Torna la destra al governo del Cile. L’imprenditore ed ex presidente Sebastian Piñera, 68 anni, già stato a capo del governo dal 2010 al 2014, ha vinto il 17 dicembre lo scontro al ballottaggio per le presidenziali tra la destra classica e una sinistra ampia che va dal centrosinistra ai radicali.
A capo di una coalizione conservatrice. Chile vamos, uscita dal primo turno con il 36% dei voti, Piñera ha battuto con oltre il 54% il sociologo Alejandro Guillier, fermo al 43%, candidato della alleanza di sinistra Nueva Mayoria ed erede del modello di progressismo promosso dalla presidente uscente Michelle Bachelet. Guillier aveva preso al primo turno il 22,6% ed aveva rischiato di essere scavalcato dalla giornalista Beatriz Sanchez, candidata del Frente Amplio, un raggruppamento della sinistra radical, dato dai sondaggi al 14% e premiato nelle urne al primo turno con un grande exploit: il 20,6%.
La novità delle elezioni cilene è stata proprio la Sanchez, che ha sfiorato di poco il ballottaggio, e che, a sorpresa, ha pubblicamente dichiarato di votare Guillier. Ma l’appoggio prezioso della Sanchez non è comunque bastato all’erede della Bachelet a vincere.
Il Frente Amplio è una coalizione di sinistra con solo un anno di vita, nata come alternativa radicale al centrosinistra (democrazia cristiana unita ai socialisti) di cui si compone il bipartitismo classico cileno. Il Frente unisce i partiti Revolución Democrática e Partito Umanista, insieme a una galassia di vari movimenti politici, compresi i cattolici militanti di sinistra, che in gran parte raccolgono l’eredità del movimento studentesco cileno del 2011. Il Frente Amplio è il tentativo di risposta del mercato politico al malessere di parte dell’elettorato di sinistra che non si riconosce nella via moderata della Nueva Mayoría e si è rifugiato da anni nell’astensione.
Piñera ha vinto riuscendo proprio nell’operazione più difficile: riuscire a mobilitare parte dell’astensionismo di destra. Si calcola che quasi 900’000 voti andati a Piñera vengano da elettori di destra che non votavano più da anni.
L’imprenditore, uno degli uomini più ricchi dell’America Latina (tra i suoi tanti affari ci sono le linee aeree) è stato abile nel serrare le fila di tutto ciò che si muove in Cile alla sua destra. Nell’operazione è stata compresa anche la cura dei rapporti con il politicamente assai poco presentabile José Antonio Kast, candidato di una coalizione indipendente nostalgica del regime militare di Pinochet. Kast, il quale ha affermato tra le altre cose che durante la dittatura si fece molto a favore dei diritti umani, ha visto tra i finanziatori della sua campagna elettorale vari personaggi legati al vecchio regime, tra cui, sebbene solo con una cifra simbolica, un ex-membro dell Dina, la polizia segreta dell’epoca della dittatura, responsabile di innumerevoli casi di tortura, sequestri e omicidi.
Kant ha preso l’8% al primo turno, segno evidente che in Cile ha un seguito chi dice, come Kast ha detto in campagna elettorale: «Se Pinochet fosse ancora vivo mi voterebbe». È quella che il Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa definisce destra «cavernicola», i cui slogan inquietanti hanno favorito Piñera che, pur ultraliberista, si è ritagliato un ruolo di moderato, apprezzato sia a destra sia a sinistra.
Il nuovo presidente non avrà comunque la maggioranza al Parlamento: le elezioni legislative, svoltesi durante il primo turno e per la prima volta con un nuovo sistema elettorale, hanno portato a una situazione piuttosto frammentata con il Frente Amplio presente con una ventina di deputati e un senatore a rappresentare la principale forza di sinistra che ha sostanzialmente preso il posto della coalizione a guida Bachelet, dato straordinariamente insolito per il Cile, dove il centrosinistra classico è stato il protagonista degli anni post dittatura. Chile Vamos, il raggruppamento di Piñera, non potrà dunque contare sulla maggioranza né alla Camera né al Senato.
Piñera propone un classico programma di centrodestra, che include la sempreverde promessa di ridurre le tasse, creare 600 mila posti di lavoro e ripristinare lo splendore del cosiddetto «modello cileno»: un messaggio che ha funzionato in un momento in cui la classe media si sentE socialmente più fragile ed esposta alle sorprese della crisi economica continentale.
La vittoria di Piñera – che nel 2010 divenne il primo presidente non di sinistra dai tempi del ritorno della democrazia nel Paese – segna nel continente la fine del lungo ciclo delle vittorie di coalizioni di centrosinistra e radicali. È la normalizzazione della politica continentale, così quanto meno interpretano (festeggiando) la vittoria di Piñera i partiti di destra dal Venezuela all’Argentina. Il primo a complimentarsi con Piñera è stato infatti il presidente argentino Mauricio Macri, anche lui imprenditore ed anche lui simbolo di un ritorno dei conservatori al governo a Buenos Aires.