Della guerra russo-ucraina una conseguenza fondamentale è il riarmo tedesco. Annunciato domenica 27 febbraio davanti al Bundestag dal cancelliere Olaf Scholz, senza aver informato quasi nessuno prima. Una svolta rivoluzionaria, considerando lo stigma di paese sconfitto e di patria del nazismo che per decenni ha pesato sulla Repubblica federale. E di proporzioni enormi: 102 miliardi di fondo speciale il primo anno, di cui 68 per progetti nazionali e 34 per iniziative multinazionali, tipo eurodroni. Fondo da inscrivere nella Costituzione. Non operazione straordinaria, una tantum, ma progetto di lunga lena. Tanto che Scholz ha precisato di considerare il 2% del Pil come contributo minimo alle spese per la Difesa negli anni a venire.
La scelta del cancelliere è stata clamorosa e soprattutto rapidissima rispetto alla causa scatenante. Appena tre giorni dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il cancelliere era in grado di presentare un progetto abbastanza strutturato al suo parlamento. Ciò che autorizza a pensare si tratti di un piano di emergenza tenuto finora nei cassetti del Ministero della difesa, da lanciare in caso di necessità. E naturalmente induce a considerare che del piano fossero informati, magari solo al livello di intelligence, anche l’America in quanto potenza «protettrice», che mantiene sul territorio tedesco il massimo schieramento di truppe in Europa e le principali basi, tra cui Ramstein.
Vero che la Bundeswehr in ricostruzione parte da molto in basso. L’esercito, come le altre forze armate, è in condizioni pietose. Lo ha ricordato il suo stesso capo, generale Alfons Mais, la mattina dell’attacco russo: «Nel quarantunesimo anno del mio servizio in pace, non avrei mai pensato di sperimentare una nuova guerra. E la Bundeswehr, l’esercito che mi è concesso comandare, è più o meno a pezzi». Ci vorranno anni, almeno una decina, per portare la Germania al grado delle maggiori potenze militari. Quanto a risorse, con l’annuncio del 27 febbraio la Germania si colloca sul podio mondiale, dietro solo a Stati Uniti e Cina, ben davanti a Russia, Inghilterra e Francia.
Tre problemi sulla via del ritorno di Berlino al rango di soggetto militare di peso. Primo, pratico. Una cosa è annunciare, altra spendere bene. Già è partita la corsa all’oro tra le industrie della difesa tedesche, che offrono armi in quantità sulla base di progetti spesso obsoleti. Il rischio è che per fare in fretta si perda di vista la qualità. La Germania remilitarizzata si troverebbe altrimenti fra un decennio con sistemi d’arma antiquati. Inoltre le burocrazie statali non sono il massimo della garanzia quanto ad allocazione delle risorse. Infine una quota di quei 102 miliardi andrà probabilmente alla cooperazione internazionale e ad altri capitoli di spesa più o meno duali. Non solo Panzerdivisionen.
Secondo, culturale. I tedeschi sono un popolo specialmente amante della pace. Con una differenza fra est e ovest. Nella ex Ddr prevale un fondo neonazionalista, con toni anche militaristi, tendenzialmente russofilo, capace di tenere insieme gruppi socialmente e ideologicamente diversi (dalla AfD a parte della Linke). Mentre la Bundesrepublik originaria è modello di società post-storica, economicistica, con tinte cosmopolite. Quel che manca quasi completamente è la cultura strategica. E una legittimazione popolare dello strumento militare. Ciò che limita molto l’impiego delle forze armate.
Terzo, geopolitico. Gli alleati non sono propriamente entusiasti del riarmo tedesco. Da Washington ci si complimenta, ma allo stesso tempo ci si interroga su che cosa voglia fare Berlino con un super esercito, considerando il riflesso neutralista che distingue la traiettoria geopolitica della Germania occidentale dal 1949 a oggi. I meno contenti sono ovviamente i francesi, per i quali questo rischia di svelarsi l’ultimo decennio del loro primato continentale in fatto di armamenti. Certo, Parigi ha la bomba atomica. Ma da tempo anche in Germania si discute di se e come dotarsene, magari in improbabile partnership con la Francia.
Alla decisione tedesca faranno presto eco altri paesi europei e non solo, considerando il clima di guerra vigente dal 24 febbraio. Data che Scholz ha infatti battezzato Zeitenwende, svolta epocale. Già ora polacchi e nordici stanno investendo molti denari nella difesa. Di sicuro la mossa di Scholz contribuirà a spostare il baricentro della Nato verso est. Perché i tedeschi si preparano a uno scontro con la Russia, che sperano di evitare, ma che nessuno può escludere. A Berlino si discute già di una sfera di responsabilità tedesca in ambito Nato nei paesi intermedi, o presunti tali, dal Baltico al Mar Nero. Con occhio speciale ai Balcani, alla Moldova e naturalmente all’Ucraina. Si è parlato molto in questi mesi di difesa europea. In attesa che si materializzi – e l’attesa si annuncia eterna – avremo intanto una vera difesa tedesca. Qualcosa su cui riflettere. Anche nella Svizzera ormai costretta a togliersi la maschera della neutralità.