La Riforma III dell’imposizione delle imprese, in votazione il 12 febbraio prossimo, mira a sopprimere la tassazione ridotta delle società con statuto speciale, non più compatibile con i nuovi standard internazionali. Per evitare un forte aumento dell’imposizione di queste società, la riforma introduce nuove misure di sgravio fiscale, soprattutto per scongiurare delocalizzazioni che comporterebbero una perdita di posti di lavoro e un calo del gettito per Confederazione, Cantoni e Comuni. Tuttavia, queste nuove misure di sgravio preoccupano sinistra, Verdi e sindacati, che hanno lanciato con successo il referendum, temendo perdite fiscali miliardarie, a scapito di enti pubblici e cittadini, in particolare del ceto medio.
Su questa materia, per molti cittadini sicuramente quasi incomprensibile, fautori e contrari si battono a suon di cifre, di studi congiunturali e di scenari anche catastrofici. In un’intervista al domenicale «Schweiz am Sonntag», il ministro delle finanze Ueli Maurer ammonisce: «Se vince il no, lancio immediatamente un programma nazionale di risparmio per miliardi di franchi nei prossimi anni». «Se rifiuteremo la riforma – aggiunge – perderemo impieghi e avremo zero possibilità di crearne di nuovi». Maurer sottolinea invece che «un sì apporterà alla Svizzera una quantità incredibile di sicurezza finanziaria».
Le società con statuto speciale offrono circa 150’000 posti di lavoro e generano quasi il 50% delle imposte versate dalle persone giuridiche (in prevalenza società anonime) alla Confederazione e circa il 20% di quelle versate a Cantoni e Comuni. Orbene, l’imposizione ridotta cui sono sottoposte è fonte di crescenti pressioni internazionali sulla Svizzera. Questo privilegio fiscale per le aziende non è più tollerato. Bruxelles ha addirittura minacciato di collocare Berna su una lista nera. Da qui, la necessità della riforma.
Il ministro delle finanze ricorda che da alcuni anni la Svizzera soffre di una mancanza di creazione di nuove imprese, dovuta all’attuale insicurezza giuridica nei confronti dell’Unione europea. Una bocciatura popolare della Riforma III, darebbe – secondo Maurer – un segnale «assolutamente devastante». Consiglio federale e maggioranza parlamentare sono consapevoli che la soppressione dell’imposizione ridotta non possa essere effettuata senza nuovi «incentivi» fiscali. Per mantenere l’attrattiva del Paese, intendono dunque introdurre rapidamente nuove misure in uso a livello internazionale.
La riforma mira a preservare la competitività della piazza economica elvetica. Dell’abolizione delle agevolazioni fiscali sono interessate 24’000 aziende (società holding e di gestione), presenti in Svizzera, ma attive a livello multinazionale. Per evitare, a causa dell’abolizione di questo privilegio fiscale, che si trasferiscano all’estero, sono previste diverse soluzioni, tra cui i cosiddetti «patent box», strumenti che consentono un’imposizione privilegiata degli utili da brevetti e diritti analoghi (sgravio del 90% al massimo). Per la ricerca e lo sviluppo è prevista una deduzione maggiore rispetto alle spese effettivamente sostenute (150% al massimo). Una mossa del tutto esagerata, secondo gli oppositori.
Tra le varie misure di «compensazione» si parla pure di imposta sull’utile con deduzione degli interessi sul capitale proprio, nonché di limitazione dello sgravio. E qui si entra decisamente in una materia di tecnica fiscale, ai più incomprensibile, ciò che ha portato i fautori del referendum a parlare di «espedienti fiscali poco trasparenti», che pochi specialisti riescono a capire. Per il Comitato contrario alla riforma, in caso d’accettazione il 12 febbraio, la stessa concederebbe solo nuovi privilegi fiscali alle grandi aziende e ai principali azionisti, provocando ogni anno perdite fiscali per 3 miliardi di franchi, con soppressione di prestazioni per scuole, anziani e sicurezza. A risentirne sarebbero gli enti pubblici, che avrebbero a disposizione meno soldi, e i contribuenti che si vedrebbero aumentare le imposte.
La prima grande riforma della fiscalità delle imprese risale al 1997, quando venne diminuita l’imposizione per le società holding. Nel 2008, la seconda riforma, accolta dal 50,5% dei votanti, ridusse le tasse per gli azionisti. Sollevò però aspre critiche: mentre il Consiglio federale aveva annunciato minori entrate dell’ordine di 84 milioni di franchi, il Partito socialista (PS) aveva invece rivelato che le stesse ammontavano a diversi miliardi, 7 per la precisione! Aveva così chiesto una nuova votazione, sostenendo che il popolo era stato gabbato. Sia il Tribunale federale che il governo si rifiutarono però di procedere in questo senso. Il Consiglio federale promise tuttavia correttivi, presentati in questa terza riforma.
