Non resta dunque per guidare l’Italia che un Governo di salute pubblica. A questa conclusione è giunto il presidente della repubblica Sergio Mattarella dopo che il presidente della Camera Roberto Fico, incaricato di sondare i partiti alla ricerca di una maggioranza politica che spianasse la via a un terzo governo Conte, ha malinconicamente gettato la spugna. Proprio come la Francia rivoluzionaria, minacciata e accerchiata dagli eserciti delle potenze legittimiste e dalla controrivoluzione interna ispirata da aristocratici e clero, così l’Italia stretta fra la pandemia, il collasso economico e un disagio sociale che rischia di diventare rapidamente incontrollabile, cerca un Esecutivo d’emergenza che superando l’inerzia rissosa dei partiti la tiri fuori dai guai.
Siamo di fronte a una plateale sconfitta della politica, che non solo non è stata all’altezza della sfida ma se ne è praticamente distolta per trastullarsi con i suoi giochi di potere. A questo punto ecco davanti a Mattarella una secca alternativa: da una parte lo scioglimento delle Camere e il voto anticipato rispetto alla scadenza naturale del marzo 2023, dall’altra un Esecutivo tecnico-istituzionale di alto profilo cui affidare il Paese spossato. Il presidente ha scelto quest’ultima soluzione e si è affidato a una personalità al di fuori della politica politicante.
Così è maturato l’incarico a Mario Draghi, l’ex presidente della Banca centrale europea che Mattarella ha strappato agli ozi di Città della Pieve, la località umbra in cui si godeva il meritato riposo dopo i faticosi anni di Francoforte. Certo ben consapevole che prima o poi il Quirinale lo avrebbe chiamato in soccorso. È accaduto, e come vuole la prassi ha accettato l’incarico «con riserva». Per 6 anni governatore della Banca d’Italia, per 8 presidente della Banca centrale europea, Draghi è da sempre considerato a Roma una preziosa riserva della Repubblica, di più, un vero e proprio deus ex machina, l’uomo che dopo avere salvato l’euro perché mai non potrebbe salvare l’Italia? Molti ricordano la formula con cui assicurò che la banca centrale europea avrebbe fatto tutto il possibile, whatever it takes, per contrastare la speculazione contro la valuta comune. Così come ricordano la sua impassibile fermezza nel resistere alle pressioni di chi, a cominciare da Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, era contrario all’acquisto indiscriminato, deciso sulla base del quantitative easing, dei titoli di Stato emessi dai Paesi in difficoltà finanziarie. Proprio questa capacità di resistenza alle politiche dell’ingombrante partner tedesco è fra le ragioni della popolarità di «Super Mario», come lo hanno ribattezzato.
La sua improvvisa irruzione sulla scena politica è stata salutata dall’euforia dei mercati finanziari. Prima ancora che l’ex banchiere centrale salisse al Quirinale per ricevere formalmente l’incarico, le borse segnalavano una netta tendenza al rialzo soprattutto dei titoli bancari. In forte ribasso, al contrario, il famigerato spread che misura la differenza di rendimento fra i titoli di Stato italiani e tedeschi, in pratica il volubile termometro delle difficoltà finanziarie di Roma. I favorevoli commenti sulla stampa internazionale confermano il prestigio da cui «Super Mario» è circondato nel mondo e la speranza che la sua presenza a Palazzo Chigi possa proiettare dell’Italia un’immagine affidabile. Certo, fanno notare gli editorialisti, s’impongono scelte difficili.
Fin dall’inizio la scommessa del Governo Draghi si presentava piuttosto ardua. Lui stesso aveva messo le mani avanti: accetterò a patto di poter disporre di un’ampia maggioranza. Ma non è affatto facile. I partiti italiani vivono da tempo giorni difficili. Proprio per attenuare l’impatto della sua mossa, Mattarella pensa a un Governo tecnico-politico: salute pubblica sì, ma non senza la partecipazione delle forze rappresentate in Parlamento. La politica tradizionale è tutta da conquistare se si escludono tre elementi: il Partito democratico, che pure avrebbe preferito ricomporre attorno a Conte la maggioranza uscente; Italia viva, la formazione di Matteo Renzi, l’uomo che ha voluto la crisi, ne ha impedito la soluzione politica e ora canta vittoria; e nel centro-destra i berlusconiani di Forza Italia.
Sul fronte della maggioranza uscente i Cinquestelle sono lacerati, da sempre sono dichiaratamente ostili agli Esecutivi tecnici e molti di loro decisamente a disagio di fronte alla forte impronta europeista del presidente incaricato, considerato fra l’altro uomo dei poteri forti, dell’establishment bancario. Fra le forze del centro-destra questa soluzione è vista con dichiarata avversione dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che oltre a respingere l’europeismo di Draghi sono favoriti dai sondaggi e dunque preferirebbero chiamare gli elettori al voto. Quanto alla Lega è profondamente divisa, anche Matteo Salvini vorrebbe andare a votare ma manda segnali di apertura dichiarando di non avere pregiudizi.
Lo scoglio che ostacola l’operazione Draghi è la presenza nell’intero spettro politico, soprattutto nella Lega ma anche nei Cinquestelle, di forti componenti sovraniste. A parte i Fratelli d’Italia che sovranisti lo sono per così dire fin nel Dna. Costoro ovviamente osteggiano Draghi e la sua visione che colloca al centro della scena l’Unione europea. Assieme all’incarico, Mattarella ha dato al presidente incaricato un compito davvero difficile, convincere il maggior numero possibile di parlamentari che i problemi dell’emergenza sanitaria economica e sociale hanno al momento un’assoluta priorità, tutto il resto passa in secondo piano.
L’incompatibilità con le pulsioni sovraniste conferma il fallimento della politica implicito nell’incarico a Draghi. Infatti la sua maggioranza potenziale disarticola non soltanto i due schieramenti contrapposti, quello che sosteneva Conte e l’opposizione di centro-destra, ma anche molti singoli partiti. È come uno tsunami che travolge antiche certezze. Eppure l’ex presidente della banca centrale è salito al Quirinale avendo in mano una buona carta, forse una carta vincente. È la paura del voto che attanaglia i partiti della maggioranza giallo-rossa ma anche molti parlamentari dell’altra sponda. Perché il recente referendum ha sfoltito le Camere e, alle prossime elezioni, i seggi a disposizione dei deputati e dei senatori saranno complessivamente non più 945 ma solo 600. Così per molti uscenti la rielezione sarà problematica...
Il sovranismo contro Super Mario
In Italia la visione europeista di Draghi infastidisce molti ma la paura del voto è forte. La politica ne esce con le ossa rotte
/ 08.02.2021
di Alfredo Venturi
di Alfredo Venturi