Tutto si può dire dell’America, tranne che non sia grande. E tutto si può dire dell’America, tranne che non creda nella libertà. Proprio per questo, proprio perché è molto grande e molto libera, ogni tanto all’America capita di darsi torto da sola, di bisticciare con sé stessa e di cadere in gigantesche contraddizioni. E la parola gigantesche non è casuale. Perché una di queste grandi contraddizioni americane, forse la più tangibile, occupa una superficie di 28 metri per 58, lungo la parete di una montagna. È il bassorilievo più grande del mondo, scolpito sulla Stone mountain, all’interno dello Stone mountain park. Si tratta di una delle attrazioni più popolari e note dello Stato della Georgia (ogni anno accoglie quasi 4 milioni di visitatori). La scultura rappresenta il profilo di tre dei più importanti leader confederati della Guerra di secessione (combattuta dal 1861 al 1865 fra gli Stati uniti d’America e gli Stati confederati, i quali non intendevano rinunciare allo schiavismo): il generale Robert E. Lee, il presidente confederato Jefferson Davis e il generale Thomas J. Jackson. La storia dello Stone mountain park e del suo enorme bassorilievo che inneggia alla secessione degli Stati del sud è tutta una successione di contraddizioni. E, proprio per questo, è profondamente americana.
La prima contraddizione che si incontra è il fatto che la zona è un parco naturale, con alberi secolari e sentieri di montagna. Ma, in realtà, quasi nessuno lo visita per vedere montagne o alberi. Tutti puntano al grande bassorilievo dei confederati e all’aura di celebrazione della Secessione che lo circonda, con tanto di bandiere confederate, memorabilia, cimeli dei tempi della schiavitù e della guerra. E, a questo punto, constatato il fatto che lo Stone mountain park ha poco a che fare con rocce e piante ma molto con la guerra civile, arriva la seconda contraddizione: l’esistenza stessa del parco. Nella storia, lo sappiamo, difficilmente i vincitori lasciano che gli sconfitti raccontino gli avvenimenti come pare a loro. E, d’altra parte, è piuttosto raro che chi ha perso una guerra abbia voglia di parlarne. Eppure in Georgia, come in quasi tutti gli Stati del sud degli Usa, sembra che nessuno chieda di meglio che parlare di quella guerra lontana, fratricida, per giunta persa, fatta per difendere la schiavitù, una pratica talmente immonda da essere bandita pochi anni dopo in tutto il mondo.
La terza contraddizione legata al parco, poi, ha a che fare con il suo nuovo direttore: Abraham Mosley, un rispettato e conosciuto reverendo afroamericano. Dallo scorso aprile, infatti, c’è lui alla guida del consiglio di amministrazione che gestisce il parco dedicato all’epopea degli schiavisti confederati e nel cui recinto, è bene ricordarlo, è stato fondato il Ku klux klan (organizzazione segreta e violenta che propugna la superiorità della supposta razza bianca). La quarta contraddizione di questa storia piena di spigoli sta nel fatto che la nomina del reverendo Mosley è stata promossa da Brian Kemp, uno dei governatori di destra tra i più disposti a flirtare con il suprematismo bianco di tutti gli Stati uniti.
Da questo punto in poi le contraddizioni iniziano ad appianarsi e spiegarsi l’una con l’altra. Perché quel che appare evidente è che il reverendo Mosley, suo malgrado e nonostante non ci sia niente di più distante da lui del suprematismo bianco, diventando direttore del parco, di fatto, ne è diventato la migliore garanzia di sopravvivenza. Al momento della sua nomina Mosley era stato molto chiaro circa il fatto che voleva che quel posto diventasse un luogo di ricostruzione storica e di conoscenza e smettesse di essere un luogo di celebrazione della schiavitù e del razzismo. «Quando penso a Stone mountain – dichiarò nelle sue prime settimane di incarico – guardo al passaggio dalla guerra civile ai diritti civili. A Stone mountain si vedono molti simboli confederati ma la gente non conosce l’intera storia: la mia missione è fare conoscere loro tutta la faccenda». Detto fatto, Mosley ha avviato non pochi cambiamenti all’interno del parco: ha istituito mostre didattiche, percorsi storici, spostato in una zona meno visibile le bandiere confederate e ha cambiato il logo del parco, sostituendo il profilo degli eroi confederati con quello della grande roccia su cui è inciso.
Eppure, per quanto paradossale possa sembrare, spostando le bandiere Mosley ha evitato che venissero tolte; togliendo il profilo dei generali confederati dal logo del parco ha messo a tacere le richieste di chi chiedeva e chiede che il monumento venga distrutto, come decine di altre statue e monumenti sudisti. E così, in questo gioco di contraddizioni che si sostengono e smentiscono l’una con l’altra, il reverendo Mosley, un uomo di colore, si è ritrovato a fare scudo, con il suo corpo e la sua rispettabilità, al più grande monumento al suprematismo bianco del mondo. Perché l’America è un Pae-se grande, un Paese libero, che ogni tanto si pesta i piedi da solo.
In difesa del monumento agli schiavisti
Lo Stone mountain park in Georgia, dedicato all’epopea degli Stati confederati d'America, ha un nuovo direttore: un reverendo di colore che intende trasformare quel luogo di celebrazione del razzismo in uno spazio di conoscenza
/ 27.09.2021
di Luciana Grosso
di Luciana Grosso