India: Gandhi o ancora Modi?

Elezioni generali – Sono chiamate al voto quasi 900 milioni di persone, si tratta della consultazione più imponente della democrazia mondiale. Il premier spera di ripetere il successo del 2014 ma le probabilità sono basse
/ 22.04.2019
di Francesca Marino

«Il vostro voto è un’arma, il vostro risveglio è un’arma. La vostra consapevolezza è un’arma. Quindi usatela con saggezza, perché siete chiamati a scegliere il vostro futuro». Parola di Pryianka Gandhi Vadra, il famoso «fattore P» che, nelle intenzioni del partito del Congress dovrebbe portare alla vittoria Rahul Gandhi, fratello di Pryianka e candidato premier per l’opposizione. Le elezioni in India sono appena cominciate, difatti, e il clima elettorale è già rovente. Anzitutto per i numeri, da far tremare i polsi a chiunque. Si reca a votare, difatti, praticamente il dieci per cento della popolazione mondiale: novecento milioni di aventi diritto al voto, tra cui ottantatrè milioni di nuovi elettori e quindici milioni di diciottenni.

Per ovvi motivi, le tornate elettorali saranno sette, distribuite su trentanove giorni, dall’11 aprile al 19 maggio. I risultati saranno resi noti il 23 maggio, quattro giorni dopo la chiusura dell’ultimo seggio. I seggi sono circa un milione, studiati in modo da non far percorrere a ogni singolo elettore più di due chilometri e per evitare code troppo lunghe nella calura del mese di maggio. Le prime dita sporche del segno di inchiostro indelebile che conferma il passaggio di ogni individuo al seggio elettorale sono orgogliosamente comparse sui social media, assieme alle prime polemiche: pare difatti che a cancellare l’inchiostro indelebile basti un po’ di solvente per togliere lo smalto dalle unghie.

Il clima, come dicevamo, è già rovente. Queste elezioni difatti, più che una normale tornata elettorale per decidere il prossimo governo del Paese, si presentano come un gigantesco test sul governo ma soprattutto sulla persona di Narendra Modi, il premier uscente. Modi, che ha vinto le elezioni del 2014 con un diluvio di voti, definito la «valanga arancione», è dato per vincente ancora una volta: di stretta misura, però: il che significa che sarà costretto questa volta a formare un governo di coalizione. Per vincere, il premier e il suo partito hanno messo in moto una vera e propria macchina da guerra elettorale via social media e media tradizionali. Con il lancio di un canale satellitare chiamato NaMo TV, che secondo gli avversari viola le regole del codice etico elettorale, con il lancio di un serial Tv sulla vita del primo ministro, poi cancellato dalla programmazione ma, soprattutto, con il lancio di uno slogan elettorale su cui poi è stata costruita anche una canzone: Mai bhi chowkidar, io sono il guardiano. Il guardiano della cultura e dei confini del Paese, che invita tutti i cittadini indiani a considerarsi, appunto, guardiani.

Dopo poche ore, e dopo che lo stesso Modi aveva aggiunto al suo profilo Twitter la parola «chowkidar», migliaia di profili erano stati trasformati in «guardiani». La risposta di Rahul Gandhi, «chowkidar chor hai» (il guardiano è un ladro), non ha avuto la stessa risonanza e ha anche offeso a morte quelli che il chowkidar lo fanno di mestiere. Rahul Gandhi, purtroppo, non riesce ancora a parlare alla pancia del Paese e, soprattutto, non possiede lo stesso carisma del suo avversario. Al mito dell’uomo comune, il figlio di un chaiwallah (venditore di tè) che diventa primo ministro, Rahul può rispondere soltanto con l’essere pronipote, figlio e nipote di membri illustri della politica indiana: Nehru, Rajiv Gandhi e Indira Gandhi.

 A dargli una mano è finalmente scesa ufficialmente in campo sua sorella Priyanka, che non è candidata ma a cui è stato finalmente dato un ruolo di primo piano nel partito. Priyanka è bella, giovane, colta e intelligente. Possiede lo stesso carisma di nonna Indira, a cui somiglia anche fisicamente, nel modo di camminare e di gesticolare. Somiglianza accentuata dallo stesso taglio di capelli, e, commentano i maligni, dal fatto di aver scelto un marito ricco. Marito che, a dire la verità, costituisce il suo più grosso handicap: Robert Vadra, uomo d’affari piuttosto chiacchierato, è difatti praticamente impresentabile. Per comizi e tour elettorali Priyanka ha recuperato e modificato alcuni dei sari della collezione, famosa, sterminata e di incredibile valore, di nonna Indira: e dovunque vada viene accolta da folle in delirio. E non è escluso che «la nuora dell’India» venga candidata all’ultimo momento a Varanasi proprio contro Narendra Modi. 

Possibile, dicono gli osservatori, ma non probabile: perché si mormora già di dissidi di famiglia visto che la popolarità di Priyanka rischia di affossare per sempre Rahul. Che dice in realtà cose molto sensate senza però riuscire a toccare il cuore e l’immaginazione della gente. E le elezioni in India si vincono non nelle grandi città e tra l’élite a cui si rivolge Rahul ma in villaggi e città di provincia. Agli elettori di Modi, difatti, sembra importare molto poco che, alla fine dei conti, il governo uscente non abbia mantenuto gran parte delle sue promesse: milioni di giovani sono disoccupati, e anche con poche possibilità di trovare lavoro in un mondo che richiede sempre più competenze tecniche specifiche e specializzazioni.

I contadini, e sono milioni, sono furibondi perché i prezzi dei raccolti continuano a scendere. La demonetizzazione del 2016, quando da un giorno all’altro sono sparite dalla circolazione alcune banconote di grosso e medio taglio, è stata un disastro di proporzioni epiche e, lungi dal far emergere il denaro nero degli speculatori, ha inciso soltanto sulle finanze delle centinaia di migliaia di lavoratori che non hanno un conto in banca e tengono i risparmi sotto il materasso e dei piccoli commercianti. 

Non solo: Modi è accusato da più parti di aver ridotto l’India a uno Stato fascista e intollerante in cui si è data mano libera agli integralisti hindu. A danno dei musulmani, dei cristiani e di chiunque non la pensi come il governo. Però, agli occhi della gente comune, conta molto di più la percezione, il fatto che NaMo ha ridato all’India un orgoglio nazionale e gli ha regalato uno smalto internazionale.

Così come contano i due attacchi compiuti, negli anni del suo governo, ai danni del Pakistan: il surgical strike dopo l’attentato di Uri nel 2016, e il recente bombardamento del campo di addestramento della Jaish-i-Mohammed a Balakot. In queste elezioni inoltre il cosiddetto «terzo polo», che nel 2014 era rappresentato da Arvind Kejriwal e dal suo «partito dell’uomo comune», esiste soltanto sulla carta e non ha un candidato di spessore. Kejriwal si era alleato al Congress, ma ha di recente rotto l’alleanza per uno scontro via Twitter con Rahul Gandhi. Un mese è lungo, e le variabili sono tante. A decidere su Modi e sulla sua popolarità sarà probabilmente, alla fine, l’ennesima «battaglia di Varanasi» il 19 maggio. Non resta che aspettare.