit si propone di discutere i rischi della tecnologia e delle modalità per mitigarli attraverso «un’azione internazionalmente coordinata» che potrebbe essere realizzata grazie a un accordo quadro: una sorta di trattato come quello Onu di non proliferazione nucleare entrato in vigore nel 1970 per arginare potenziali minacce esistenziali, applicato tuttavia all’intelligenza artificiale.
Spingono per un ruolo leader del Regno Unito nella IA anche due vecchi mattatori della politica britannica come l’ex premier laburista Tony Blair e l’ex segretario Tory, William Hague, che hanno contribuito a compilare una relazione bipartisan su come il Paese dovrebbe creare un «laboratorio nazionale» per testare l’intelligenza artificiale e divenire così il faro guida dell’industria e «il cervello» di un ente regolatore non solo britannico, ma internazionale. A questo scopo il Regno dovrebbe collaborare con l’Ue per sviluppare un modello di regolamentazione in linea con gli standard Usa. «Gli esistenti approcci istituzionali verso la IA non funzionano e la Gran Bretagna non può perdere le occasioni che l’ondata di una sicura e democratica intelligenza artificiale può portare», hanno scritto Blair e Hague nel documento, intitolato A New National Purpose: AI Promises a World-Leading Future of Britain.
Di recente uno dei padri della IA, Geoffrey Hinton, ha rassegnato le sue dimissioni da Google dicendo di essere pentito del suo lavoro sulla tecnologia e lanciando un monito sui pericoli del suo rapidissimo avanzamento. «Per il momento, i chatbots non sono ancora più intelligenti di noi, ma penso che potrebbero presto diventarlo», ha dichiarato lo studioso anglo-canadese alla Bbc, sottolineando come siano sistemi digitali in contrapposizione agli esseri umani, che sono sistemi biologici. La grossa differenza è che i sistemi digitali apprendono le informazioni separatamente, ma poi le condividono fra loro istantaneamente. «È come se ci fossero 10mila persone e non appena una di loro impara qualcosa, tutte le altre imparano automaticamente la stessa cosa. Ed è per questo che i chatbots possono accumulare un sapere di gran lunga superiore rispetto a qualsiasi essere umano», ha precisato Hinton.
Lo scorso marzo dozzine di operatori del settore, incluso Elon Musk, avevano firmato un appello per chiedere uno stop di almeno 6 mesi allo sviluppo di forme più avanzate dell’attuale ChatGTP fintantoché vengano messe a punto delle misure di sicurezza robuste. «Dobbiamo lasciare che le macchine inondino i nostri canali di informazione con propaganda e falsità? Dovremmo automatizzare tutti i lavori, compresi quelli più soddisfacenti? Dovremmo sviluppare menti non umane che alla fine potrebbero superarci di numero, essere più intelligenti e sostituirci? Dobbiamo rischiare di perdere il controllo della nostra civiltà? Queste decisioni non devono essere delegate a leader tecnologici non eletti», recitava la lettera aperta. L’IA è più un’opportunità o un pericolo? Ai posteri l’ardua sentenza.