La Francia vivrà un inverno elettorale molto animato, anche con possibili scene di violenza verbale e fisica. Mancano quattro mesi alle elezioni presidenziali che si terranno in aprile, il primo turno il 10 e il secondo il 24, e praticamente tutti i potenziali candidati si sono dichiarati. Manca soltanto il presidente uscente, Emmanuel Macron, che presenterà la candidatura per un secondo mandato in gennaio o all’inizio di febbraio. Da una prima valutazione della campagna ormai lanciata emergono due forti tendenze. La prima è che il clima politico si è fatto violento, con attacchi verbali spesso voluti per colpire la persona e non il programma che viene difeso, con scontri e con risse.
La seconda è che l’asse politico francese si sta spostando a destra. Lo dimostrano i sondaggi che danno all’estrema destra più del 30 per cento delle preferenze. E lo dimostrano anche i mass media che riservano ampio spazio ai candidati di quell’area politica e ai loro temi preferiti, come la lotta contro l’immigrazione, la difesa dell’identità francese e della sicurezza interna. Temi che così appaiono dominanti. L’estrema destra e la destra sono rappresentate da tre candidati. La principale novità risiede nella candidatura di Eric Zemmour. Ex editorialista del quotidiano «Le Figaro» e di alcune televisioni private di destra, il polemista conduce una campagna aggressiva. Cerca di ispirarsi a quanto realizzò Macron nel 2017 e, soprattutto, tenta di emulare l’ex presidente americano Donald Trump.
Afferma che la Francia è minacciata nella sua esistenza dall’invasione dei musulmani e che lui è la sola persona capace di salvarla, di impedire che sorga una guerra civile e che avvenga le grand remplacement, la sostituzione dei francesi con gli immigrati. Dà fuoco all’odio che serpeggia nella società francese e rafforza le divisioni sociali. È già stato condannato due volte per razzismo. Di recente ha creato un nuovo partito denominato Reconquête, riconquista. Vuole uscire dalla Nato e liberarsi dalla burocrazia europea di Bruxelles. Deve però fare i conti con due importanti punti deboli: la mancanza di un suo stato maggiore composto di persone esperte e conosciute, e un programma dominato dall’immigrazione e scarno sulle altre tematiche, come l’economia, i salari e la gestione della pandemia. I sondaggi lo danno intorno al 15%, non lontano dalla leader del Rassemblement national.
Marine Le Pen rappresenta pure l’estrema destra. È una personalità politica conosciuta in Francia, che nel 2017 giunse allo scontro finale contro Macron. Da allora cercò d’interpretare una strategia politica rispettosa dei valori repubblicani e suscettibile di fugare possibili timori sulla permanenza della Francia in Europa e sull’accettazione dell’euro. Una strategia pagante, almeno in parte, perché sempre più numerosi sono gli elettori degli altri partiti che sono pronti a votare per lei. Una buona parte del suo elettorato è rappresentato dagli operai e dagli impiegati. Anche lei centra il suo programma sull’immigrazione e sulla necessità di bloccarla, nonché sulla sicurezza e la criminalità degli stranieri. È però più completa di Zemmour nell’esporre soluzioni agli altri problemi che i francesi affrontano ogni giorno. Secondo i sondaggi, beneficia del 16% delle preferenze e spera di accedere al secondo turno per sfidare nuovamente Macron. La sfida tra i due rappresentanti dell’estrema destra appare oggi incerta per quanto concerne il risultato e rappresenta una novità nella storia politica francese.
La destra repubblicana è rappresentata da Valérie Pécresse che ha vinto la selezione interna del suo partito, Les répubblicains (Lr). Presidente della regione Île-de-France dal 2015, è già stata ministra sotto la presidenza di Sarkozy. Il suo programma riprende le grandi linee del programma che il candidato François Fillon difese nel 2017 e sulle tematiche immigrazione e sicurezza si è avvicinata molto alle posizioni dell’estrema destra. Può contare su una forte presenza del suo partito a livello locale e regionale, uscito vittorioso in primavera alle ultime elezioni regionali, ed è chiamata a realizzare l’unione della sua formazione, dopo le sconfitte subite alle presidenziali del 2012, del 2017 e dopo numerose lacerazioni interne. I più recenti sondaggi la danno in chiara rimonta e suscettibile di battere i due candidati dell’estrema destra. Può diventare una minaccia per Macron al secondo turno.
La sinistra si muove in ordine sparso e lascia apparire profonde divisioni. Presenta una dozzina di candidati, ma nessuno di loro riesce ad avere un ruolo centrale. Anne Hidalgo, socialista e sindaca di Parigi, Yannick Jadot, rappresentante dei Verdi, e Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise, per citare solo i nomi più diffusi, non riescono a raccogliere simpatie al di fuori delle loro singole formazioni. Le loro percentuali di preferenze sono sotto al 10%. Non sarebbe quindi una sorpresa se, al primo turno, il primo tra questi candidati non riuscisse ad andare oltre il quinto posto. Quando vinse, due volte con Mitterrand e una volta con Hollande, la sinistra si presentò unita. In questo scenario frazionato e con una forte presenza dell’estrema destra, il presidente uscente rimane in testa alle preferenze dei francesi. Riuscirà a ottenere la rielezione? Il suo progetto di unire il centro destra con il centro sinistra potrà continuare? Molto dipenderà da quello che succederà nei prossimi mesi e dal bilancio che Macron potrà vantare. Un bilancio centrato sulla gestione della pandemia, sui risultati economici, sul tenore di vita, sulla sicurezza e sulla speranza in un futuro migliore.
In Francia il clima politico si surriscalda
Presidenziali: la sfida a destra, la sinistra divisa ed Emmanuel Macron
/ 13.12.2021
di Marzio Rigonalli
di Marzio Rigonalli