Da sempre la Germania suscita sentimenti contrastanti. Da una parte chi la vede come una nazione che non ha mai sopito il suo presunto desiderio di voler dominare e che tenta sempre di imporre la sua volontà. Dall’altra chi invece guarda ai tedeschi come un popolo risoluto, che pur essendo uscito da due guerre mondiali perse, da una divisione interna devastante dal punto di vista sociale, è riuscito a risollevarsi e creare la potenza economica che tutti conosciamo.Potenza che anche i numeri confermano. Il prodotto interno lordo ammonta a circa 4000 miliardi di franchi, il che ne fa la quarta economia mondiale. A titolo di paragone il PIL svizzero è di 705 miliardi.La disoccupazione, a fine settembre, era al 3,1%, con un’inflazione all’1,1%. Una situazione invidiabile.
L’indebitamento pubblico è al 60% e da 8 anni a questa parte è in continua discesa. Ultimo elemento, ma non meno importante, i titoli di Stato tedeschi sono il punto di riferimento principale per il mercato obbligazionario in Euro, in quanto ritenuti i più sicuri.Queste sono solo alcune delle cifre (e fatti) che contraddistinguono l’economia tedesca, ma che ci permettono di fare una considerazione. Parafrasando un detto che solitamente si riferisce agli Stati Uniti, «Quando la Germania starnutisce, il resto d’Europa prende il raffreddore e la Svizzera qualche linea di febbre».
Sì, perché la Germania è in assoluto il maggior partner commerciale elvetico. I dati del 2018 mostrano che le esportazioni verso Berlino ammontavano a 43 miliardi di franchi, ovvero il 18% del totale. Il secondo mercato per importanza è stato quello statunitense, con 37 miliardi di franchi, mentre il resto del mondo è ampiamente staccato in questa classifica. E il discorso non cambia se parliamo delle importazioni. Anzi in questo caso il peso tedesco è ancora più marcato. Con un controvalore di 54 miliardi di franchi le merci proveniente dal nord del Reno sono state il 26% del totale.Per il 2019 la sostanza non cambia. Alla fine del terzo trimestre le esportazioni sono arrivate a 33 miliardi, il 19% del totale, mentre le importazioni al 25%.Ora forse si capisce meglio perché in questi ultimi mesi a qualche azienda elvetica siano venute le linee di febbre citate prima. Aziende soprattutto legate ai settori della meccanica, l’elettrotecnica e metallurgica.
Infatti, la Germania nel secondo trimestre del 2019 ha visto una crescita negativa. Poca roba, –0,1%, ma tanto è bastato a creare apprensione. Fortunatamente il terzo trimestre ha scongiurato il pericolo di una recessione tecnica, con il PIL che è tornato a crescere. Anche qui di poco, lo 0,1%. Quello che conta è che il momento tedesco non è dei migliori e la cronaca recente ci racconta di aziende, anche ticinesi come la Mikron di Agno, costrette e ridurre il personale in quanto l’industria automobilistica tedesca non è più dinamica come prima. Stessa sorte alla maggior acciaieria elvetica, la Schmolz+Bickenbach di Lucerna, che naviga in acque molto tempestose per lo stesso motivo e rischia il fallimento.L’importanza della Germania non è comunque limitata alla Svizzera, e ci mancherebbe. E il ruolo, predominante, porta con sé inevitabili critiche, come spesso accade ai più forti.
La prima critica dice che la Germania è il paese che ha maggiormente tratto beneficio dall’entrata in vigore dell’Euro, soprattutto per quel che concerne le esportazioni. È vero? Sicuramente le cifre mostrano che dall’entrata in vigore della moneta unica la bilancia commerciale tedesca ha visto un’impennata, mentre altri hanno marciato sul posto. Il motivo è semplice: prima dell’Euro molti paesi, per favorire le esportazioni, svalutavano la loro moneta, rendendo i loro prodotti meno cari. Con l’Euro questo non è più possibile farlo, e se la Germania ha tratto dei vantaggi, significa che probabilmente i paesi concorrenti non sono stati in grado di trovare degli elementi di competitività tali da compensare il fatto che non possono più contare solo sulle manovre monetarie.
La seconda grandi critica è quella secondo la quale la Germania non spende e non investe e in questo modo non aiuta l’economia europea, preoccupandosi invece di esportare i suoi prodotti, cosa che le crea un surplus commerciale, negli ultimi anni, tra il 7 e l’8% del PIL. Una proporzione che supera i limiti decisi dall’Unione Europea, che vorrebbe il saldo della bilancia commerciale tra il –4% e il +6%. La Germania è fuorilegge, come sostengono alcuni (più per ottenere un consenso politico che altro) e quindi si dovrebbe aprire una procedura di infrazione? No, perché i paletti indicati dall’UE sono delle «raccomandazioni» e non delle regole da rispettare.
Questo significa che i tedeschi, pur potendo permetterselo, non spendono, quindi non vi è domanda di prodotti proveniente dall’estero, cosa che irrita diversi paesi, soprattutto del Sud Europa, che non se la passano troppo bene.
Ma i malumori su questa sorta di «austerità» arrivano anche dall’interno, ad esempio i socialdemocratici chiedono più investimenti. E ad essere onesti, le critiche su questo modo di agire non sono del tutto ingiustificate. In fondo, se non spende chi può, chi lo dovrebbe fare? E in un momento nel quale il paese non viaggia a gonfie vele, non sarebbe un male. Per il bene di tutti.