Fanno quasi tenerezza il quasi ottantaseienne Silvio Berlusconi tenuto per mano dalla fidanzata-badante, Marta Fascina, durante una riunione del centrodestra e Matteo Renzi respinto dagli ex sudditi del Pd e costretto ad accordarsi con il fratello più coltello che esista – Carlo Calenda – per superare la soglia del 3% e non sparire nel dimenticatoio (Terzo polo). Nell’Italia della presunta Terza Repubblica dovevano essere i protagonisti di una vincente staffetta generazionale. Oggi, in vista delle elezioni del 25 settembre, li unisce l’identico tramonto dalle tinte melodrammatiche. Berlusconi con un partito scompaginato da abbandoni e polemiche, attraversato dalle preoccupazioni dei fedelissimi di dover misurare con il contagocce le comparsate di un leader dalla ridotta autonomia. Renzi così in difficoltà da dover cedere il nome nel simbolo all’alleato, che prima di esser tale l’aveva subissato d’insulti. Il più tenero: «Il suo modo di far politica mi suscita orrore». Tutto accantonato nel nome dell’interesse reciproco di sopravvivere al proprio io e, per quanto riguarda Renzi, ai tanti nemici seminati in questo decennio. Sostiene di voler fare l’uomo assist, quello dell’ultimo passaggio, ma i suoi malcapitati soci temono che l’incontenibile antipatia da cui è circondato possa zavorrare anche questa fresca alleanza.
E ha assunto il sapore di un beffardo comune destino l’invito di Berlusconi a Renzi, prima dell’intesa con Azione di Calenda, di approdare dentro Forza Italia per accentuarne i tratti liberali ed europeisti. Renzi ha dovuto respingerlo conscio che per lui sarebbe stato il bacio della morte, la conferma della propria inaffidabilità. Anzi, i due saranno avversari nella stessa circoscrizione di Milano. Eppure le premesse erano state ben differenti... Nel dicembre del 2010 Renzi, rampante sindaco di Firenze, fece visita a Berlusconi, premier, nella residenza privata di Arcore. Ne seguì un silenzioso compiacimento a destra e irritate domande a sinistra. Renzi manifestava già corpose ambizioni nazionali; Berlusconi era reduce dal più netto successo elettorale della carriera e guidava un governo pronosticato a riempire l’intera legislatura, fino al 2013. I due manifestarono reciproca simpatia: Renzi sostenne di non condividere l’antiberlusconismo programmatico dei colleghi di partito; Berlusconi pronunciò un «tu mi somigli», causa di non pochi fastidi in entrambi gli schieramenti. La dichiarata sintonia e l’evidente stima provocarono sguardi sospettosi fra gli appartenenti al fronte progressista. Ci fu un bis nel gennaio 2014 con Berlusconi invitato da Renzi fresco segretario dem: vennero ribadite le affinità e la considerazione, furono annunciati grandiosi propositi condivisi. Scrissero: sta nascendo il «Renzusconi» con Berlusconi pronto a fare carte false pur di arruolare Renzi in Forza Italia e Renzi intenzionato a diventare il Berlusconi del fronte riformista, cioè un leader esentato dal render conto a chicchessia delle proprie scelte.
Ma Berlusconi aveva già imboccato dal 2011 un’irrimediabile parabola discendente, che all’inizio aveva coinciso con l’ascesa, all’apparenza irresistibile, di Renzi. Tra il dicembre 2013 e il giugno 2014 il nemmeno quarantenne Matteo conquistò la segreteria del Pd; la presidenza del consiglio pugnalando alle spalle il commilitone Enrico Letta; il 40,2 alle elezioni europee, risultato storico per la sinistra italiana. Eppure al termine del 2016 Renzi aveva già perso tutto, travolto dal disastroso esito del referendum sulle modifiche costituzionali varate in Parlamento. Cui avrebbero fatto seguito le catastrofiche elezioni politiche del 2018 con il Pd relegato al 18 per cento. Segnò la fine politica di Renzi probabilmente pentito di non aver seguito quanto dichiarato prima del referendum: se perdo, lascio il governo e il partito. Viceversa, aveva lasciato solo il governo e trascinato il Pd dentro il gorgo dell’avversione ormai maturata nel corpo elettorale.
Renzi ha poi menato vanto di aver favorito nel 2019 l’unione con il M5S, da lui respinta l’anno prima, per bloccare le mire espansionistiche di Matteo Salvini e di aver determinato la crisi di questa stessa unione per agevolare l’arrivo di Mario Draghi. Partite indubbiamente vinte, tuttavia hanno paradossalmente contribuito ad affossarlo nel giudizio degli italiani. Nel settembre 2019, quando ha operato la scissione dal Pd non sopportando di dover ricevere ordini anziché impartirli, lo seguirono in 40 tra deputati e senatori. A Italia viva, così chiama la nuova formazione, fu attribuito circa il 7% dei consensi. Renzi si dichiarò sicuro di poterli raddoppiare in pochi mesi. Al contrario, incomincia la frana fino al 2%. I propositi di pescare nel serbatoio di Forza Italia vengono irrisi dall’irresistibile attrazione di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, cui giova tantissimo l’essere l’unica forza di opposizione.
Ammesso che sia mai stata possibile, salta definitivamente la mitica staffetta fra Berlusconi e Renzi. Anzi, i problemi di salute del primo spingono ancor più i forzisti a cercare un approdo sicuro, considerato anche il radicale taglio di poltrone alla Camera (da 630 a 400), e al Senato (da 315 a 200). E chi può esserlo più di una forza nel 2018 appena sopra il 4% e ora valutata intorno al 25%, quindi con una valanga di posti a disposizione? In un recente show televisivo un Berlusconi super truccato ha sostenuto di aver assicurato all’Italia gli oltre 200 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), Recovery fund nella dizione originale, malgrado non si ricordi una sua presenza a Bruxelles durante le trattative; ha annunciato che saranno piantati un milione di alberi l’anno, evidentemente in sostituzione del milione di posti lavoro promessi in passato; ha chiesto dentiere gratis per gli anziani e garantito di alzare le pensioni minime a 1000 euro mensili. È sicuro in tal modo di trascinare Forza Italia fino al 20% e farne il primo partito della coalizione, quello incaricato di nominare il presidente del consiglio. Sembra soprattutto un sogno e fa il paio con il sogno di Renzi di superare il 5% grazie a quello che viene presentato come il Terzo polo, ma nelle previsioni di molti è soltanto un Sotto centrino. Non è più tempo di cantastorie, grandi o piccoli che siano.