In Francia vince il disinteresse

I partiti di Emmanuel Macron e Marine Le Pen escono con le ossa rotte dalle elezioni regionali. Mentre le formazioni tradizionali riguadagnano terreno ma il dato che più sorprende è il forte astensionismo
/ 05.07.2021
di Marzio Rigonalli

Negli ultimi quattro anni il sistema politico francese si è concentrato principalmente su due nomi: Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Il presidente in carica e la presidente del Rassemblement national sono stati i due finalisti dell’ultima elezione presidenziale nel 2017 e la maggior parte dei sondaggi prevedevano il ripetersi del duello anche all’elezione dell’anno prossimo, programmata nel corso del mese di aprile. Alle altre forze politiche e ai loro leader venivano riservati ruoli di secondo piano, se non addirittura marginali. In particolare, ai vecchi partiti dominanti, quelli del centro destra e della sinistra, come i gollisti e i socialisti, veniva annunciata la loro progressiva scomparsa. Eppure, come è noto, sono partiti che sono sempre stati centrali nell’elezione dei presidenti della Quinta Repubblica, fino all’arrivo di Macron. L’elezione delle autorità delle Regioni e dei Dipartimenti territoriali, avvenute nelle due ultime settimane, ha costituito una novità. Ha portato una boccata d’ossigeno in un sistema che appariva chiuso, quasi ingessato, e adesso mette sul tavolo ipotesi che potrebbero far sorgere dubbi sul tanto annunciato duello.

Due sono stati i principali vincitori di queste elezioni regionali e altrettanti sono stati i principali sconfitti. Tra i vincenti spiccano i Repubblicani (Les Républicains, Lr), che sono riusciti a conservare le sette regioni su tredici che detenevano prima dello scrutinio, e i socialisti che sono rimasti alla guida di cinque regioni. In altre parole i due principali vecchi partiti hanno dato un segnale forte a tutti coloro che annunciavano il loro funerale. Tra i perdenti Marine Le Pen e Emmanuel Macron si dividono il primo posto. Il Rassemblement national non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che si era posto, in particolare quello di conquistare almeno una regione. Ha perso terreno un po’ dappertutto e l’ambizione di Marine Le Pen di trasformare quest’elezione in un trampolino verso il futuro appuntamento presidenziale, è stata vanificata.

La République en marche del presidente Macron ha dovuto accontentarsi delle briciole, come era già successo alle elezioni comunali del 2020. Non è riuscita a concludere alleanze elettorali regionali e, dati gli scarsi risultati del primo turno, inferiori al 10%, non ha potuto presentarsi al secondo turno in quasi tutte le regioni. Il partito del presidente ha una sola attenuante: quella di essere un movimento che ha soltanto quattro anni e che finora ha poche radici nel territorio. In che misura i risultati di queste elezioni regionali potranno influire sull’elezione presidenziale della prossima primavera? Il duello Macron-Le Pen potrà essere annullato dalla presenza di uno o due altri candidati? Il ritorno in primo piano di un vecchio partito è un’ipotesi seria che merita di essere presa in considerazione? Sono le domande che si pongono un po’ tutti gli osservatori e alle quali non è facile dare una risposta. Due almeno sono i fatti che meritano di essere considerati prima di abbozzare possibili proiezioni. Il primo è la forte astensione che ha caratterizzato questo appuntamento elettorale. Due francesi su tre non hanno votato, né al primo né al secondo turno, nonostante le numerose sollecitazioni degli Stati maggiori dei partiti tra i due turni. È un risultato negativo dalle proporzioni inconsuete per la Francia, che mostra un importante fossato tra gli elettori e i loro rappresentanti, in cui molti hanno visto un sisma politico. Le ragioni sono diverse, legate in parte al difficile momento vissuto con la pandemia e in parte attribuibili a un preoccupante disinteresse per la politica e per l’offerta politica che i partiti riescono a presentare. L’alto numero dei non votanti lascia incerta la previsione sul loro futuro ritorno alle urne e su come voteranno in una prossima occasione.

Il secondo fatto importante riguarda la natura della consultazione. Le Regioni hanno poteri limitati, ben inferiori a quelli detenuti per esempio dalle Regioni tedesche o da quelle italiane. Possono agire sullo sviluppo economico, sui trasporti, sui licei e sullo sviluppo del territorio. Pur toccando problemi della realtà quotidiana degli elettori, lo scrutinio regionale non riesce a suscitare neanche una parte dell’interesse e della partecipazione, ricca anche di emozioni, che possono caratterizzare l’elezione presidenziale. La scelta del presidente è molto personalizzata e determinante per cinque anni. Risulta quindi difficile tracciare legami tra un’elezione regionale e quella che viene definita la regina delle elezioni della Quinta Repubblica.
I risultati delle elezioni regionali hanno reso il quadro politico più complicato e intralceranno il tentativo di Emmanuel Macron e di Marine Le Pen di attirare gli elettori della destra repubblicana. Macron tenta di convincere gli elettori liberali, centristi ed europeisti. Le Pen mira a sedurre gli elettori più radicali e anti-europeisti.

È ormai probabile che almeno due altri candidati riusciranno a svolgere un ruolo importante al primo turno di fronte al presidente uscente e alla leader del Rassemblement national. Il primo candidato sorgerà dai Repubblicani. Tre sono i pretendenti e sono tutti presidenti di regione. Sono stati rieletti una settimana fa e hanno ottenuto un risultato che li rafforza: Xavier Bertrand, presidente dell’Alta Francia; Valérie Pécresse, presidente dell’Île-de-France e Laurent Wauquiez, presidente dell’Alvernia-Rodano-Alpi. La battaglia tra i tre potenziali candidati si annuncia accesa e rischia di lasciare ferite all’interno del partito. La scelta definitiva avverrà probabilmente nel corso del mese di novembre. Il secondo candidato potrebbe arrivare dalla sinistra, se le forze che formano questo schieramento riusciranno a mettersi d’accordo e a designare un loro unico rappresentante. Trattasi dei socialisti, che hanno superato bene lo scoglio delle regionali, dei verdi (Europe ecologie les verts), che hanno perso un po’ di slancio, dopo i lusinghieri successi ottenuti alle elezioni europee nel 2019 e alle elezioni comunali del 2020, e della France insoumise, il movimento creato nel 2016 per sostenere la candidatura di Jean-Luc Mélanchon nell’elezione presidenziale del 2017. Mélanchon si è già proclamato candidato alcuni mesi or sono.

Mancano ormai un po’ meno di dieci mesi all’attesa elezione presidenziale. Adesso molto dipenderà da quello che succederà nei prossimi mesi. In primo luogo dalla capacità di Macron di gestire la fine della pandemia, di favorire il rilancio dell’economia, di ridurre le disuguaglianze economiche e sociali, nonché di proporre soluzioni condivisibili in settori come il clima e le riforme interne. Anche le opposizioni, ovviamente, hanno un ruolo da svolgere. Chi riuscirà a profilarsi, a convincere, e quindi a rappresentare un’alternativa, potrà dare molto fastidio al presidente uscente e rendere incerto l’esito finale.