La bandiera europea torna sulle piazze georgiane, stavolta non come vessillo di libertà, ma come bersaglio di odio da dare alle fiamme. La vittoria dell’opposizione liberale ed europeista contro il Governo di Irakli Garibashvili, dopo giorni di scontri con la polizia nel centro della capitale Tbilisi, non si è ancora trasformata in una rivoluzione. La destra conservatrice va al contrattacco e mentre il movimento Alt-Info brucia bandiere europee in piazza, il leader del partito di Governo Sogno georgiano, Irakli Kobakhidze, denuncia il «fascismo liberale» dell’opposizione e scaglia accuse di «satanismo» contro i giovani «manipolati dagli USA». Dello stesso parere è anche Mosca, il cui Ministero degli esteri denuncia le «pericolose ingerenze americane» nella protesta di Tbilisi, paragona la piazza georgiana al Maidan di Kiev e denuncia sia «un pretesto per rovesciare il Governo con la forza».
Le linee divisorie sono molto chiare: da un lato il Governo georgiano – che si appoggia a una coalizione parlamentare nazionalista di centrodestra e segue gli interessi dell’oligarca Bidzina Ivanishvili – e dall’altro l’opposizione, un variopinto fronte di partiti e organizzazioni, rappresentati in piazza da un attore nuovo, i giovani. Gli scontri in piazza tra la polizia e i manifestanti che protestavano contro l’approvazione della legge sugli «agenti stranieri» (legge che poi è stata ritirata) sono stati abbastanza pesanti. Ma a colpire gli osservatori – e a spaventare il Governo – è stata soprattutto la capacità dei migliaia di manifestanti di organizzarsi per affrontare lacrimogeni e pallottole di gomma, sfoggiando un mix di bandiere – georgiane, europee, ucraine e arcobaleno – che ben descrive le loro aspirazioni. Il ministro russo Lavrov ha ragione a paragonare Viale Rustaveli di Tbilisi al Maidan di Kiev, nel senso di uno scontro anche generazionale e valoriale tra i giovani che sognano l’Europa e la nomenclatura che vorrebbe un riavvicinamento alla Russia.
La protesta contro la legge sugli «agenti stranieri» – una copia di quella russa, diretta contro media e ONG indipendenti e critici del Governo – diventa subito una rivolta contro la «legge russa», e contro la Russia in quanto tale, come entità politica e come modello ideologico. Non è un caso che i sostenitori del Governo del Sogno georgiano attingono a un vocabolario putiniano sul «satanismo» e si appoggiamo ad organizzazioni anti occidentali di destra; mentre l’ex presidente riformista Mikheil Saakashvili denuncia, dalla clinica dove si trova agli arresti, di essere in fin di vita dopo essere stato avvelenato su ordine di Putin. Il Governo georgiano non ha aderito alle sanzioni contro la Russia – nonostante la Georgia sia stata la destinazione di centinaia di migliaia di russi in fuga dalla dittatura, che hanno stimolato l’economia e reso molto più anti putiniano il clima politico – ed è stato penalizzato da Bruxelles già un anno fa, quando non ha ottenuto lo status di Paese candidato all’UE concesso a Ucraina e Moldavia. Con questi due Paesi la Georgia ha in comune l’essere stata vittima di una guerra lanciata dalla Russia, nel 2008, che le ha strappato due territori, Abkhazia e Ossezia del Sud, oggi controllati da Mosca che li riconosce come indipendenti. Una ferita nazionale e una spada di Damocle che rimane sospesa sull’indipendenza georgiana, come hanno ricordato anche i propagandisti russi che hanno inneggiato nei talk show a un «attacco a Tbilisi».
Attacco che potrebbe essere nei progetti del Cremlino, come emerso da diverse indiscrezioni, secondo le quali Putin avrebbe dato ai suoi militari l’ordine di studiare una campagna nel Caucaso per cercare di far dimenticare i fallimenti sul fronte ucraino. Non è un caso che volontari dal Caucaso combattano in Ucraina in un battaglione georgiano, e che Volodymyr Zelensky si sia schierato a fianco della protesta georgiana. La solidarietà tra le ex colonie sovietiche sta creando un nuovo fronte ai confini della Russia, nonostante le generazioni che animano la protesta non parlino quasi più russo (e non è casuale nemmeno il fatto che i media ucraini, e i russi dell’opposizione, hanno iniziato a chiamare la Georgia con il suo nome autoctono, Sakartvelo, e non con quello coloniale utilizzato in Russia e in Occidente). Il viceministro degli Esteri russo Aleksandr Grushko parla di «creazione di nuovi focolai di tensione» a opera degli USA, ma sembra semmai una mobilitazione di Paesi che vogliono uscire dal limbo russo, diventato troppo pericoloso. La differenza sta nella presenza al Governo di élite più moderne, come in Moldavia – dove la presidente Maia Sandu sta accelerando l’integrazione europea – oppure di quelle più spaventate dall’arrivo della democrazia di stampo europeo.
A Chisinau la tensione in piazza è elevata come a Tbilisi, con la differenza che a protestare sono partiti filorussi, in particolare quello legato all’oligarca Ihor Shor. I manifestanti chiedono risarcimenti per le bollette del gas dell’inverno e insistono per un’alleanza più stretta con Mosca, invece di «appoggiare la guerra in Ucraina». I servizi di sicurezza moldavi intanto continuano ad arrestare presunti infiltrati russi, tra cui agenti della compagnia di mercenari Wagner, e il primo ministro Dorin Recean ha parlato dell’esistenza di un piano sovversivo dei russi per organizzare una rivolta che dovrebbe insediare a Chisinau un Governo vicino a Mosca. Potrebbe essere lo stesso piano che Zelensky ha passato a Sandu qualche settimana fa. Anche la Moldavia ha un territorio ribelle sotto controllo russo, la Transnistria, dove dal 1992 è presente un «contingente di pace» di Mosca di circa 1500 uomini. Troppo pochi per un’invasione e non avendo confini in comune con la Russia la Moldavia teme più un’infiltrazione sovversiva, magari con successiva presa dell’aeroporto di Chisinau – operazione per la quale basterebbero poche decine di mercenari Wagner – per poi organizzare un ponte aereo per i rinforzi russi.