Di fronte a questi precedenti, non stupisce lo scetticismo dei promotori del referendum: non solo a causa delle incomprensibili espressioni usate nella presentazione delle nuove misure di politica fiscale, ma anche perché nemmeno questa volta si conoscono con precisione le conseguenze finanziarie della nuova riforma. Secondo i presidenti del PS, Christian Levrat, e dei Verdi, Regula Rytz, il progetto in votazione costituisce una sorta di «scatola nera», tanto che nessuno è in grado di dire con esattezza a quanto ammonterà la fattura finale.
Nell’opuscolo informativo, il Consiglio federale afferma che l’aumento della quota cantonale dell’imposta federale diretta (920 milioni) e il contributo complementare per i Cantoni finanziariamente deboli (180 milioni) causano alla Confederazione minori entrate annue di 1,1 miliardi di franchi. Il Governo sottolinea prudentemente che «le ripercussioni finanziarie globali della riforma dipendono da molti fattori, tra i quali figurano le decisioni di politica fiscale dei Cantoni e degli altri Paesi». Insomma, al di là dei citati 3 miliardi di franchi, Berna naviga a vista, pur sostenendo che senza una riforma fiscale la Svizzera sarebbe meno attrattiva per le imprese, correndo il rischio che le società con statuto speciale potrebbero trasferirsi altrove, con perdite fiscali non quantificabili, ma certamente ben superiori.
Ad alimentare l’incertezza su questa complicata e controversa riforma, vi sono le recenti dichiarazioni fatte al «Blick» dall’ex consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf, sebbene gli ex ministri, una volta lasciata la carica, non dovrebbero intervenire in materia di politica federale. Oltre a difendere la naturalizzazione agevolata degli stranieri della terza generazione, pure in votazione il prossimo 12 febbraio, nell’intervista l’ex consigliera federale mette in cattiva luce la Riforma III dell’imposizione delle imprese, di cui ne è stata l’artefice. L’ex ministra delle finanze ricorda che «non si tratta più (ovviamente) dello stesso pacchetto sottoposto dal Governo al Parlamento».
Pur non rivelando come voterà, la signora Widmer-Schlumf sostiene che la riforma, con gli aspetti supplementari introdotti dal Nazionale, non è più equilibrata. La valutazione delle conseguenze – sottolinea – si fa ancora più difficile e le perdite saranno superiori rispetto a quanto calcolato nel progetto iniziale. Non si conosce il fine recondito che ha spinto l’ex ministra grigionese a criticare questa «sua creatura». Vero è che le sue dichiarazioni sollevano ulteriore scetticismo e non portano acqua al mulino dei fautori, in particolare del ministro delle finanze Ueli Maurer, strenuo sostenitore della riforma. Immediata la risposta di quest’ultimo, secondo cui le esternazioni dell’ex consigliera federale sono «completamente sbagliate», mentre la consigliera nazionale Magdalena Martullo-Blocher (UDC/ZH), figlia dell’ex consigliere federale Christoph Blocher al quale la grigionese aveva «fatto le scarpe», le ha definite «irresponsabili».
I Cantoni sono favorevoli alla terza riforma, anche se potrebbero perdere a loro volta 2 miliardi di franchi. Occorre infatti chiedersi – ha sottolineato il consigliere di Stato del Giura Charles Juillard, presidente della Conferenza cantonale dei direttori delle finanze – a quanto ammonterebbe la perdita «se non si facesse nulla». Si tratta di un sacrificio accettabile per scongiurare cattive sorprese. Per il presidente della Conferenza dei Governi cantonali Jean-Michel Cina (VS), la riforma ha infatti il pregio di tutelare i posti di lavoro in Svizzera e il gettito fiscale che ne deriva.
Economiesuisse e Usam dipingono addirittura scenari catastrofici. In caso di «no» alla riforma, non solo verrebbero soppressi quasi 200’000 impieghi con perdite miliardarie per Confederazione, Cantoni e Comuni, ma occorre anche contare oltre 5 miliardi di perdite per le assicurazioni sociali, di cui «non si è finora tenuto conto». Secondo uno studio dell’Istituto di ricerca congiunturale Bakbasel, la posta in gioco di questa votazione è «enorme»: l’accettazione della Riforma III garantisce a lungo termine una creazione di valore pari a 160 miliardi di franchi e circa 850’000 posti di lavoro. In altri termini – aggiunge l’istituto renano – con l’adattamento del sistema fiscale sono in gioco «un quarto del Pil svizzero e un impiego su cinque».
Il quesito rimane irrisolto: accogliere le proposte di non facile comprensione della riforma, con perdite che nessuno è in grado di quantificare, oppure bocciare il progetto e correre il rischio di avere conseguenze finanziarie ancora più pesanti e partenze «eccellenti»? Un vero e proprio rompicapo, che trova conferma anche nei pronostici. Secondo il sondaggio pubblicato a inizio gennaio per contro della SSR, i «sì» sarebbero il 50%, i «no» il 35% e gli indecisi il 15%. Diverso l’esito del secondo sondaggio online di Tamedia: i «sì» e i «no» alla Riforma III sarebbero in perfetta parità, entrambi attorno al 45%. Insomma, l’incertezza regna sovrana.