Nel 1985 due terribili notizie segnarono l’attualità africana. In Etiopia raggiunse il suo culmine la spaventosa carestia in atto già dal 1983; in Sudafrica, nel tentativo di domare la rivolta dei ghetti neri che sei anni dopo avrebbe portato alla liberazione di Nelson Mandela, il Governo proclamò lo stato d’emergenza. Nelle strade di Soweto e di altre città sudafricane, i due eventi trovarono un imprevisto punto d’incontro quando i giovani dei ghetti si misero a canticchiare una canzone scritta in America poco tempo prima per raccogliere fondi in aiuto alla carestia etiopica.
We Are The World era stata composta in poche ore da Michael Jackson e Lionel Richie e prodotta da Quincy Jones. Ci sono momenti, dicevano le parole, in cui il mondo deve diventare una cosa sola. Cantata insieme da tutte le più celebri star americane, da Ray Charles a Harry Belafonte a Bob Dylan, fu un successo planetario, che vendette oltre venti milioni di copie. Per la verità non era un’idea originale: l’anno prima era stato il musicista irlandese Bob Geldof a scrivere una canzone allo stesso scopo, riunendo i suoi colleghi (Sting, Boy George, Simon Le Bon eccetera). S’intitolava Do They Know It’s Christmas ed era stata anch’essa un enorme successo, rimanendo a lungo in vetta alle classifiche del Regno Unito. La mobilitazione delle pop star angloamericane aveva a sua volta un motivo. La «Bbc» aveva mandato in onda sconvolgenti reportage dal nord dell’Etiopia. Le immagini delle sofferenze della popolazione del Tigray, in particolare dei bambini, erano entrate in tutte le case, turbando profondamente l’opinione pubblica. Altri network avevano seguito il suo esempio. Di qui l’imperativo di fare qualcosa, la disponibilità degli artisti e infine quelle note che continuavano a fare il giro del mondo.
Da allora sono passati circa quarant’anni. Il pianeta è infinitamente più interconnesso rispetto a quel tempo che ancora non conosceva né Internet né gli smartphone. Non c’è evento, in qualunque punto del globo accada, che oggi i social network non siano in grado di ritrasmettere in tempo reale all’intera umanità. Eppure della carestia che sta travolgendo la Somalia sappiamo poco o nulla. Sono mesi che gli operatori umanitari lanciano l’allarme, ma i loro appelli non riescono ad andare oltre gli addetti ai lavori. Anche in questo caso i più esposti, le prime vittime, sono i bambini. L’emozione tuttavia, e prima ancora l’informazione, non arrivano fino a noi.
Grandi siccità si sono succedute nei secoli sugli aridi altipiani etiopici. Ma le cause di quello che accadde nel 1983-85 erano da attribuire solo in parte a eventi naturali: l’uomo ci aveva messo molto del suo. Nel nord del Paese, in Tigray, era in corso da tempo una rivolta armata e il regime militar-comunista di Addis Abeba aveva messo in atto politiche sciagurate nelle campagne. Inoltre si ostinava a escludere ogni altro soggetto dalla distribuzione degli aiuti alimentari. Il numero delle vittime di quella catastrofe è destinato a rimanere per sempre un’incognita. Le stime variano dai 400mila al milione e 200mila morti. Comunque la si veda, un’ecatombe. Anche in Somalia, e nella più vasta regione del Corno d’Africa, sono adesso quattro anni filati che le piogge tradiscono le attese dei coltivatori, mentre in altre parti del Continente si rovesciano con subitanea e sconosciuta violenza, causando inondazioni. Tuttavia gli scienziati sono quasi unanimemente convinti che questa volta le cause non siano naturali, bensì da attribuirsi al cambiamento climatico dovuto alle attività dell’uomo.
Alla scarsità ormai cronica delle precipitazioni si sono assommati in questo 2022 altri fattori micidiali, che non hanno nulla di naturale. Il primo è l’aumento generalizzato dei prezzi dei generi alimentari, parte dell’onda inflattiva avviata dall’accresciuto costo dell’energia. Il secondo è il blocco delle esportazioni di cereali dall’Ucraina, in atto per molti mesi a causa dell’aggressione militare russa. Il 22 luglio scorso, con la mediazione della Turchia e delle Nazioni unite, i due Paesi hanno raggiunto un accordo in materia e le navi cariche di grano hanno ripreso a salpare dal porto di Odessa. Tuttavia questo flusso è ripreso con lentezza ed è lontano dall’essere tornato a pieno regime. Il risultato è che in molti punti di crisi le agenzie internazionali incaricate di portare a destinazione gli aiuti alimentari, come il World Food Programme delle Nazioni unite, hanno dovuto ridurre le razioni distribuite. È accaduto per esempio nei campi di raccolta dei profughi in fuga dalla guerra civile del Sud Sudan.
Siccità, accresciuto costo e diminuita disponibilità delle derrate alimentari. È questa la tempesta perfetta al centro della quale si trova oggi la Somalia. Secondo l’Unicef, sono oltre mezzo milione i bambini a rischio di malnutrizione acuta. I centri nutrizionali non riescono più a fare fronte alle richieste. La popolazione complessiva colpita è di quasi sette milioni di persone, dice la Food and Agriculture Organization (Fao) dell’Onu, e i mesi in cui la crisi è destinata a raggiungere la fase più acuta sono i prossimi tre. Un incubo, ripetono gli operatori umanitari, di cui il nostro secolo non ha ancora conosciuto l’eguale. L’unico precedente, sempre in Somalia, risale al 2010-2011: quasi 260mila morti, la metà bambini. Quando la carestia fu infine riconosciuta ufficialmente come tale, erano già decedute 100mila persone. Bisogna aggiungere che la Somalia è il maggiore ma non l’unico Paese a rischio di una nuova ecatombe per fame: di nuovo nel Tigray etiopico, dove la guerra è ricominciata da due anni, in Sud Sudan, in Niger, in Burkina Faso, vaste regioni si trovano in situazioni comparabili.
La carestia etiopica del 1983-85 esplose in anni in cui la Guerra fredda era ancora in corso, anche se declinante. Il regime etiopico era saldamente alleato dell’Unione sovietica ed è lecito ritenere che la grande mobilitazione umanitaria occidentale avesse anche un vaga motivazione ideologica. Nella stagione presente sono la guerra in Ucraina, il costo dell’energia e gli effetti del cambiamento climatico all’interno dei nostri confini a monopolizzare l’attenzione delle opinioni pubbliche europee e le risorse dei loro Governi. Le sofferenze dell’Africa sono lontane.
Intanto l’Africa muore di fame
Una terribile carestia sta travolgendo la Somalia e altre regioni del Continente. Le cause? La siccità, la scarsità e l’accresciuto costo delle derrate alimentari. Ma l’attenzione internazionale è rivolta altrove
/ 26.09.2022
di Pietro Veronese
di Pietro Veronese