Una donna alla guida del Governo, una donna a capo dell’opposizione. Il risultato delle primarie del Partito Democratico, che hanno proiettato Elly Schlein alla segreteria nazionale, completa dopo l’avvento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi un’innovazione di non poco rilievo in un’Italia ancora alle prese con la questione femminile. Non a caso fra gli slogan vincenti figura quello che vuole «superare il patriarcato». Prende il posto di Enrico Letta una donna determinata e strettamente ancorata ai suoi valori, fino al punto di apparire ingenua ai più smaliziati fra gli osservatori della politica italiana.
L’elezione della nuova segretaria significa un recupero d’identità nella visione progressista, insomma la riscoperta e la riproposta dei valori tradizionali della sinistra. Ma in un partito come questo, giunto al punto più basso delle sue fortune elettorali, la strategia prospettata da Schlein potrebbe non bastare se non al prezzo di dolorosi ridimensionamenti programmatici. C’è infatti di mezzo una legge elettorale fatta apposta per premiare le coalizioni e ovviamente non è facile conservarsi «duri e puri», come la nuova segretaria vorrebbe, cercando di costruire alleanze. Lo hanno confermato le prime reazioni dopo l’esito delle primarie. Da una parte Carlo Calenda, che con l’ex segretario democratico Matteo Renzi guida il cosiddetto Terzo polo, dice che ormai il centrismo riformista è affar suo. Dall’altra Giuseppe Conte sostiene che Schlein ha avvicinato il PD al Movimento cinque stelle di cui è segretario.
Elly Schlein è un personaggio international minded, la sua biografia l’ha dotata infatti di una mentalità che supera le frontiere. È nata a Sorengo, in Ticino, figlia di un politologo e storico statunitense di origine ebraica e di una docente universitaria italiana di diritto pubblico comparato. Ha tre cittadinanze: italiana, svizzera, americana. Ha studiato al Liceo cantonale di Lugano e all’università di Bologna dove si è laureata in giurisprudenza con una tesi di diritto costituzionale. Ha un fratello, Benjamin, docente di matematica all’università di Zurigo, e una sorella, Susanna, diplomatica all’Ambasciata d’Italia ad Atene. Prima ancora della laurea aveva partecipato a Chicago, come volontaria, alla campagna elettorale di Barack Obama del 2008, esperienza che ripeterà quattro anni più tardi per la rielezione del presidente. Poi ha fatto politica in Italia, attaccando la strategia delle larghe intese perseguita dal PD. Nel 2015 ha abbandonato il partito per protesta contro le misure sociali del Governo Renzi a cominciare dal Jobs act, la controversa legge sul lavoro che considera contraria agli interessi dei lavoratori. Un anno prima era stata eletta al Parlamento europeo.
Nel 2020 il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, suo futuro avversario alle primarie, la nomina vicepresidente oltre che assessore con delega al welfare e al patto per il clima. Due anni più tardi, eletta alla Camera dei deputati, lascia la vicepresidenza della regione. Scontando il deludente risultato di quel voto, Enrico Letta si dimette dalla segreteria del PD: subito dopo Elly Schlein rientra nel partito e si candida alle primarie. Vuole guidare la principale forza d’opposizione verso nuovi traguardi. La sua posizione appare subito molto difficile: la voce dei circoli è tutta per Bonaccini, la sua esperienza alla presidenza dell’Emilia-Romagna lo ha reso popolare, è dunque considerato imbattibile e i sondaggi confermano la sua forza. Lei non demorde: appoggiata dalla sinistra del partito e da un padre nobile come l’ex ministro della Cultura Dario Franceschini percorre il Paese in lungo e in largo, parla con appassionato fervore delle sue priorità a cominciare dalle politiche salariali e dalle strategie di contrasto al deterioramento climatico, invoca la resurrezione e il rilancio del partito, denuncia attacchi antisemiti nei confronti della sua famiglia. Confida che le primarie aperte, al di fuori cioè dei circoli PD, siano dalla sua parte. E sarà esattamente così.
Alla fine assapora un successo che la pone davanti a una sfida da far tremare le vene e i polsi. Prima di tutto la sua impostazione radicale le renderà difficile tenere unito il partito. Il suo programma tipicamente di sinistra è intessuto di buone intenzioni. Vuole il consenso dal basso – «senza la base, scordatevi le altezze» – e vuole che il partito investa sulla formazione politica. Chiede che gli elettori possano scegliere le persone e non soltanto le liste di appartenenza. Propone che si investa di più sulle energie rinnovabili, che si lasci perdere il nucleare, che si adotti un sistema tributario legato alle emissioni di gas nocivi. Sul tema cruciale del lavoro vorrebbe combattere la precarietà, limitare i contratti a termine e rendere più convenienti quelli a tempo indefinito. Vorrebbe anche introdurre un salario minimo e la settimana lavorativa di quattro giorni. In materia sanitaria, intende correggere lo squilibrio fra pubblico e privato e l’altalena di competenze fra stato e regioni.
Sul tema della politica estera ribadisce il sostegno all’Ucraina ma considera necessario che l’Unione europea si attivi concretamente per una soluzione di pace che possa chiudere il conflitto. Chiede anche che l’Unione affronti il tema nevralgico dell’immigrazione riformando il trattato di Dublino e impostando la sua azione sul principio di solidarietà e su un’armoniosa ripartizione del carico umano fra tutti gli stati membri. Su questa specie di libro dei sogni Elly Schlein chiama all’azione il malconcio partito che le primarie hanno affidato alle sue cure. Ma la sua vera scommessa, davvero ardua, è proprio quella di risollevare il PD dal declino cui lo hanno condannato le sue ambivalenze. Attualmente viaggia attorno al 16-17 per cento dei consensi, non certo abbastanza per la realizzazione di un simile programma. Potrà farlo soltanto in compagnia di altre forze politiche, inevitabilmente annacquando i decisi propositi della nuova segretaria. Lo aveva previsto il rivale Bonaccini, che non a caso aveva assunto una posizione più vicina al centro che ai Cinquestelle. Forse proprio questa era la formula vincente, ma Elly Schlein preferisce rischiare in nome dell’ideologia. Il suo entusiasmo ha avuto la meglio sulla prudenza dell’avversario.