Il Trump argentino

Chi è Javier Milei di Libertad Avanza
/ 22.11.2021
di Angela Nocioni

Per la prima volta dalla fine della dittatura (1983) l’estrema destra dichiarata entra nel Congresso argentino, con tre scranni. Non che siano mai mancati gli estremisti di destra a Buenos Aires, dentro e fuori dal Parlamento. Anzi. Il Paese è molto polarizzato e per una buona metà schierato a destra. Finora, però, anche i candidati nostalgici della giunta militare al momento di presentarsi alle elezioni hanno di solito evitato di sbandierare l’estremismo di appartenenza per timore di perdere consenso tra i moderati, si sono limitati a strizzare l’occhio con discrezione ai vecchi camerati. Questa volta no. Nelle elezioni del 14 novembre, nelle quali si è rinnovata la metà della Camera dei deputati e un terzo del Senato, c’è stato l’exploit di Libertad avanza, sigla promossa da Javier Milei, 51 anni, tentativo australe di imitazione di Trump (o Bolsonaro), con meno soldi e un ciuffo scuro che giura di far pettinare «dalla mano invisibile del vento a finestrini aperti» mentre guida.

Milei si presenta come un aggressivo messia, un anti-sistema dalle frasi brevi, buone per i titoli ad effetto dei telegiornali: «le zecche di sinistra abbiano paura», «libertà, armi e proprietà privata», «le tasse sono per gli schiavi». Con questi slogan, un seguito di under 30 e una candidata in lista subito dietro di lui, Victoria Villaruel, la quale nega che in Argentina sia esistito il terrorismo di Stato (considera pertanto illegittime le condanne giudiziarie pronunciate dai tribunali contro mille militari per i reati di lesa umanità) ha ottenuto un 17 per cento dei voti a Buenos Aires. Ora bisognerà vedere cosa saprà farci con tre soli eletti in un Congresso di 257 scranni, se affogherà o saprà trincerarsi per costruirsi una rendita politica buona per le prossime politiche. Fatto sta che è entrato in Parlamento. Ed è entrato in una tornata elettorale nella quale il Governo peronista ha perso per la prima volta il controllo del Senato e l’opposizione di centrodestra ha guadagnato terreno sì, ma senza stravincere.

«Non votate la destra classica, si tratta di socialisti mascherati», dice Milei. «Non vi fidate della destra, è serva del sindacato. Votate me che sono per la potenza argentina». La sua irruzione nella scena politica non è solo simbolica perché può servire da amplificatore dell’estremismo in un Paese in cui gli indicatori più bassi della povertà, quelli governativi (Indec), danno il 40% della popolazione sotto la soglia dell’indigenza. Le stime della Chiesa cattolica parlano di una percentuale intorno al 50%. La particolarità argentina è che nel momento in cui il resto del Continente latinoamericano registra una frammentazione estrema del voto (un’ondata di eletti sconosciuti in liste indipendenti nell’Assemblea costituente cilena, uno sconosciuto maestro rurale diventato presidente del Perù sono gli ultimi due casi), a Buenos Aires invece la protesta viene quasi completamente assorbita dai due grandi schieramenti: peronista da un lato e di centrodestra dall’altro. Con l’inflazione che cresce del 50% all’anno e la povertà in aumento però, la forza agglomeratrice del peronismo, la Chiesa e soprattutto il sindacato – i tre grandi argini locali alla deflagrazione del sistema politico – potrebbero non funzionare in eterno contro l’esplosione della protesta. Un sintomo di tutto ciò può essere proprio la frenata peronista.

Il peronismo ha storicamente contenuto in sé e saputo assorbire vari estremismi, anche opposti, togliendo ossigeno agli outsider possibili. Un suo momento di flessione potrebbe servire per offrire a personaggi come Javier Milei un’opportunità. È di certo presto per lui per cantar vittoria. La caratteristica fondamentale del peronismo è da sempre la capacità di trasformarsi e risorgere. Ma un decennio di kirchnerismo ha spostato nella percezione popolare il cuore identitario del peronismo verso un radicalismo di sinistra – si tratta di illusione ottica, ma la percezione è questa – e uno spazio a destra s’è aperto. Milei ha oggi la possibilità di occuparlo. Per questo quando parla della destra riunita attorno all’ex presidente liberista Mauricio Macri – l’imprenditore ex presidente del Boca juniors che caldi benvenuti ricevette a Davos e a Washington – lo definisce «il kirchnerismo delle buone maniere» o «il populismo cool». E quando nelle interviste tentano di metterlo in difficoltà rispetto al suo elettorato di giovanissimi con domande sulle politiche contro la droga lui risponde: «Sono per liberalizzare, per me se ti vuoi suicidare non c’è problema».